La seconda, da Mitrovica, cerca le montagne del Montenegro e da qui si dirama verso Podgorica e i porti adriatici di Bar e Dulcigno, oppure scatta verso nord in direzione Sarajevo – Mostar – Spalato. A Spalato confluivano anche le rotte marine che partivano dalle coste del Montenegro facendo della città dalmata un vero hub del narcotraffico. La scommessa di Zagabria era vinta, anche grazie alla forte presenza croata in Erzegovina che subito si adoperò per aiutare il nuovo corso croato. Non a caso in Erzegovina stavano, abbiamo detto, le basi delle milizie dell’Hvo capaci di gestire i traffici di armi e stupefacenti. Soldi sporchi che Tudjman avrebbe riciclato in molte holding e banche europee tra cui quella Hypo Alpe Adria.
Quanto fin qui esposto tende a tracciare un quadro complessivo delle vicende legate all’indipendenza croata. Vicende che si riverberano nel presente della politica di Zagabria e nelle tensioni sociali in corso nel Paese. La trama oscura, i rapporti criminali, l’appoggio prematuro della Germania e del Vaticano, il riciclaggio dei proventi di guerra, il traffico di armi e droga. Questo è il retroterra che origina il complesso sviluppo politico-mafioso-finanziario che alcuni osservatori hanno felicemente definito “Seconda repubblica delle mafie” e che è emerso con maggiore chiarezza in seguito all’arresto di Ivo Sanader.
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Il ruolo della diaspora croata nella guerra di Tudjman
A vent’anni dall’indipendenza, la Croazia fatica a trovare la via per l’integrazione europea, è bene guardare indietro – agli anni della guerra patriottica – per poter guardare avanti poiché i problemi nel portare a termine il processo d’adesione all’Unione hanno una radice antica. La corruzione endemica della classe politica, un potere giudiziario dipendente dal potere politico, il rimpianto per gli anni “eroici” della guerra d’indipendenza, stanno ricacciando la Croazia nella palude del nazionalismo. Riflettere su come si è realizzata quell’indipendenza, quali forze vi parteciparono e quali appoggi la favorirono, è necessario per comprendere la radice del male di cui soffre oggi il Paese. Tre sono stati i fattori principali che hanno portato all’indipendenza croata: l’appoggio del Vaticano, la sponsorship della Germania e l’aiuto della criminalità organizzata.
I buoni rapporti tra Germania e Croazia si radicano ai tempi dell’Impero Asburgico passando, con la Seconda guerra mondiale, per l’alleanza del sanguinario regime fascista di Ante Pavelic con la Germania nazista, che di fatto fu madrina dell’indipendenza croata. In tempi più recenti, durante la guerra, e in piena violazione dell’embrago, armi destinate ai croati venivano fatte passare attraverso il confine austriaco. Spiega Francesco Strazzari*, docente di Teoria delle relazioni internazionali alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, intervistato da East Journal, che «nell’agosto del 1991, mentre i media trasmettevano il cri de douleur di Tudjman per la Croazia lasciata sola, gli aresenali croati erano in buone condizioni: centomila fucili erano stati comprati a Berlino poco prima che la Ddr collassasse, e centinaia di Stinger e missili anticarro provenivano dall’Austria. In Germania, inoltre, la stampa lanciò una campagna a favore della Croazia». La Germania è per la Croazia quello che la Russia è per la Serbia e la Turchia per la Bosnia Erzegovina.
Dietro la benevolenza tedesca ci fu anche il contributo economico della diaspora croata, che depositò su un apposito conto bancario Ubs con sede in Svizzera. Soldi necessari per finanziare la guerra patriottica e oliare il traffico d’armi che passava dalla Germania e dall’Austria. Non solo: i circoli di émigrés croati in Argentina organizzarono un canale di approvvigionamento di armi che partiva dal Sud America con la complicità dell’allora presidente argentino Carlos Menem che, una volta scoperto, fu travolto dallo scandalo e costretto alle dimissioni. A mobilitare la lobby della diaspora fu il sentimento patriottico ma anche le promesse (mantenute) di Tudjman che li ricompensò durante il processo di privatizzazione. Il paese si trovò così in mano a “cento famiglie” che, ancora oggi, controllano le sorti dell’economia e della politica croata.
Matteo Zola
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