giovedì 29 dicembre 2022

LO STEMMA DEGLI USTASCIA

 




Giornate di forte irritazione tra il governo croato e quello austriaco, i cui rapporti invece finora erano sempre stati cordiali. Questa volta i toni sono molto duri e a una nota di protesta formale si è aggiunta anche la convocazione dell’ambasciatore austriaco da parte del governo di Zagabria.

Tutto per un dettaglio apparentemente banale: il colore di una casa della scacchiera che forma lo stemma araldico della Croazia. Stiamo parlando della prima casa in alto a sinistra nello stemma, che nella bandiera dell’attuale repubblica croata è di colore rosso. Scambiare il colore di quella casa, sostituendo il rosso con il bianco, non è soltanto un errore, ma una scelta politica: significa richiamarsi allo stemma della bandiera del movimento nazionalista ustascia di Ante Pavelic e dell’autoproclamato Stato indipendente di Croazia, che tra il 1941 e il 1945 collaborò con la Wehrmacht nazista, macchiandosi di gravi crimini di guerra.

Crisi diplomatica tra Austria e Croazia per lo stemma degli ustascia

Non dire "gatto" se non ce l'hai nel sacco

Che gaffe la Croazia: ha giocato gli Europei con la bandiera filo-nazista sulla maglia

La Croazia festeggia con le canzoni del neonazista Thompson

Gli ustascia croati distruggono Milano

Squallidi e penosi ustascia croati

Chiunque difende gli ustascia croati ha perso la sua dignità


martedì 27 dicembre 2022

Risposte alle questioni poste dal sig. Cristiano Pambianchi. G


Continua da QUI


Maggiori informazioni in  NOI INNAMORATI DI CRISTIANO PAMBIANCHI


10 NOVEMBRE 2022
Mediamente un like a post.. ma vero.. tanti fake .. tanti like
Obama l'ha fatto vincere la pubblicità del grande giornalista che sostiene il web da 20 anni a questa parte ! 🤣








Se la matematica non è una opinione sarebbero 32, ma non di libertà, di squallore 





Ah.. i cetnici torinesi sono davvero difficili da gestire eh ! 

Chiediamo un parere a Lina Bertorello













 I brani seguenti sono presi dal libro "Dalla Jugoslavia alle repubbliche indipendenti"




Cosi' tanto per dire: siamo nel 1990, è il 19 agosto: Referendum sull’autonomia a Knin, nonostante il divieto della Corte costituzionale croata e l’intervento di truppe anti-sommossa del ministero degli Interni. Il 99,97% si esprime favorevolmente, gli aventi diritto al voto sono solo i serbi di Croazia e delle altre repubbliche della Federazione nati in Croazia. Krajina, deriva da kraj, confine, quindi “terra di confine” o “marca”. É la denominazione della zona di frontiera tra l’Impero asburgico e quello ottomano. Tale zona si estende dall’entroterra della Dalmazia al corso della Sava. È in parte serba e in parte croata perché in questi territori si insediarono i serbi come parte di un sistema militare incaricato di tamponare le infiltrazioni ottomane. Le terre confinanti con l’Impero ottomano dipendevano direttamente dalla corte viennese e ai suoi abitanti era concesso uno status socio-politico privilegiato in cambio della difesa armata. Alle genti di confine, i kraijšnici, furono imposte severe obbligazioni militari, ma anche privilegi: assenza di obblighi agrari, di imposte e di tasse, libertà religiosa, auto-governo e autonoma amministrazione della giustizia. I nuclei militari si auto-sostenevano, non gravando sull’Impero. Caratteristica della Vojna krajina (Confine militare) era la dinamicità della frontiera: alle frequenti incursioni ottomane si aggiungeva il flusso di popolazioni in entrambe le direzioni. Detto flusso era costituito da contadini, in gran parte ortodossi, che venivano dall’Impero ottomano, attratti dal regime speciale del Confine militare, oppure da servi della gleba in fuga verso l’Impero ottomano per sottrarsi alle sempre maggiori imposizioni cui erano sottoposti. La Vojna krajina fu mantenuta fino al 1881, ben dopo la cessazione della sua ragion d’essere, proprio perché rendeva disponibile un buon numero di soldati, che costituivano il più efficiente e meno costoso nucleo dell’esercito austro-ungarico. La chiesa cattolica e i signorotti croati non tolleravano i privilegi di questi serbi ortodossi militarizzati. Si consolidò così nel tempo una mentalità di odio, che perdurò anche molto dopo la fine del sistema che giustificava la funzione dei krajišnici e giunse fino ai nazionalismi moderni. I referendum si fanno spesso, ma non si mai come vada a finire....poi

Bruno Maran


1° aprile 1991 – Accesa la miccia della polveriera. Alcune circoscrizioni della Bosnia occidentale a maggioranza serba istituiscono un’enclave autonoma sul modello della Krajina serba di Croazia. Allarme tra i musulmani, che vedono un’annessione da parte della Serbia dei territori a maggioranza serba. La Bosnia è una “Jugoslavia in piccolo”: il 31,3% sono serbi, il 43,7% musulmani, il 17,3% croati, il 7,7% jugoslavi, ma nessun popolo è maggioranza assoluta. Non esistono regioni abitate da una sola nazionalità, il guazzabuglio è inestricabile, sono consueti i matrimoni misti, specie negli anni ‘70–‘80. I musulmani di Bosnia non sono né serbi né croati né tantomeno eredi dei “turchi”, sono eredi della slavità convertiti davanti all’invasore. Molti si definiscono bosniaci, qualcuno ha introdotto il termine “bosgnacchi”, ma rimane l’uso distorto del termine musulmano, che richiama un legame all’Islam che non sussiste nella Bosnia laica e multietnica. La “bosnicità” è un concetto ampio, seppur ambiguo. Sarajevo vuole esprimere una diversità rispetto a Belgrado e Zagabria, temendo d’essere stritolata dal confronto tra le due maggiori capitali

Bruno Maran


4 agosto 1995– Dopo raid aerei Usa sulle postazioni missilistiche serbe, condotti da aerei senza pilota decollati dall’isola di Brač, alle 5,00 l’esercito croato lancia l’Operacija Oluja (Operazione Tempesta) per la riconquista dei territori della Krajina. Le forze Onu sono avvertite che sta per iniziare un’operazione per “ristabilire la Costituzione, la legge e l’ordine”. Un esercito di 200.000 uomini, di cui 120.000 mobilitati nei giorni precedenti, rioccupa il territorio, ripulendolo dell’intera popolazione, che abbandona i campi, le
case, ogni bene, perfino pasti sulla tavola, per raggiungere con auto, trattori e altri mezzi la Bosnia e la Serbia. Si oppone una forza serba a malapena di 60.000 uomini, di cui 20.000 inadatti alla battaglia. Mentre le artiglierie e i carri armati sputano sui serbi tonnellate di granate e dal cielo li martellano gli aerei della Nato, decollati dalla portaerei Roosevelt nell’Adriatico, Radio Zagabria diffonde un ipocrita messaggio di Tudjman, il “Supremo” croato,
che invita le popolazioni serbe a restare nelle loro case e a non aver paura.
Coloro che accolgono l’invito finiscono di lì a poco trucidati. Molti sono uccisi lungo la strada, mitragliati da terra e dal cielo o vittime di sassaiole e linciaggi mentre attraversano i territori croati. L’operazione si rivela la più imponente, in termini di impiego di uomini e mezzi, dall’inizio del conflitto.
Due Caschi blu polacchi dell’Uncro, la missione di pace delle Nazioni Unite, sono feriti, mentre un militare danese è ucciso da un tank croato nei pressi di Petrinja, probabilmente per essersi opposti all’occupazione di una postazione Onu. Le milizie di Knin, impreparate all’attacco, si ritirano verso Banja Luka.

Dalla Jugoslavia alle repubbliche indipendenti Infinito edizioni


5 agosto 1995 - L’Armata croata Hvo si rende protagonista di una delle operazioni di “pulizia etnica” più rilevanti di tutto il periodo 1991-1995.
Nella Krajina, le milizie croate del gen. Ante Gotovina, spesso drogate e ubriache, compiono, nei giorni e nelle settimane successive, atrocità contro i civili serbi rimasti. Le truppe di “liberazione” entrano nelle deserte cittadine di Drniš, Vrlika, Kijevo, Benkovac, in certi punti superando persino il confine bosniaco. Zagabria impiega uno speciale reparto antiterrorismo chiamato Granadierine, i cui appartenenti portano sulla divisa un dragone rosso. Le forze serbo-bosniache sono costrette ad arretrare. Il generale bosniaco mussulmano Dudaković dopo furiosi combattimenti a Ličko Petrovo Selo stringe la mano al collega croato Mareković sul ponte di Trzačka Rastela, che scavalca il fiume Korana, il confine tra Bosnia e Croazia.
Soldati croati sparano contro una posizione Onu tenuta da militari cechi, ne feriscono cinque, due muoiono dissanguati perché i croati ne impediscono l’evacuazione.
Si stima che 200-250mila serbi siano obbligati alla fuga davanti all’esercito croato. I fondati timori di una “contro-pulizia etnica”, costringono alla fuga migliaia di civili serbi. Secondo Amnesty International, tutte le case abitate dai serbi sono saccheggiate, un terzo dato alle fiamme e interi villaggi distrutti. Gli 8mila chilometri quadrati della Krajina, della Slavonia occidentale e della Dalmazia tornano sotto il controllo croato dopo quattro anni, anche grazie agli accordi segreti tra Zagabria, Belgrado e Washington. Nonostante gli appelli del leader serbo della Krajina Martić e di quello serbo-bosniaco Karadžić, Milošević ordina all’Armata federale di rimanere inattiva di fronte
all’offensiva croata, che sfonda ovunque e conquista Knin, dove sono catturati anche 200 soldati Onu. Un debole corridoio umanitario sarà approntato, per tacitare le deboli riprovazioni del Consiglio di Sicurezza e il richiamo del Gruppo di Contatto. Le reazioni all’Operazione Oluja-Tempesta sono molteplici e di segno diverso. Mentre Russia e Unione europea condannano
l’offensiva, gli Usa dichiarano di comprenderla e giustificarla perché elemento decisivo per la stabilizzazione dei Balcani. Si prospetta una divisione del territorio bosniaco tra la parte serba e quella croato-musulmana. Un ufficiale di collegamento croato racconta alla stampa che alcune settimane prima il gen. Vuono della Mpri ha avuto un incontro segreto nell’isola di Brioni con il gen Červenko, capo di Stato maggiore croato, l’architetto della campagna di Krajina. Nei giorni che hanno preceduto l’attacco si sono tenute almeno dieci riunioni tra il gen.Vuono e gli ufficiali croati che pianificavano l’operazione. Il 5 agosto, giorno della presa della capitale della Repubblica serba di Krajina, Knin, è festa nazionale in Croazia.

Bruno Maran


7 agosto 1995 - la cronaca postuma di oggi presenta una mia photo della Krajina "liberata....
è un lunedì: le forze croate entrano a Dvor na Uni, Topuško, Donji Lapac, Srb, Vojnić e in altri centri… disabitati. Subito dietro l’esercito vi è la polizia militare, che ripristina i collegamenti telefonici, riporta le vecchie indicazioni stradali. Via la targa Khnh in cirillico. Polizia è “pulizia immediata”. Arriva un’équipe per installare Radio libera Knin.
Via via che le truppe croate scendono dai monti Dinarici, le colonne “liberatrici” si incontrano. A sera, il ministro della Difesa croato Gojko Šušak, un ustasha erzegovese importato dal Canada, fornisce i dati ufficiali delle perdite: 118 morti e 1.430 feriti, ma i combattimenti non cessano. Nel momento della conferenza stampa del ministro Sušak, 100mila profughi si accalcano in direzione di Banja Luka, bersagliati da colpi di artiglieria.

8 agosto 1995 – Ogulin, Josipdol, Vojnić, Plaški, Ličko Jesenice e Saborško sono ridotti a un deserto. Funzionari dell’Unhcr affermano di aver disposto l’invio di centinaia di feriti a Banja Luka e di aver visto decine di mezzi di trasporto incendiati. Fra Topuško e Dvor na Una decina di migliaia di civili sono imbottigliati. Di tanto in tanto arriva qualche cannonata da lontano. Dai campi attraversati dalla strada che porta al confine, i contadini serbo bosniaci offrono cibo e acqua ai profughi oppressi dal caldo e dalla sete. Da Belgrado arriva l’ordine di accogliere in Serbia solo donne, bambini e anziani, respinti i profughi in grado di combattere. Caschi blu ucraini riportano che soldati bosniaci hanno incendiato case in località della Banovica croata. Akashi, Milošević e Janvier s’incontrano per discutere le sorti della Slavonia.
Roger Charles, un tenente-colonnello in pensione e ricercatore della Marina americana, premiato per la sua opera dalla Investigative Reporter and Editors Association, è convinto che la Mpri abbia svolto un importante ruolo nella campagna di Krajina. ”Nessun Paese può passare dalle milizie composte da canaglie raccolte per la strada alla messa in atto di un’offensiva militare professionale, senza avere ricevuto aiuto”, afferma. ”I croati hanno fatto un buon lavoro di coordinamento dei mezzi blindati, dell’artiglieria e della fanteria. Non è qualcosa che s’impara mentre si riceve un addestramento sui valori democratici”.

Dalla Jugoslavia alle repubbliche indipendenti


10 agosto 1995 – Ucciso dai croati il giornalista della Bbc John Scoefield, mentre con tre colleghi riprendeva un villaggio in fiamme tra Karlovac e Bihać; la scusa è aver scambiato la telecamera per un’arma. La Krajina è sigillata ai giornalisti stranieri, facilitando le efferatezze.
Un ufficiale della Difesa territoriale serba dichiara a Paolo Rumiz de Il Piccolo di Trieste che la gente serba ha iniziato a fuggire immediatamente con l’inizio dell’Operazione Oluja.

Bruno Maran



Dal libro "Croazia, operazione Tempesta"" di Giacomo Scotti - Gamberetti 1996
"Slogan ustasha nell’osteria"
In osteria riconosco un gruppo di uomini, che urlano slogan ustaša,
esibendo magliette con l’effige dell’eroe Gotovina. Li riconosco, avendone vista la fotografia sui giornali più volte alcuni anni addietro; furono processati e condannati per strage di civili nell’ex Krajina. Le pene furono basse, poi intervennero amnistie ed eccoli di nuovo liberi a ubriacarsi.
Esco dall’osteria subito dopo averli riconosciuti, son gente pericolosa, mi dico. Fuori, sulla strada, mi ferma un istriano di Pola, che mi chiama per nome e cognome. É stato combattente dell’esercito croato con una brigata istriana nel ‘95; insieme a croati e italiani di Pola, Dignano, Gallesano, Albona, fu impegnato dapprima nella “liberazione” della Krajina e poi nei rastrellamenti. Il conoscente polese mi racconta un aneddoto mai prima d’ora sentito. La sua e altre brigate addette a rastrellare i boschi e i monti avevano l’ordine di non fare prigionieri, dice.
Un giorno, durante il rancio, gli istriani intonarono un canto popolare istro-veneto, "La mula de Parenzo", seguita dalla nostalgica canzone "Varda la luna, come che la cammina, la passa i monti, il mare e la marina". Nel bel mezzo, il canto venne interrotto dall’apparizione sulla scena di una ventina di soldati nell’uniforme della Krajina con i fucili e mitra a tracolla e le braccia alzate. Si arrendevano. A quel punto, con un secco comando in lingua croata, il comandante del reparto istriano, istriano pure lui, ordinò ai suoi uomini di raccogliere le armi offerte dal nemico.
Solo allora, ascoltando quell’ordine nella comune lingua croato- serba, i serbi compresero d’essersi arresi all’esercito di Tudjman.
La loro morte, pensarono, era sicura. Spiegarono, dopo, di essere stati tratti in inganno dalle canzoni. Una lingua straniera, dunque erano soldati dell’Uncro, soldati dell’Onu…
Il comandante del reparto, nel consegnarli al più alto comando, consegnò pure la lista di nomi e cognomi dei prigionieri, dicendo: “Verremo a trovarli e vogliamo trovarli tutti vivi!”.
Forse lo sono ancora, gli unici sopravvissuti fra i prigionieri fatti nella Tempesta..
Un onore e un piacere per me ospitare Giacomo Scotti nel mio libro Dalla Jugoslavia alle repubbliche indipendenti.
Bruno Maran


Continua QUI



lunedì 26 dicembre 2022

LA FAVOLA AGOSTINO BERGO CI STUPISCE ANCORA




 Siamo lieti di comunicarvi che è stata inaugurata la nuova mostra della nostra favola Agostino 

Non vi diciamo nulla, ma vi aspettiamo a Chieri 


La Città di Chieri (TO) , il Convento di San Domenico e io,
Siamo Lieti di invitarvi all'inaugurazione e alla visita della mia mostra personale "In Sen del Vero",
presso Convento di San Domenico, via San Domenico, 1, Chieri (TO),
da Lunedì 26/12/22 ore 21.00 a domenica 22/1/2023.
Aperta tutti i giorni nei seguenti orari:
Mattino: 10.00 - 12.00,
Pomeriggio: 16.00 - 18.00,
Conferenze: ogni venerdì (per tutto il periodo della mostra) dalle 21.00.
Ingresso libero.
L'evento è patrocinato dalla Città di Chieri e dal Convento di San Domenico.
Vi aspettiamo alla mostra!

Agostino Bergo


martedì 20 dicembre 2022

Ciò che eravamo... Diario di una donna serba del Kosovo Metohija

 




Radmila Todić Vulić

Ciò che eravamo...
Diario di una donna serba del Kosovo Metohija
Prima, durante e dopo i bombardamenti della NATO del 1999
Prefazione di Sanda Rasković Ivić
Postfazione di Enrico Vigna
Edizioni La Città del Sole, Napoli 2009
Il diario inizia un anno prima dei bombardamenti, nei tempi in cui la UCK si scatena e in cui ogni giorno lascia il territorio almeno una famiglia serba, che non riesce a sopportare il terrore, esercitato dai separatisti albanesi, che non riesce a sopportare l’incertezza e l’ansia sul domani. Sono i tempi del sospetto verso la sincerità e l’autenticità sia dei politici locali, sia dei rappresentanti della comunità internazionale, che, come i visitatori dello zoo, si alternavano e si costruivano una loro idea, sempre condita dagli interessi delle grandi potenze.
Sono descritte le distruzioni dei ponti, degli ospedali, delle ferrovie, dei treni con i passeggeri a bordo, delle colonne dei rifugiati. “Come faccio a mettere in una borsa l’anima di casa mia?”
L’odio è diventato l’energia politica dei “democratici” del “nuovo Kosovo”, tutti ex combattenti dell’UCK, molti dei quali coinvolti in attività criminali. Il Kosovo e Metohija sono stati “puliti etnicamente”: dal giugno del 1999, 250.000 serbi, rom e altri non albanesi se ne sono andati, sono state sequestrate 1.300 persone e uccise altre 1.000, distrutte 156 chiese, commessi atti vandalici contro 67 cimiteri. In Kosovo sono rientrati solamente 1.200 serbi.

lunedì 19 dicembre 2022

Risposte alle questioni poste dal sig. Cristiano Pambianchi. F

Continua da QUI


Maggiori informazioni in  NOI INNAMORATI DI CRISTIANO PAMBIANCHI



Dubrovnik è sempre stata una città serba 





...Invece in Dalmazia non si salva nessuno. A leggere i libri di storia e le storie della letteratura o dell'arte croati si ha l'impressione che quella regione sia culturalmente croata almeno da tremila anni, a cominciare dagli illiri: romani e veneziani furono soltanto dei temporanei invasori, ospiti senza radici e senza potere, senza lingua, senza scrittura e senza cultura. Mentre i contadini e popolani croati creavano opere scultoree e pittoriche eccezionali fin dall'ottavo secolo, e scrivevano libri di poesia, trattati di filosofia, opere scientifiche eccetera, patrizi e cittadini romanici e italici della città costiere della Dalmazia e delle sue isole maggiori facevano la parte di inetti spettatori, oppure offrivano la manovalanza, ignoranti e analfabeti com'erano.




Il saggista croato Slobodan Prosperov Novak, già presidente del Centro croato del Pen Club, ha scritto recentemente in un libro di cui ci occuperemo, che «Ivan Bolica (il nostro Giovanni Bona de Boliris) resta eternamente annoverato nella storia letteraria croata». Amico, ammiratore e conterraneo del Bona fu Ludovico Pasquali (1500-1551), autore di una raccolta di poesie in lingua italiana, Rime volgari del 1549, e di un volume in lingua latina, Carmina, edito nel 1551. Anche di questo poeta si sono impossessati gli storici delle letterature serba e croata, e per appropriarsene gli uni e gli altri lo hanno snazionalizzato: per i croati Ludvig Paskvalic e Paskalic, per i serbo-montenegrini Ludovik Paskvojevic e Paskovic.





Rivelatrice la prefazione all'antologia Latinisti Croati laddove si parla del Pasquali: i suoi curatori ammettono indirettamente la falsificazione, scrivendo: «Dovendo stabilire il nome del poeta (e cioè dovendo decidere come croatizzarlo, diciamo noi), abbiamo optato per la variante Paskvalic perché a suo favore depongono le forme latina (Pascalis) e italiana (Paschale, Pascale) del suo cognome, come l'autore stesso alternativamente si firmava, forma che i suoi discendenti cambiarono in Pasquali nel XVIII secolo». Credo che a questo punto un qualsiasi commento sarebbe sprecato. Quando l'antologia dei Latinisti croati apparve ci stupimmo della presenza in essa di poeti come Bona, Pasquali e altri che alla Croazia non appartenevano nemmeno territorialmente, essendo nati a Cattaro o nelle sue Bocche, dunque nell'odierno Montenegro. Ma la nostra meraviglia si trasforma in stupore e incredulità di fronte a un'altra antologia apparsa nel settembre 1993 col titolo Stara knjitevnost Boke (L'antica letteratura delle Bocche di Cattaro) nella quale i curatori - i saggisti croati Slobodan Prosperov Novak, Ivo Banac e don Branko Sbutega - dichiarano espressamente che lo scopo del loro lavoro quello di restituire alla letteratura croata gli scrittori delle Bocche di Cattaro, e cioè di una fetta del Montenegro, perché quegli scrittori, essendo stati cattolici, non possono essere considerati serbo-montenegrini, ma croati!





Ammesso e non concesso che ogni cattolico nato in un territorio qualsiasi della sponda orientale dell'Adriatico debba essere considerato croato, ci chiediamo come si possano attribuire alla letteratura croata poeti e scrittori che non scrissero le loro opere in lingua croata. Qui chi grida «Al ladro, al ladro!» è lui stesso un ladro matricolato preso con le mani nel sacco. Infatti in quest'antologia croata della letteratura delle Bocche di Cattaro, che va dal tramonto del XIV alla fine del XVIII secolo, troviamo 48 autori nati nelle Bocche, dei quali 12 sono anonimi. Sottratti questi ultimi, ne restano 36, dei quali, 22 non hanno lasciato una sola riga di scritto in lingua croata o serba, sicché è stato ingaggiato un manipolo di ben 11 italianisti per tradurre i loro testi dal latino e dall'italiano e inserirli nell'antologia. Per la precisione in due casi le traduzioni sono dal latino e in tutti gli altri dall'italiano. La domanda, fastidiosa, sempre la stessa: come possono appartenere alla letteratura croata dei testi italiani poetici e in prosa?
Con quale diritto, con quale faccia tosta si possono compiere siffatte operazioni?






Ma apra un libro di storia Pambianchi, che son più le brutte figure sue che i goal di Maradona! 



Se gentilmente potrebbe rallentare.. passiamo la vita a correggere gli sbagli suoi!





Lo spazio in mezzo che vedete è perchè il sig. Cristiano Pambianchi è stato bannato anche da Balkan insight oltre che da Est ovest, Osservatorio Balcani e decine di altri forum balcanici e non sembra la persona più adatta a gestire la cultura croata 










Per concludere. Da circa ottant'anni - il fenomeno comincia timidamente dopo la costituzione della prima Jugoslavia nel 1920, per prendere via via sempre maggiori dimensioni - dalla critica e saggistica letteraria croata, in parte anche da quella serba, è stata portata avanti una sistematica appropriazione di scrittori italiani della Dalmazia e del Litorale montenegrino, e c'è stato, conseguentemente, l'inserimento nella letteratura croata e montenegrina - alcuni nomi sono ripetuti nell'una e nell'altra - di tutti gli scrittori e poeti che scrissero in latino e in italiano, se nati e vissuti sul territorio dell'odierna Croazia e dell'attuale Montenegro. Il ladrocinio è stato accompagnato quasi sempre dalla slavizzazione e falsificazione dei nomi e cognomi italiani, come abbiamo largamente dimostrato.










A questo punto consideriamo una «curiosa» circostanza: la letteratura croata dalle origini e fino al XVI secolo è un susseguirsi di scrittori quasi esclusivamente dalmati da Marko Mamlic-Marulo a Hektorovic-Ettoreo e altri. Viene perciò spontaneo chiedersi: come mai le arti e la letteratura croate non ebbero inizio in regioni dell'interno quali la Slavonia, la Baranja, la Posavina, lo Zagorje e altre, mentre furono fiorenti prima del XVI secolo in Dalmazia dove la letteratura in particolare si espresse nel latino e nell'italiano, e solo rarissimamente in croato? Jutrovic, Horvatic e tanti altri saggisti che ritengono necessario arricchire la letteratura croata con le opere scritte in latino e in italiano da autori dalmati integralmente inseriti nella cultura italiana, compiono un furto alla luce del giorno, è vero, ma vanno compatiti. Lo fanno mossi dall'estremo bisogno.
Appropriarsi della cultura altrui, in questo caso della letteratura italiana dalmata, è l'unica possibilità della sposa per presentarsi allo sposo con una «dote» decente. Di che vantarsi, altrimenti fino al XVI-XVII secolo? Solo a cominciare da quei secoli, infatti, si possono trovare le prime pagine di storia della letteratura croata, come quelle della scultura, della pittura, della musica e delle altre arti; e tutte ci portano sempre in Dalmazia.




In Dalmazia e, in genere, nella regioni che per lunghi secoli furono della Serenissima Repubblica di Venezia o della Repubblica di Ragusa, che fu pure uno stato di lingua e cultura italiana. In altre parole, la cultura italiana in Dalmazia fece da seme e da concime; senza la presenza degli artisti e degli scrittori italiani dalmati - per non parlare di quelli che arrivavano dalla sponda occidentale per stabilirsi in Dalmazia - gli inizi della letteratura e di molte arti croate verrebbero spostati a secoli molto più vicini a noi. Non a caso il primo sillabario croato in caratteri glagolitici fu stampato nel 1527 a... Venezia, mentre la prima grammatica della lingua croata fu scritta dal missionario gesuita italiano Bartolo Cassio, nativo di Pago (1575-1650), il quale viene presentato oggi come Bartol Kasic.Le prime scuole laiche e «cittadine» comparvero non a Zagabria, Osijek, Koprivnica, Varazdin, ecc, bensì a Zara nel 1282 e a Ragusa nel 1333. La prima rete di scuole superiori non fu creata in Slavonia, nello Zagorje o in altre regioni croate ma in Dalmazia, a cominciare dal collegio gesuitico di Ragusa - che era provincia romana della Compagnia di Gesù - per finire con il seminario domenicano di Zara. Tutti gli intellettuali della Dalmazia dal Duecento fino al Settecento e quasi tutti anche nell'Ottocento frequentarono esclusivamente università italiane: Padova, Bologna, Roma. Con queste constatazioni non intendiamo certamente porre rivendicazioni territoriali o chiedere modifiche di confini, ma nessuno può negarci le rivendicazioni morali, nessuno può appropriarsi della nostra cultura, del nostro patrimonio di civiltà scritto nei libri e inciso nelle pietre.
Giacomo Scotti








Luigi Rodeti e Niccolò Giaxich sono due dei tanti fake del grande giornalista di guerra




A lui gli dovresti raccontare come l'esercito croato ha ucciso 600 anziani che non sono riusciti a scappare dalla Krajina e dovresti chiedergli perchè si vanta della bandiera ustascia che ha ucciso 700 mila serbi

MAI DIMENTICARE IL CRIMINE CROATO DI OLUJA






Per migliorare la pochissima cultura dei Balcani che ha il sig Cristiano Pambianchi, consigliamo IN DIFESA DELLA JUGOSLAVIA giunto alla seconda edizione.





Recentemente è stato ripubblicato il libro della casa editrice Zambon curato da Jugocoord che racconta minuziosamente il ‘processo’ contro il leader jugoslavo, il tentativo è quello di affermare la verità storica su quello che successe non solo a Milošević ma all’intero popolo jugoslavo. Il libro si apre con un contributo di Domenico Losurdo scritto nel 2005 quando uscì la prima edizione dell’opera, in queste poche pagine viene riaffermata la natura delle guerre coloniali, intrise di una profonda matrice razzista. È superfluo ricordare che il barbaro attacco contro l’Unione Sovietica da parte della Germania nazista aveva come scopo la conquista del lebensraum (lo spazio vitale tedesco) che si ispirava, come scritto da Adolf Hitler nel ‘mein kampf’, alla conquista dell’Ovest avvenuta nel continente nordamericano attraverso il genocidio dei nativi americani. Non è casuale che Losurdo a proposito del ‘tribunale’ dell’Aja faccia riferimento ai ‘processi’ del Ku Klux Klan che tra Ottocento e Novecento decretavano il linciaggio ed il rogo degli afroamericani.











Chi ha avvisato l’ANSA il 13/02/2017 dicendo che Boskovic era croato ha detto il falso . Impossessarsi delle culture precedenti perchè hai conquistato quel territorio non ha nessun senso, altrimenti anche tutta la cultura degli Illiri diventerebbe croata. L’unica cosa corretta da dire è quella scritta sulla statua. Nato a Ragusa, nella Repubblica di Ragusa, attuale Croazia . A Dubrovnik al massimo nascono alcuni croati dopo il 1920 e nemmeno, non certo dal 1500. A Dubrovnik nascono i croati da quando è Croazia, non prima. Non si puo’ cambiare nazionalità a tutti quelli nati 500 anni prima e non si puo’ confondere la Repubblica di Ragusa col Regno di Croazia che stava da tutt’altra parte . Che ignoranza certa gente!!!







"Potrei firmare anche virgole e punti del testo pubblicato da Gian Antonio Stella sul “Corsera” di Milano e riportato integralmente da “La Voce del Popolo” l’indomani (23 aprile), ma poiché sull’argomento dell’appropriazione indebita di grandi personaggi della letteratura, della cultura e della storia italiana ho scritto a più riprese, arrabbiandomi forte, negli ultimi cinquant’anni, proverò a fare una cernita e una sintesi su questo brutto vezzo degli storici e politici croati – e fossero soltanto loro! – che non hanno risparmiato nessuno dei tanti grandi italiani “colpevoli” di essere nati o semplicemente di essere passati nelle e per le terre della Dalmazia, del Quarnero e dell’Istria oggi incluse nella Croazia. Per questi signori quegli italiani, per lo più sudditi della Serenissima repubblica di Venezia, furono e restano croati.

Giacomo Scotti

E dopo le amebe vennero i Croati…








È passato alla storia come il macellaio dei Balcani, Ante Pavelic, Poglavnik (Duce) del super cattolico stato fantoccio croato, inventato, nel 1941 subito dopo l’occupazione nazifascista della Jugoslavia. L’8 maggio del 1941, accompagnato da ministri e religiosi (fra cui il Vicario Generale dell’Arcivescovo Stepinac, quello che poi fu beatificato da Papa Woityla) Pavelic venne in Italia e, «circondato dai suoi banditi» – come annoterà Ciano nel suo Diario – venne festosamente e solennemente ricevuto in udienza privata da Pio XII che, congedandolo, gli fece i migliori auguri per «la sua opera futura».




Il problema di fondo è il nazionalismo, in sostanza, e il suo vero e proprio delirio aborigeno, per cui se "Noi" occupiamo ora queste terre allora "Noi" le abbiamo abitate da sempre e chi ci abitava era sempre e solo uno di "Noi", esattamente sovrapponibile a "Noi" e parte della gloriosa storia per cui "Noi" siamo quel che siamo "Noi". Cosa che, a rigore, potrebbero dire solo dei cacciatori raccoglitori nella Rift Valley, e che in tutti gli altri casi è solo segno di profonda ignoranza storica e retorica.
Che poi, anche a riconoscere l'origine "genetica", mi si passi il termine, conta di più quella o la cultura nell'opera di una persona famosa per i suoi lavori culturali? Gramsci era sardo, sardissimo, ma a chiamarlo Antoni Gramsci (o Antonni, con la pronuncia contemporanea della mia zona attribuita a muzzo anche a lui perché, hey, abbiamo frequentato lo stesso liceo!) e sostenere che fosse un politico e filosofo sardo anziché italiano sarebbe una mistificazione: perché è in Italia e su scala (inter)nazionale che Gramsci ha espresso il suo pensiero e svolto la sua azione politica. Semmai si può dire che era sardo E italiano, non sardo anziché italiano.
E Gramsci in Sardegna è vissuto e ha studiato. Si parva licet, potrei citare un Mahmood che è di madre sarda e padre egiziano, ma è di certo più milanese che altro come orizzonte culturale, molto più di un Brambilla-Fumagalli che però vive in Argentina o anche solo fuori Milano. Eppure, se ci fosse chi volesse parlare delle "eccellenze musicali sarde", potrebbe certo prendere Mahmood (e ammetto di aver fatto talvolta questo gioco, con chi lo disprezzava in quanto "arabo", dicendo che semmai ce l'aveva con lui in quanto sardo).
Il problema è che ad accettare questa coesistenza di nazionalità e culture in certe aree e per certe figure si dissolvono le premesse di base del nazionalismo, per cui tu appartieni a una e una sola nazionalità e al limite puoi essere oppresso o traditore nei confronti di quella egemone. Senza contare del bisogno atavico di crearsi padri nobili, eroi mitici, fondatori semidivini e santi patroni per giustificare le proprie pretese su una certa terra.
Federico P.







C'è nostalgia degli ideali che la Jugoslavia rappresentava, ovvero il tentativo di costruire un paese egalitario tra persone con una miriade di differenze nazionali, di lingua e di religione. Oggi tutti sembrano volersi chiudere nei propri confini nazionali e non capiscono che così si diventa molto più piccoli, più spaventati e più soli.
Elvira Mujcic'












Continua QUI


I PDF QUI

Novak Djokovic e' il miglior atleta dell'anno

  Novak Djokovic è stato premiato ai Laureus world sport awards come il miglior sportivo della passata stagione  E' la quinta volta che ...