Per sostenere le loro tesi Cristicchi e Bernas, il coautore, sono costretti a intessere il loro testo di una serie di errori, inesattezze ed omissioni storiche, rispolverando l’armamentario ideologico nazionalista sulla romanità e la venezianità di queste terre e negando la secolare realtà multinazionale e multilingue dell’Istria per rivendicare soltanto la sua componente italiana. Si usano inoltre molti degli argomenti di criminalizzazione dei partigiani jugoslavi che già durante la guerra nazisti e fascisti avevano usato per dividere le varie componenti nazionali e sociali della lotta di liberazione.
In questo libro raccogliamo una serie di recensioni al lavoro teatrale e al libro di Bernas che lo ispira, comparse in questi mesi, per offrire agli antifascisti, ma anche a un pubblico più vasto, alcuni mezzi “di difesa culturale” di fronte all’aggressività psicologica e mediatica del nuovo pensiero unico, cosiddetto “condiviso”, di cui il lavoro di Cristicchi è, secondo noi, espressione.
La redazione di diecifebbraio.info
Non sono stati uccisi perché italiani. Non è stata una pulizia etnica. Sono crimini di guerra, frutto di una ritorsione politica e militare, nel contesto della seconda guerra mondiale. Una guerra scatenata e condotta con ferocia dai fascisti italiani, alleati coi nazisti tedeschi, quelli che hanno davvero condotto genocidi, pulizie etniche e perseguitato davvero interi popoli solo per la loro appartenenza. Non mi stancherò mai di dirlo, costi quel che costi. E chi sostiene il contrario spesso lo fa con il preciso scopo di giustificare il fascismo e negare i suoi crimini. E continuare a diffondere l’idea che certi popoli possono essere impunemente oppressi, e che ribellarsi è sempre sbagliato e chi lo fa va punito: anzi, il suo intero popolo va punito. Come hanno fatto e continuano a fare i fascisti; mai i partigiani e gli antifascisti . Eric Gobetti
----In quella trasmissione però emerge, con enorme disappunto di Bruno Vespa, che la foto non mostra la fucilazione di vittime italiane da parte dei feroci partigiani titini. Tutt’altro. Alessandra Kersevan fa notare che la foto ritrae la fucilazione di cinque ostaggi sloveni da parte delle truppe italiane durante l’occupazione italiana della Slovenia (1941-1943). Bruno Vespa attacca furiosamente la signora Kersevan (non si sa perché altri ospiti vengono definiti professore o professoressa, titolo che spetterebbe di diritto anche a questa ricercatrice storica); Raoul Pupo interviene sulla questione solo quando viene interpellato direttamente dalla Kersevan e conferma che il contenuto dell’immagine è completamente opposto a quanto viene fatto passare nella trasmissione. Quando è costretto a prendere atto che la foto ritrae effettivamente ostaggi sloveni fucilati da un plotone d’esecuzione italiano, il conduttore si giustifica dicendo che l’immagine è tratta da un libro sloveno.
Bruno Vespa non porgerà mai le proprie scuse alla professoressa Kersevan per il madornale errore.
In effetti la fotografia è stata scattata nel villaggio di Dane, nella Loška Dolina, a sudest di Lubiana. Si sa anche il giorno in cui la foto fu scattata, il 31 luglio 1942, e addirittura i nomi dei fucilati:
Franc Žnidaršič,
Janez Kranjc,
Franc Škerbec,
Feliks Žnidaršič,
Edvard Škerbec.
Come nella Wehrmacht e nelle SS, anche nell’esercito italiano si documentavano stragi e crimini, salvo tenerli nascosti negli anni successivi per confermare il (finto) cliché del «bono soldato italiano».
Il rullino di cui la fotografia faceva parte viene abbandonato dalle truppe italiane dopo l’8 settembre 1943 e finisce nelle mani dei partigiani. Nel maggio del 1946 la foto (insieme ad altro materiale che testimonia la Lotta di liberazione jugoslava ed i crimini di guerra italiani e tedeschi in Slovenia) viene pubblicata a Lubiana nel libro Mučeniška pot k svobodi («La travagliata strada verso la libertà»).
Nello stesso anno, sempre a Lubiana, viene pubblicato – stavolta in italiano – un altro libro sullo stesso tema, Ventinove mesi di occupazione italiana nella provincia di Lubiana: considerazioni e documenti, a cura di Giuseppe Piemontese.
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