giovedì 4 agosto 2022

Non dimenticate il crimine croato di Oluja

 Che siano maledetti i nazionalisti croati 




Durante quattro giorni di pulizia etnica di portata senza precedenti, circa 250.000 serbi sono stati espulsi dalle loro case secolari, circa 2000 sono stati uccisi, di cui 1196 civili, e un enorme danno materiale è stato fatto alle proprietà serbe. L' ondata di profughi serbi fuggiti in Serbia attraverso la Bosnia è stata la più grande in Europa dalla seconda guerra mondiale. La "Tempesta" è ancora un crimine senza punizione

4 agosto 1995: sono circa le 4 del mattino quando l'aviazione USA attacca per la prima volta le postazioni Serbe a difesa della Krajina. Passa poco più di un'ora, è l'alba e sono le 5:05 quando due MiG-21 della CAF (l'aviazione croata) sorvolano il cielo di Knin svegliando di colpo la popolazione. Passano pochi minuti sono le 5:19 quando altri MiG dell'aviazione croata sorvolano Knin iniziando a bombardarla dando così il via all'operazione oluja dell'esercito croato avente come obiettivo l'occupazione delle regioni a maggioranza Serba della Krajina, Nord Dalmazia, Kordun, Banija e Lika.

Una forza composta da 130.000 soldati croati con il supporto di 5.000 soldati bosgnacchi, di circa 100 soldati NATO e dell'aviazione NATO attaccarono la Repubblica Serba di Krajina difesa soltanto da 20.000 uomini che non avevano alcuna possibilità di rifornimenti e di supporto.
Tratto da Riponderare i Balcani





"Era un agosto caldo, quasi come questo.
La mattina presto verso le 5 o 6 del mattino sono stato svegliato dalle granate. C'era rumore e rotture da tutte le parti.
Avevo 6 anni ed ero consapevole che la guerra era in corso, i bombardamenti non erano una novità per me. Mia madre mi ha portato in bagno (perché è il posto più sicuro lì), mi ha messo i jeans, una maglietta viola e le mie scarpe da ginnastica preferite, che mi hanno reso così importante in quei giorni perché ero l'unico che non aveva i lacci ma il velcro, e l'impronta di Topolino su di loro è rimasta impressa per sempre nella mia memoria. Il rumore delle granate non si è placato per tutta la mattina, sono rimasta in quel bagno che non ricordo più quanto tempo, portata via dalla paura, ma con la sensazione che sarebbe andato tutto bene di sicuro anche questa volta. Ma il bombardamento continuava e per essere più sicuri decidemmo di andare nel rifugio.
- "Dai, sei vestito, andiamo al rifugio"
Risposi con voce spaventata:
- "Lo farò, ma le mie gambe no, non vogliono andare"
Le bombe smetteranno di cadere tra un'ora e torneremo al nostro appartamento nel centro di Knin, sopra la farmacia.
Dopo alcune ore nel rifugio, arrivò la notizia che Knin era caduta, che dovevamo fuggire dalla città, chiunque poteva doveva farlo per sopravvivere. Siamo saliti in macchina e ci siamo diretti verso la Serbia.
Non ricordo quanto durò il viaggio, so che non c'era fine, ricordo le colonne, il caldo, la sete, i vecchi sui trattori, i bambini che piangono. Ricordo che avevo costantemente la nausea, che vomitavo fino in fondo, e il problema più grande per me era che vomitavo nello strofinaccio di mia nonna perché mia nonna era sempre una donna meticolosa. Pensavo che mi avrebbe sicuramente punito per quella mia settimana, ignaro del fatto che stavamo effettivamente andando via dalle nostre case verso l'ignoto, che non saremmo mai più tornati lì, che avevamo perso tutto durante quella giornata.
Ricordo che quando siamo arrivati ​​in Serbia, siamo stati in diverse città per alcuni giorni. Alla fine abbiamo vissuto per ben due mesi in un hotel a Belgrado, dove ora mi fermo spesso per i preparativi con la nazionale.
E così, ci siamo trasferiti, siamo ripartiti da zero con dignità tipica Serba.
A scuola, al parco, in tutti i posti con altri bambini, mi sembrava di stare male perché sono un rifugiato. Perché sono dove sono. E l'ho fatto, a volte, lo ammetto. Ma oggi, a anni da quel terribile evento, vive in me solo l'orgoglio di essere da dove vengo, di aver fatto parte di quella colonna nel 1995, parte della storia di una nazione in parte distrutta, in parte esiliata, in parte dispersa in tutto il pianeta.
Nonostante la prima guerra a cui sono sopravvissuta all'età di 6 anni (perché la seconda nel 1999 in Serbia), penso di aver avuto un'infanzia felice, soprattutto grazie alla bacchetta magica di mia madre: l'umorismo.
Case distrutte irreversibilmente, generazioni distrutte, quei sopravvissuti che non sono più vissuti realmente dopo la guerra.. Un'intera nazione che ha sofferto terribilmente e quindi non voglio che questo crimine venga dimenticato.
Perché temo che, se viene dimenticato, accadrà di nuovo."
La testimonianza di chi c'era a Knin in quei maledetti giorni e che nonostante quello che ha vissuto è diventato un campione.





Le azioni criminali perpetrate dall'esercito e dalla polizia croata nel 1995 (operazioni flash, oluja, phoenix, mistral I) hanno avuto come risultato l'eliminazione e l'esodo della quasi totalità della popolazione secolare Serba nelle regioni di Kordun, Lika, Dalmazia, Banija e Slavonia.
Oltre 250.000 Serbi furono cacciati dalle regioni sopra citate (in seguito verranno cacciati anche da Sarajevo e Kosovo) in una evidente operazione di Pulizia Etnica come si può ben notare dalle cartine sottostanti.





dal libro "Croazia, operazione Tempesta"" di Giacomo Scotti - Gamberetti 1996
"Slogan ustasha nell’osteria"
In osteria riconosco un gruppo di uomini, che urlano slogan ustaša,
esibendo magliette con l’effige dell’eroe Gotovina. Li riconosco, avendone vista la fotografia sui giornali più volte alcuni anni addietro; furono processati e condannati per strage di civili nell’ex Krajina. Le pene furono basse, poi intervennero amnistie ed eccoli di nuovo liberi a ubriacarsi.
Esco dall’osteria subito dopo averli riconosciuti, son gente pericolosa, mi dico. Fuori, sulla strada, mi ferma un istriano di Pola, che mi chiama per nome e cognome. É stato combattente dell’esercito croato con una brigata istriana nel ‘95; insieme a croati e italiani di Pola, Dignano, Gallesano, Albona, fu impegnato dapprima nella “liberazione” della Krajina e poi nei rastrellamenti. Il conoscente polese mi racconta un aneddoto mai prima d’ora sentito. La sua e altre brigate addette a rastrellare i boschi e i monti avevano l’ordine di non fare prigionieri, dice.
Un giorno, durante il rancio, gli istriani intonarono un canto popolare istro-veneto, "La mula de Parenzo", seguita dalla nostalgica canzone "Varda la luna, come che la cammina, la passa i monti, il mare e la marina". Nel bel mezzo, il canto venne interrotto dall’apparizione sulla scena di una ventina di soldati nell’uniforme della Krajina con i fucili e mitra a tracolla e le braccia alzate. Si arrendevano. A quel punto, con un secco comando in lingua croata, il comandante del reparto istriano, istriano pure lui, ordinò ai suoi uomini di raccogliere le armi offerte dal nemico.
Solo allora, ascoltando quell’ordine nella comune lingua croato- serba, i serbi compresero d’essersi arresi all’esercito di Tudjman.
La loro morte, pensarono, era sicura. Spiegarono, dopo, di essere stati tratti in inganno dalle canzoni. Una lingua straniera, dunque erano soldati dell’Uncro, soldati dell’Onu…
Il comandante del reparto, nel consegnarli al più alto comando, consegnò pure la lista di nomi e cognomi dei prigionieri, dicendo: “Verremo a trovarli e vogliamo trovarli tutti vivi!”.
Forse lo sono ancora, gli unici sopravvissuti fra i prigionieri fatti nella Tempesta..
Un onore e un piacere per me ospitare Giacomo Scotti nel mio libro Dalla Jugoslavia alle repubbliche indipendenti.
Bruno Maran





5 agosto 1995 - iL’Armata croata Hvo si rende protagonista di una delle operazioni di “pulizia etnica” più rilevanti di tutto il periodo 1991-1995.
Nella Krajina, le milizie croate del gen. Ante Gotovina, spesso drogate e ubriache, compiono, nei giorni e nelle settimane successive, atrocità contro i civili serbi rimasti. Le truppe di “liberazione” entrano nelle deserte cittadine di Drniš, Vrlika, Kijevo, Benkovac, in certi punti superando persino il confine bosniaco. Zagabria impiega uno speciale reparto antiterrorismo chiamato Granadierine, i cui appartenenti portano sulla divisa un dragone rosso. Le forze serbo-bosniache sono costrette ad arretrare. Il generale bosniaco mussulmano Dudaković dopo furiosi combattimenti a Ličko Petrovo Selo stringe la mano al collega croato Mareković sul ponte di Trzačka Rastela, che scavalca il fiume Korana, il confine tra Bosnia e Croazia.
Soldati croati sparano contro una posizione Onu tenuta da militari cechi, ne feriscono cinque, due muoiono dissanguati perché i croati ne impediscono l’evacuazione.
Si stima che 200-250mila serbi siano obbligati alla fuga davanti all’esercito croato. I fondati timori di una “contro-pulizia etnica”, costringono alla fuga migliaia di civili serbi. Secondo Amnesty International, tutte le case abitate dai serbi sono saccheggiate, un terzo dato alle fiamme e interi villaggi distrutti. Gli 8mila chilometri quadrati della Krajina, della Slavonia occidentale e della Dalmazia tornano sotto il controllo croato dopo quattro anni, anche grazie agli accordi segreti tra Zagabria, Belgrado e Washington. Nonostante gli appelli del leader serbo della Krajina Martić e di quello serbo-bosniaco Karadžić, Milošević ordina all’Armata federale di rimanere inattiva di fronte
all’offensiva croata, che sfonda ovunque e conquista Knin, dove sono catturati anche 200 soldati Onu. Un debole corridoio umanitario sarà approntato, per tacitare le deboli riprovazioni del Consiglio di Sicurezza e il richiamo del Gruppo di Contatto. Le reazioni all’Operazione Oluja-Tempesta sono molteplici e di segno diverso. Mentre Russia e Unione europea condannano
l’offensiva, gli Usa dichiarano di comprenderla e giustificarla perché elemento decisivo per la stabilizzazione dei Balcani. Si prospetta una divisione del territorio bosniaco tra la parte serba e quella croato-musulmana. Un ufficiale di collegamento croato racconta alla stampa che alcune settimane prima il gen.Vuono della Mpri ha avuto un incontro segreto nell’isola di Brioni con il gen Červenko, capo di Stato maggiore croato, l’architetto
della campagna di Krajina. Nei giorni che hanno preceduto l’attacco si sono tenute almeno dieci riunioni tra il gen.Vuono e gli ufficiali croati che pianificavano l’operazione. Il 5 agosto, giorno della presa della capitale della Repubblica serba di Krajina, Knin, è festa nazionale in Croazia.
Bruno Maran





4 agosto 1995 – Dopo raid aerei Usa sulle postazioni missilistiche serbe, condotta da aerei senza pilota decollati dall’isola di Brač, alle 5,00 l’esercito croato lancia l’Operacija Oluja (Operazione Tempesta) per la riconquista dei territori della Krajina. Le forze Onu sono avvertite che sta per iniziare un’operazione per “ristabilire la Costituzione, la legge e l’ordine”. Un esercito di 200.000 uomini, di cui 120.000 mobilitati nei giorni precedenti, rioccupa il territorio, ripulendolo dell’intera popolazione, che abbandona i campi, le case, ogni bene, perfino pasti sulla tavola, per raggiungere con auto, trattori e altri mezzi la Bosnia e la Serbia. Si oppone una forza serba a malapena di 60.000 uomini, di cui 20.000 inadatti alla battaglia. Mentre le artiglierie e i carri armati sputano sui serbi tonnellate di granate e dal cielo li martellano gli aerei della Nato, decollati dalla portaerei Roosevelt nell’Adriatico, Radio Zagabria diffonde un ipocrita messaggio di Tudjman, il “Supremo” croato,
che invita le popolazioni serbe a restare nelle loro case e a non aver paura.
Coloro che accolgono l’invito finiscono di lì a poco trucidati. Molti sono uccisi lungo la strada, mitragliati da terra e dal cielo o vittime di sassaiole e linciaggi mentre attraversano i territori croati. L’operazione si rivela la più imponente, in termini di impiego di uomini e mezzi, dall’inizio del conflitto.
Due Caschi blu polacchi dell’Uncro, la missione di pace delle Nazioni Unite, sono feriti, mentre un militare danese è ucciso da un tank croato nei pressi di Petrinja, probabilmente per essersi opposti all’occupazione di una postazione Onu. Le milizie di Knin, impreparate all’attacco, si ritirano verso
Banja Luka.
Bruno Maran
6 agosto 1995, continua la cronaca postuma.
Le milizie croate entrano a Petrinja, Kostajnica, Vrginmost, subito ribattezzata Gvozd, Korenica, Slunj, Plitvice, Cetingrad, Ubdina e altre località. Resistono ancora Glina e Topuško.
Nella Knin conquistata sono centinaia i morti, decine le case distrutte, 30mila i civili serbi che fuggono.
Il generale musulmano Dudaković ordina d’incendiare i villaggi serbi della Krajina occidentale nelle zone di Sanski Most, Petrovac, Kljuć. Radio Zagabria annuncia che “la cosiddetta Krajina” non esiste più.
Proprio a Knin il 17 agosto ‘90 iniziava la ribellione dei serbi di Croazia contro le autorità di Zagabria e migliaia di croati furono cacciati dalle loro case o uccisi dalla “pulizia etnica” serba.
Le 18,00 segnano la fine dell’Operacija Oluja. Tudjman, dall’alto della fortezza turco-veneta di Knin, può esclamare: “Finalmente il tumore serbo è stato strappato dalla carne croata!”.
I neo-ustasha scandiscono, interrompendolo: “Ante, Ante”, esaltando i loro due “eroi”. Uno è Ante Pavelić, il podglavnik. L’altro è Ante Gotovina, comandante del settore sud dell’Oluja. La sua immagine, riprodotta su centinaia di magliette e su grandi fotografie è offerta provocatoriamente per le strade di Knin, dove si cantano inni fascisti, sventolando stendardi nero-teschiati.

Una gigantografia di Gotovina è piantata sulla pietraia carsica. Diventerà l’“eroe” fuggiasco, in quanto ricercato dal Tpiy per crimini di guerra e contro l’umanità commessi contro la popolazione serba. Gotovina è accusato della morte di 150 civili serbi e, con altri membri dell’Hvo, di aver perseguitato e espulso oltre 200.000 serbi dalla Krajina.
Bruno Maran





(Pubblicato originariamente da Novosti  il 3 agosto 2022)

Il 28 aprile 1998, dopo quasi tre anni trascorsi in Serbia, dove si era rifugiata, Stevanija Dobrijević, all’epoca cinquantasettenne, fece ritorno alla sua casa a Varivode. La trovò vuota, i muri interni demoliti, le cornici delle finestre mancanti. Quella notta di primavera, il marito di Stevanija, Špiro – che dopo il 5 agosto del 1995 e l’operazione Oluja aveva deciso di rimanere nel villaggio, subendo anche maltrattamenti da parte di alcuni membri delle forza croate, per poi raggiungere la moglie, continuando però a ritornare di tanto in tanto nella sua terra natia, preparando così il terreno per il ritorno definitivo – si stese su due tavole di legno, appoggiate direttamente sul pavimento in cemento. Continua qui




Il "FHP - Fond za humanitarno pravo" (Centro per il diritto umanitario) di Belgrado, nell'anniversario dell'Operazione militare Oluja (Tempesta) avvenuta nell'agosto del 1995, denuncia in un comunicato stampa che a distanza di 27 anni non è stata ancora riconosciuta giustizia alle vittime. Continua qui




Il 4 agosto 1995 l'esercito del generale croato Gotovina aveva dato l'inizio all'operazione "Tempesta" (Oluja) uccidendo circa 2.000 e espellendo circa 250.000 cittadini di origine serba dalla regione Krajina, sita all'est della odierna Croazia, che fino a quel giorno e da diversi secoli era popolata dai serbi, che ancora il papà di Maria Theresia e poi i suoi discendenti, aveva spostato, dal sud della Serbia odierna, a partire dal 16 secolo, per proteggere i confini dell'Impero Austro-Ungarico dalla minaccia dei turchi mussulmani. Fu un ruolo che i serbi hanno svolto benissimo per tre secoli fino alla dissoluzione dell'impero ottomano.
A titolo di esempio, la famiglia del famoso inventore e scienziato Nikola Tesla, a cui dobbiamo la corrente alternata che utilizziamo e il motore a propulsione elettrica, era composta proprio dai generali dell’esercito serbo impegnati a combattere i turchi per conto dell’esercito Austriaco e dai prelati serbo-ortodossi. La maggior parte dei suoi famigliari furono sterminati durante la Seconda guerra mondiale nel campo di concentramento di Jasenovac in quanto i croati durante la seconda guerra mondiale facevano parte dell’alleanza nazista e i serbi di quella degli alleati (Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti e Russia).
Come dopo la Seconda guerra mondiale gli italiani persero le loro case in Istria, cosi durante la guerra degli anni 90 in ex Jugoslavia i serbi persero tutto quello che possedevano In Croazia, mentre nessun croato perse nulla di proprio in Serbia. Mia nonna paterna era una meravigliosa croata di Spalato e mio padre, suo figlio, in quanto figlio di un serbo, mio nonno, si vedrà portare via, durante gli anni 90 del secolo scorso diverse proprietà che poi gli furono restituite, dopo anni e nelle condizioni fatiscenti, soltanto perché la Croazia era obbligata a farlo dalla UE.
Non solo questo orribile crimine di pulizia etnica non viene mai nominato dai vertici croati, ma, anzi, loro proprio in questi giorni celebrano questa operazione come una festa nazionale e questo nel totale silenzio della UE che fa finta di non sapere, come anche per tanti altri crimini che subirono i serbi in Bosnia e di cui non conviene ricordare per non turbare la narrativa ufficiale dell'epoca.
Tutto ciò è ingiusto e stomachevole. Fa venire la rabbia e un senso di impotenza e ancora di più fa venire la voglia di resistere a testa alta nonostante la menzogna di cui la propaganda occidentale si è sempre servita alla pari di qualsiasi autocrazia contro la quale poi hanno pure il coraggio di puntare il dito.
Bisogna sempre perdonare e andare avanti e cercare di essere sempre i costruttori di pace, però non si può e non si deve dimenticare!
PS: Io mi ricordo di queste colonne quando sono arrivate ai ridossi di Belgrado. Avevo 16 anni e le ho viste purtroppo con i miei occhi.
Lidija






L’agenzia di stampa Tanjug ha riferito la notizia che l’ufficio del procuratore serbo per i crimini di guerra avrebbe messo in stato di accusa Vladimir Mikac, Zdenko Radulj, Zeljko Jelenić e Danijel Borović, tutti ex membri dell’aeronautica militare croata, con l’accusa di aver ordinato un attacco aereo contro una colonna di rifugiati a Bosanski Petrovac e in prossimità del villaggio di Svodna, presso Bosanski Novi (sul territorio dell’odierna Bosnia Erzegovina), tra il 7 e 8 agosto 1995, nel corso della famigerata operazione Tempesta delle forze armate croate. Secondo quanto riferito, nel corso degli attacchi tredici persone sono state uccise (sei delle quali erano bambini), e i quattro andrebbero processati “in contumacia” dal momento che «il passare del tempo fornisce motivi sufficienti per dubitare che la Croazia o la Bosnia Erzegovina avviino effettivamente un procedimento penale contro i responsabili di tale crimine». La famigerata operazione Tempesta, condotta dal 4 all’8 agosto 1995, è stata una delle più violente operazioni militari compiute dalle forze croate nella parte finale della guerra in Croazia (1995), con lo scopo di “liberare” i territori della Repubblica serba della Krajina, istituita sul territorio croato sin dal 1991. L’operazione militare si concluse con la ripresa della Krajina e causò un numero di vittime stimato in almeno 2.000 civili serbi morti e circa 250.000 profughi serbi in fuga.



Chi voleva, e vuole, offenderlo, lo chiama “zingaro” .
Sinisa Mihailovich è un serbo della ex Jugoslavia, aggredita e devastata nel 1999 per non volersi piegare al “Nuovo ordine mondiale” fiorito con la caduta del muro. Nel decennale di questo crimine perpetrato dalle “grandi democrazie occidentali”, l’ Antidiplomatico intervistò Mihailovich: un’intervista che consiglio di andare a rilegge, o a leggere. Nel delirio di menzogne che promossero e legittimarono i bombardamenti nazisti su Belgrado (con la schifosa partecipazione dell’ Italiozza governata da D’ Alema), Mihailovich visse il dramma che derivava da quello che invece fino ad allora era stato un modello di convivenza interetnica, madre croata e padre serbo. In quel periodo Sinisa giocava nella Lazio ed ebbe modo di constatare da vicino le manipolazioni della stampa: sulla prima pagina del maggior quotidiano romano, Il Messaggero, riconobbe il cadavere di un suo amico serbo con un foro di proiettile in fronte, che il quotidiano presentava come vittima dei “cecchini serbi”. Stesso stravolgimento della realtà a proposito del Kossovo, dove oggetto di pulizia etnica furono, e sono, i serbi; la stessa propaganda che commemora la strage di Srebrenica e tace degli antefatti, delle vessazioni, delle discriminazioni, e della cacciata dei serbo bosniaci (250.000) dalle loro case, dal loro territorio. Sinisa venne infamato come fascista per il suo “elogio” di Arkan, intervenuto a difesa dei cittadini serbi espropriati cacciati, ammazzati. Racconta dell’allucinante telefonata di suo zio croato alla sorella (madre di Sinisa), fuggita col marito (padre di Sinisa). “Perché sei fuggita? Quel porco serbo di tuo marito meritava di essere scannato”.
“Io sono comunista più di tanti altri”, precisa. E ricorda la Jugoslavia vissuta da ragazzo; e ovviamente Tito che era riuscito a creare un miracolo di convivenza pacifica tra molte etnie e uno stato sociale che permetteva a tutti una vita dignitosa.
“Cosa ne pensi degli americani”?
“Cosa posso pensare di criminali che hanno bombardato scuole, ospedali, fabbriche del mio Paese?” 
Lo stesso che degli yankee penso io, caro Zingaro. Anche stavolta ce la farai.

Hasta siempre!!!

Sinisa lo zingaro

Riposa in pace Siniša Mihajlović, grande serbo, grande uomo, grande campione, leggenda nostra





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