La Nato nei Balcani ha sbagliato tutto, ma ora deve restare
CRISI - La Kfor è divenuta di parte. Allerta. Se la Serbia intervenisse militarmente rischierebbe la reazione atlantica
Di Fabio Mini.
Kosovo 23 anni dopo. La situazione è grave e può diventarlo ancora di più. Come sempre guardiamo le immagini immediate e dimentichiamo le origini. Le dimostrazioni e le violenze non sono soltanto atti inconsulti di fanatici, ma derivano da una sequenza di errori commessi negli ultimi vent’anni, a prescindere anche dalla guerra del 1999 che comunque ha violato uno dei cardini della sicurezza e della legalità internazionale. È stato un errore non perseguire e seguire il dettato della risoluzione delle Nazioni Unite 1244, che rimandava all’accordo tra Serbia e Kosovo la definizione dello status finale di quest’ultimo. È stata preferita la forzatura di una non-soluzione di parte che ha favorito la dichiarazione unilaterale d’indipendenza. La Serbia non l’ha mai riconosciuta, ma mentre nel 2011 aveva bisogno urgente e speranze di entrare nell’Ue, oggi, dopo anni di limbo e di continue imposizioni si ritiene ricattata ingiustamente. E molti cittadini serbi non sono più convinti che l’Europa abbia mai voluto veramente includerla. E i cittadini kosovari di etnia serba temono di essere svenduti e traditi.
La dichiarata indipendenza kosovara ha favorito la costituzione di organi interni e soprattutto forze di polizia ostili e vessatorie nei riguardi delle minoranze tanto da indurre analoghe forze serbe a intervenire in Kosovo. Il presunto “boicottaggio” delle elezioni municipali da parte della minoranza serba che sembra essere all’origine delle dimostrazioni di questi giorni è una costante balcanica. Non si riferisce all’istituto democratico delle elezioni ma al sistema di far valere la dittatura della maggioranza in aree in cui essere minoranza significa non avere alcun diritto. La cosiddetta integrazione in questi casi è assimilazione che prevede la rinuncia a qualsiasi identità culturale e politica. Anche la vituperata presenza di “strutture parallele” serbe che operano in Kosovo è una questione volutamente mai risolta. Tali strutture garantiscono a cittadini kosovari le prerogative e l’assistenza che la Serbia ha sempre riconosciuto. Pagano le pensioni, gli stipendi, i sussidi, mettono a disposizione le strutture scolastiche e sanitarie che in Kosovo la comunità e la dirigenza albanese non riconoscono. Assicurano il rispetto del culto religioso e la salvaguardia del patrimonio culturale. La struttura è parallela e parzialmente occulta perché il sistema kosovaro non garantisce nulla di ciò che è stato costretto obtorto collo a dichiarare ufficialmente in materia di multietnicità. Kfor, che si basava sulla equidistanza tra le fazioni e le etnie in nome di uno sviluppo umano complessivo prima ancora che democratico, nel tempo è diventata uno strumento di parte. La guida Nato si è cristallizzata sulla visione divisiva dei rapporti fra Alleanza e resto del mondo e non su quella cooperativa. Esattamente come sta avvenendo nella questione ucraina. Oggi in Kosovo la Kfor è soggetta sia all’arroganza nazionalistica kosovara sia alla strategia dell’Ue e della Nato che di fatto hanno alimentato il nazionalismo serbo. Non ha competenze di polizia e, soprattutto fra le minoranze non solo serbe, è percepita come uno strumento di pressione e vessazione mentre le stesse autorità kosovare la trattano come un ostaggio. Tutte le istituzioni internazionali in Kosovo hanno perduto gran parte della credibilità e autorevolezza che costituivano la sola forza utile alla sicurezza dell’area. Con queste premesse la situazione che si è creata rischia di peggiorare: Kfor, per mandato internazionale, deve garantire la cornice di sicurezza, ma questa poi deve essere gestita dalle forze di polizia kosovare che non solo non sono alle dipendenze di Kfor ma che hanno compiti, personale, mezzi e volontà di alterare la cornice. Kfor comunque non può andarsene o restare indifferente durante le crisi. La Serbia non ha alcuna intenzione di abbandonare i propri cittadini nelle mani né dei K-albanesi né tantomeno in quelle di una forza internazionale ostile. Se la Serbia intervenisse militarmente anche a protezione dei propri cittadini fornirebbe il pretesto alla Nato per tornare a bombardarla. Se la minoranza serba continuasse a dimostrare violentemente e le forze kosovare continuassero ad agire con altrettanta violenza, Kfor e i suoi rinforzi “over the horizon” dovrebbero intervenire. E temo che la Nato di oggi non si preoccuperebbe molto delle minoranze.
Fabio Mini
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