martedì 18 ottobre 2022

BOMBE E DIPLOMAZIA





Severodonetsk è come Mariupol: più armi a Kiev, più Mosca avanza

BOMBE E DIPLOMAZIA - L’analisi. Come nel caso della città portuale, la disfatta viene spacciata per normale mossa decisa dagli ufficiali di Zelensky.
DI FABIO MINI
Il Fatto Quotidiano 25 GIUGNO 2022
Secondo Kiev, le truppe ucraine impegnate nel territorio di Lugansk, ieri avrebbero ricevuto l’ordine di ritirarsi dall’area di Severodonetsk. Da settimane essa era designata come una sacca che si sarebbe chiusa intrappolando migliaia di combattenti ucraini. Come a Mariupol, la disfatta viene spacciata per una normale manovra diretta dallo stato maggiore ucraino. Le fonti russe raccontano un’altra storia: nell’area del “calderone” non tutti sono riusciti a ritirarsi o fuggire. Soltanto nell’area a sud di Lisichansk sarebbero stati circondati quasi duemila combattenti ucraini tra soldati, miliziani “nazisti” e mercenari stranieri. Inoltre 41 soldati ucraini si sarebbero arresi. È tutto da verificare, ma se Mariupol può fare scuola per altri casi analoghi, la cifra dei duemila accerchiati e presumibilmente catturati è verosimile. La ritirata delle truppe impegnate nel Donbass verso il Dniepr era stata ordinata già prima della resa di Mariupol. Ed era la cosa tatticamente corretta da fare in quella situazione. Ma lo stato maggiore ucraino non aveva ottenuto molto di fronte alle richieste dei miliziani di rimanere e di essere sostenuti con tutte le forze possibili.
La logica dei combattenti regolari è diversa da quella degli irregolari. Mentre i primi hanno comandanti che valutano opportunità e rischi e si preoccupano di minimizzare le perdite e conservare le risorse, i secondi hanno comandanti che tendono a salvare la pelle massimizzando i danni per l’avversario e i non combattenti. In una situazione come in Donbass dove sono le milizie e non i soldati a controllare i centri urbani, lo sviluppo tattico è falsato e i danni per i non combattenti non sono collaterali, ma intenzionali. Le milizie ucraine considerano la popolazione del Donbass come non ucraina e quindi spendibile sia come scudi sia come vittime designate. Le milizie repubblicane di Donetsk e Lugansk pur combattendo in casa propria danno la priorità alla eliminazione dei combattenti di Kiev, anche a costo di sacrificare la propria gente. Come a Mariupol, lo stato maggiore ucraino si è trovato nell’impossibilità di contrattaccare anche localmente per alleggerire la pressione avversaria, si è trovato a corto di rinforzi e rifornimenti e le armi cedute dall’occidente non possono ancora fare una differenza sostanziale. Come a Mariupol le milizie del Donetsk hanno invece avuto il sostegno in armi, fuoco e uomini dalla Russia. Non è una previsione, ma una certezza che ci saranno altre Mariupol e Severodonetsk nel giro di qualche settimana e decine di migliaia di perdite su entrambi i lati. L’afflusso degli aiuti occidentali confermerà il “teorema Lavrov: più arrivano armi e più avanziamo”. Infatti non si tratta di spavalderia o arroganza, ma di necessità. La Russia non può permettersi di avere armi a lungo raggio puntate sul proprio territorio e maggiore è la gittata delle armi occidentali maggiore è l’esigenza di tenerle il più lontano possibile. E che lo schieramento ucraino sia destinato a retrocedere è palese anche dall’annuncio di un ufficiale del Pentagono riguardante i quattro sistemi lanciarazzi Himars da inviare in Ucraina “avranno una gittata massima di 70 Km”, non di 45 chilometri, come annunciato in precedenza, “È il doppio di ciò che hanno con gli obici che stiamo dando. Da un esame del campo di battaglia gli ucraini non hanno bisogno di gittate maggiori”. Ma volendo, gli Himars si possono dotare di munizioni con gittata fino a 300 km. In questo modo si materializza anche la possibilità di dividere l’Ucraina in due in corrispondenza del Dniepr e isolarla dal mare.
Uno scopo non previsto dall’operazione iniziale, ma che proprio l’invio delle armi e l’allargamento del conflitto rendono ora perfino necessario. Zelensky celebra trionfalmente la candidatura all’Unione europea, che sarebbe potuta avvenire già sei mesi fa con il solo negoziato. Per lui è il traguardo per il ritorno in Europa dell’Ucraina finalmente libera e non più svilita nella condizione di stato cuscinetto. Paradossalmente, con la guerra in corso la strada verso la libertà e l’Ucraina rischiano di farsi sempre più strette.

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