venerdì 18 giugno 2021

Serbian monitor intervista Eric Gobetti



La pensiamo diversamente sia da Eric Gobetti che da Biagio Carrano, ma quando c'è onestà nei testi, quando non si cerca la propaganda, ma la verità, allora si accettano anche le critiche.

Dopo il successo e le violenti polemiche scatenate dal suo libro “E allora le foibe?”, Eric Gobetti è diventato uno degli storici più conosciuti e dibattuti degli ultimi anni in Italia. In questa intervista originale con il Serbian Monitor, Gobetti ci offre importanti considerazioni sul tema della rappresentazione del passato, più o meno prossimo, in funzione degli obiettivi dei leader politici emersi nella regione dopo il collasso della Jugoslavia, come anche sulle relazioni, a volte drammatiche altre volte idealizzate, tra Italia e Jugoslavia dopo la seconda guerra mondiale.

La reazione è di solito motivata dal fatto che il tribunale dell’Aia sembra aver punito solo i serbi. C’è del vero in questo e nasce dall’ambiguità di una guerra persa nei fatti anche se non ufficialmente. Ma è anche vero che la società serba è sempre più incapace di confrontarsi con i crimini commessi 25 anni fa. Paradossalmente c’era più opposizione politica al nazionalismo durante la guerra che dopo.

La jugonostalgia è sempre più forte, anche tra le nuove generazioni. Sembra che si sta diffondendo una sorta di mito di un’epoca felice, in cui c’era solidarietà e benessere, ma anche nella quale i popoli jugoslavi erano conosciuti e rispettati in tutto il mondo. Il confronto con la realtà di tutti i paesi post-jugoslavi di oggi è stridente.

La richiesta di maggior welfare e solidarietà sociale sulla base dell’esperienza storica precedente è senza dubbio molto diffusa. Ho dei dubbi che ciò riguardi la democrazia, almeno non nel senso della democrazia liberale. Ci sono due sbocchi che immagino possibili a breve e medio termine: uno è quello percorso da altri paesi dell’Est, ovvero la ricerca di un uomo forte, sul modello di Tito (ma ovviamente oggi il riferimento è Putin), che possa portare i rispettivi paesi a giocare un ruolo più significativo a livello internazionale; l’altra è la ricerca di maggiore integrazione fra i paesi dell’area post jugoslava, sulla base della comune esperienza storica e appartenenza culturale. Io mi auspico la seconda, ma temo la prima

Nei paesi dell’Est Europa i sistemi socialisti vengono di fatto imposti dall’Armata Rossa alla fine della guerra. Così non succede in Jugoslavia, che si libera da sola, con il proprio esercito partigiano. Il sistema politico dunque è autoctono, il risultato di una lotta di Liberazione condotta e supportata dalla maggior parte della popolazione. Certo anche quell’esperienza storica ha avuto contraddizioni e aspetti meno positivi (pensiamo alla resa dei conti a fine guerra), ma il governo di Tito è stato il risultato di una vera e propria rivoluzione sociale sostenuta da uno straordinario consenso.

Serbian monitor intervista Eric Gobetti

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