Si avvicina il Giorno del Ricordo e leggo commenti sempre più stizziti contro chi, come me, cerca di raccontare tutta la storia del confine orientale, senza negare nulla, semmai aggiungendo, rendendo gli eventi più chiari e comprensibili. E mi chiedo: che problema c'è oggi, dopo 80 anni, a ricordare tutte le vittime della tragedia che si è abbattuta su queste terre dal 1915 al 1955? Nessuno nega le vittime italiane (chi ha letto il mio libro lo sa bene), ma perché negare quelle slave? Non sono vittime anche le donne e i bambini lasciati morire di fame nel campo di Arbe dal nostro esercito? Non sono vittime i 2500 civili (tra cui diversi italiani) uccisi dai nazisti (e fascisti) nell'ottobre 1943 in Istria? Valgono meno dei 500 uccisi dai partigiani (ma non solo) pochi giorni prima nelle stesse terre? Sono vittime (parafrasando Salvini) di serie B? Valgono un quinto; o anche meno, visto che non vengono nominate proprio? Dov'è il tanto sbandierato rispetto per le vittime, la pietà cristiana per i morti (tutti uguali), di fronte ai 2500 jugoslavi (e italiani) uccisi? Eppure fanno parte della stessa tragedia, o no? Mi viene il dubbio che un morto, per essere rispettato nell'Italia di oggi, debba essere stato ucciso dai comunisti: essere vittime dei fascisti o dei nazisti non conta. Forse perché i fascisti agivano per ideali più nobili e dunque gli si può perdonare qualche milione di morti? Oppure semplicemente i morti slavi non valgono, chiunque li abbia uccisi, perché non appartengono allo stesso genere umano che vogliamo ricordare?
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