giovedì 7 agosto 2025

Croazia: la distruzione dei libri negli anni '90

 








I MASSACRI IN KRAJINA

 






Krajina 1995: “Sve čisto” (Tutto pulito) - non c'è più un serbo in Croazia disse Tudjman


+6 AGOSTO 1995 ++ Le milizie croate entrano a Petrinja, Kostajnica, Vrginmost, subito ribattezzata Gvozd, Korenica, Slunj, Plitvice, Cetingrad, Ubdina e altre località. Resistono ancora Glina e Topuško. Nella Knin conquistata sono centinaia i morti, decine le case distrutte, 30.000 i civili serbi che fuggono.

Il generale musulmano Dudaković ordina d’incendiare i villaggi serbi della Krajina occidentale nelle zone di Sanski Most, Petrovac, Kljuć.
Radio Zagabria annuncia che “la cosiddetta Krajina” non esiste più. Proprio a Knin il 17 agosto ‘90 iniziava la ribellione dei serbi di Croazia contro le autorità di Zagabria e migliaia di croati furono cacciati dalle loro case o uccisi dalla “pulizia etnica” serba.
Le 18,00 segnano la fine dell’+Operacija Oluja+. Tuđman, dall’alto della fortezza turco-veneta di Knin, può esclamare: “Finalmente il tumore serbo è stato strappato dalla carne croata!”. I neo-ustaša scandiscono, interrompendolo: “Ante, Ante”, esaltando i loro due “eroi”. Uno è Ante Pavelić, il podglavnik.
L’altro è Ante Gotovina, comandante del settore sud dell’Operazione. La sua immagine, riprodotta su centinaia di magliette e su grandi fotografie è offerta provocatoriamente per le strade di Knin, dove si cantano inni fascisti, sventolando stendardi nero-teschiati. Una gigantografia di Gotovina è piantata sulla pietraia carsica. Diventerà l’“eroe” fuggiasco, in quanto ricercato dal Tpiy per crimini di guerra e contro l’umanità commessi contro la popolazione serba. Gotovina è accusato della morte di 150 civili serbi e, con altri membri dell’Hvo, di aver perseguitato e espulso oltre 200.000 serbi dalla Krajina


6 agosto 1995
Le reazioni all’Operazione Tempesta-Oluja sono molteplici e di segno diverso. Mentre Russia e Unione europea condannano
l’offensiva, gli Usa dichiarano di comprenderla e giustificarla perché elemento decisivo per la stabilizzazione dei Balcani.
Le milizie croate entrano a Petrinja, Kostajnica, Vrginmost, subito ribattezzata Gvozd, Korenica, Slunj, Plitvice, Cetingrad, Ubdina e altre località. Resistono ancora Glina e Topuško.
Nella Knin conquistata sono centinaia i morti, decine le case distrutte, 30.000 i civili serbi che fuggono.
Radio Zagabria annuncia che “la cosiddetta Krajina” non esiste più. Proprio a Knin il 17 agosto ‘90 iniziava la ribellione dei serbi di Croazia e migliaia di croati furono cacciati dalle loro case o uccisi dalla “pulizia etnica” serba.
Le 18,00 segnano la fine dell’Operacija Oluja. Tuđman, dall’alto della fortezza turco-veneta di Knin, può esclamare: “Finalmente il tumore serbo è stato strappato dalla carne croata!”.
Le agenzie di stampa diffondono una foto di Tudjman in una
ridicola divisa bianca ornata da orpelli dorati, decorazioni e simboli croati, tanto che l’Economist vi aggiunge la didascalia “Napoleon Tudjman”.
I neo-ustaša scandiscono, interrompendolo: “Ante, Ante”, esaltando i loro due “eroi”. Uno è Ante Pavelić, il podglavnik. L’altro è Ante Gotovina, comandante del settore sud dell’Operazione. La sua immagine, riprodotta su centinaia di magliette e su grandi fotografie è offerta provocatoriamente per le strade di Knin, dove si cantano inni fascisti, sventolando stendardi nero-teschiati. Una gigantografia di Gotovina è piantata sulla pietraia carsica. Diventerà l’“eroe” fuggiasco, in quanto ricercato dal Tpiy per crimini di guerra e contro l’umanità commessi contro la popolazione serba. Gotovina è accusato della morte di 150 civili serbi e, con altri membri dell’Hvo, di aver espulso oltre 200.000 serbi dalla Krajina..
Un ufficiale di collegamento croato racconta alla stampa che alcune settimane prima il generale Vuono della Mpri ha avuto un incontro segreto nell’isola di Brioni con il gen. Červenko, capo di Stato maggiore croato, l’architetto della campagna di Krajina. Nei giorni che hanno preceduto l’attacco si sono tenute almeno dieci riunioni tra il gen. Vuono e gli ufficiali croati che pianificavano l’operazione.

6 agosto 1995, continua la cronaca postuma.
Le milizie croate entrano a Petrinja, Kostajnica, Vrginmost, subito ribattezzata Gvozd, Korenica, Slunj, Plitvice, Cetingrad, Ubdina e altre località. Resistono ancora Glina e Topuško.
Nella Knin conquistata sono centinaia i morti, decine le case distrutte, 30mila i civili serbi che fuggono.
Il generale musulmano Dudaković ordina d’incendiare i villaggi serbi della Krajina occidentale nelle zone di Sanski Most, Petrovac, Kljuć. Radio Zagabria annuncia che “la cosiddetta Krajina” non esiste più.
Proprio a Knin il 17 agosto ‘90 iniziava la ribellione dei serbi di Croazia contro le autorità di Zagabria e migliaia di croati furono cacciati dalle loro case o uccisi dalla “pulizia etnica” serba.
Le 18,00 segnano la fine dell’Operacija Oluja. Tudjman, dall’alto della fortezza turco-veneta di Knin, può esclamare: “Finalmente il tumore serbo è stato strappato dalla carne croata!”.
I neo-ustasha scandiscono, interrompendolo: “Ante, Ante”, esaltando i loro due “eroi”. Uno è Ante Pavelić, il podglavnik. L’altro è Ante Gotovina, comandante del settore sud dell’Oluja. La sua immagine, riprodotta su centinaia di magliette e su grandi fotografie è offerta provocatoriamente per le strade di Knin, dove si cantano inni fascisti, sventolando stendardi nero-teschiati.
Una gigantografia di Gotovina è piantata sulla pietraia carsica. Diventerà l’“eroe” fuggiasco, in quanto ricercato dal Tpiy per crimini di guerra e contro l’umanità commessi contro la popolazione serba. Gotovina è accusato della morte di 150 civili serbi e, con altri membri dell’Hvo, di aver perseguitato e espulso oltre 200.000 serbi dalla Krajina.

Bruno Maran. Dalla Jugoslavia alle Repubbliche indipendenti


martedì 5 agosto 2025

La letteratura in Croazia, una storia falsificata

 


















Vuk Karadzic ha dimostrato che l'idioma "stocavo" era parlato solo dai serbi 





La mostra alla Pinacoteca di Brera "Marino Darsa lo Shakespeare croato" non piace per i seguenti motivi
Marino Darsa è nato a Ragusa, nella Repubblica di Ragusa quando la Croazia stava a 400 km più su 
Era di origine serba di Kotor (Montenegro)
Parlava stokavo ovvero l'idioma parlato solo dai serbi, tant'è che Tudman ha cambiato la lingua croata proprio per differenziarsi dai serbi 
Gli organizzatori hanno ignorato la legge sul patrimonio culturale serbo anche se ne erano a conoscenza 














Una volta falsificati, ovvero croatizzati, nome e cognome di uno scrittore, di un pittore, di un musicista che nacque o visse sul territorio che oggi fa parte della Croazia, la sua opera diventa automaticamente croata. 

E' vietato ai croati rubare la cultura dalmata

Con la legge sui beni del patrimonio culturale serbo son finiti i furti






A Dubrovinik ancora oggi si sentono dalmati e non croati e c'è una scritta contro Zagabria ad ogni angolo di strada. La Dubrovacka republika non è mai esistita se non sulla bocca di qualche persona poco istruita che non sapeva dire Repubblica di Ragusa. I croati giocano sull'ignoranza delle persone, ma fortunatamente internet ci funziona ancora 



C'è una prova inconfutabile del fatto che a Dubrovnik non si sentono croati, ma dalmati poichè esiste un giornale chiamato "Il Dalmata" che striglia la comunità croata di Milano per alcune frasi non corrette anche riguardo a Marino Darsa. Purtroppo questa pagina non consente i PDF per cui dovete cercare voi "Il Dalmata"num.94 pag.12. Articolo di Franco Luxardo







Ho scritto altre volte e lo ripeto qui: la Croazia ha grandi croati, uomini e donne, di cui vantarsi, che meritano di essere celebrati in tutti i campi, compresa l’arte e la letteratura; non ha perciò bisogno di rubarli ad altri popoli. Temo però che i ciechi nazionalisti non cesseranno mai di rubacchiare per ornarsi delle penne altrui."
firmato: Giacomo Scotti
(da.linkiesta.it del /2011/05/01)

E dopo le amebe vennero i croati


La letteratura italiana in Dalmazia: una storia falsificata
Da: Quaderni Giuliani di Storia –- Anno XXIII (°1 gennaio-giugno 2002) pag.21-35
Di Giacomo Scotti. Saggio apparso anche sul quotidiano fiumano in lingua italiana “La Voce del Popolo” nel 2005
Nel lontano 1926, nella serie delle pubblicazioni dell'Accademia Jugoslava delle Arti e delle Scienze di Zagabria, fu pubblicata l'opera di Gjuro Kobler dal titolo Talijansko pjesnistvo u Dalmaciji 16. vijeka, napose u Kotoru i Dubrovniku e cioè: «Poesia italiana in Dalmazia nel XVI secolo, soprattutto a Cattaro e Ragusa».
Dopo quella data nessuno studioso croato ha mai più parlato di una poesia o di una letteratura italiana in Dalmazia nei secoli passati. Cominciò invece un processo di trasformazione di quella letteratura da italiana in croata, processo che ha portato finora a colossali falsificazioni.

In un articolo del 1969 lo storico della letteratura croata Andre Jutrovic scrisse: «.Gli scrittori della Dalmazia che nel passato scrissero le loro opere in lingua italiana devono essere inseriti nella nostra letteratura e nella nostra storia nazionale». In altre parole: considerati croati. Questo medesimo intellettuale, trattando successivamente di singoli scrittori italiani dalmati dei secoli passati, cioè di dalmati di cultura e lingua italiana, li definì «scrittori croati di lingua italiana». Ed oggi questa é diventata una legge: nei libri di storia della letteratura croata, nei dizionari enciclopedici e nelle enciclopedie (croate), tutti quegli scrittori e poeti italiani portano l'etichetta di croati. Le eccezioni sono rarissime, riguardano unicamente Zara, e solo nel caso che si tratti di scrittori cosiddetti «irredentisti» dell'Ottocento e Novecento.
Nell'ottobre 1993, sulle colonne del «Vjesnik» di Zagabria, il presidente dell'Associazione degli scrittori croati dell'epoca mi accusò di aver «trasformato in italiani tutta una serie di scrittori croati dell'antica Ragusa». E questo perché, in un saggio sulla rivista «La Battana» (n. 109) avevo riportato i nomi originali di alcuni scrittori ragusei vissuti tra il Cinquecento e il Settecento, indicando i titoli originali in italiano e latino delle loro opere: Savino de Bobali (1530-1585); Serafino Cerva (1696-1759), Sebastiano Dolci, Stefano Gradi e altri che presto incontreremo. Io sfido tutti gli studiosi di letteratura di questo paese a portarmi un sola opera di questi scrittori e poeti che sia stata scritta in croato; li sfido a portarmi un solo
documento, a cominciare dagli stessi libri di questi autori, nei quali i loro nomi siano scritti così come li scrivono oggi i loro falsificatori.






Qualche anno fa il pubblicista Ezio Mestrovich, sul quotidiano «La Voce del Popolo», riferì le parole dettegli da un anonimo e «illustre croato» per spiegare l'avversione che certi intellettuali croati nutrono verso l'Italia e gli italiani: «Siamo tanto affascinati dalla cultura italiana e la sentiamo così vicina, che, rischiamo di esserne compressi e plagiati al punto, da rinunciare alla nostra. Quando ci si spinge in questa direzione, allora l'amore può diventare odio».

E spinto dall'odio, qualcuno cerca di appropriarsi di ciò che non gli appartiene fino al punto da definire croato Marco Polo! Oppure da dichiarare «croato da sempre» - laddove quel sempre potrebbe portarci all'inizio dell'umanità - ogni lembo dell'odierna Croazia che nel lontano o recente passato è stato invece abitato anche dagli italiani e concimato dalla cultura italiana, e prima ancora da quella latina. Oggi, purtroppo, la croatizzazione della letteratura, dell'arte e della cultura italiane fiorite in Istria e Dalmazia nei secoli passati diventata una regola nei libri di testo per le scuole e, come già detto, anche nelle enciclopedie croate. A questo scopo si ricorre alla contraffazione perfino dei nomi e cognomi. Le appropriazioni cominciano infatti proprio dalle generalità , cioè dalla loro croatizzazione. Una volta falsificati, ovvero croatizzati nome e cognome di uno scrittore, di un pittore, di un musicista e di qualsiasi altro personaggio, ed accertato che nacque o visse sul territorio che OGGI fa parte della Croazia, la sua opera diventa automaticamente croata.






Immaginate che cosa succederebbe se in tutto il mondo fosse applicata la prassi di appropriarsi del presente e del passato del territorio conquistato o acquistato. I nuovi padroni politici diventerebbero ipso facto anche padroni della storia, dello spirito, della cultura e dell'opera letteraria ed artistica creata nei secoli precedenti dal popolo o dai popoli di quel territorio. Non a caso questo principio é stato esteso dalla Dalmazia all'Istria e alle isole del Quarnero dopo la seconda guerra mondiale. Così per esempio il poeta e musicologo istriano Andrea Antico, nato verso il 1490 a Montona e vissuto a Venezia, é diventato «Andrija Motuvljanin» e Andrija Staric; grazie a lui gli inizi della musica croata sono stati spostati al Cinquecento.

Quando non si riesce a falsificare il cognome, si falsifica almeno il nome e allora il pittore fiumano dell'Ottocento Giovanni Simonetti diventa Ivan Simonetti; sempre a Fiume l'illustre medico Giorgio Catti diventa Djuro Catti, Giovanni Luppis si trasforma in Ivan Lupis o addirittura Vukic e si potrebbe continuare a lungo. Quasi sempre però si segue la regola della contraffazione totale di nome e cognome, in modo da cancellare ogni traccia di italianità.

Allora capita che il grande filosofo e poeta rinascimentale italiano Francesco Patrizio da Cherso ( 1529-1597) venga via via trasformato dalla storiografia croata in Frane Patricije-Petric nel 1927 (M. Dvomicic) e in Franjo Petric nel 1929 (F. Jelacic); resta Francesco Patrizi per I. Kamalic, nel 1934, ma viene scritto Franje Patricijo da Nikola Zic nello stesso anno; poi, ¨ Franjo Petric-Franciscus Patricius per Ivan Esih nel 1936 e Franjo Petris per S. Juric nel 1956 e Franciskus Patri-cijus per V. Premec nel 1968; per altri ancora il cognome si trasforma in Petric, Petrisic e Petracevic, infine il cosiddetto «padre della filosofia creata» diventato stabilmente Frane Petric dopo che così lo chiamarono V. Filipovic e Zvane Crnja nel 1980. In suo onore vengono tenute le «Giornate di Frane Petric» a Cherso, le giornate di un uomo inesistente.





Perché allora “ chiederà qualcuno - gli storici croati si accaniscono tanto a enfatizzare il Nostro? Su quale fondamento basano le loro asserzioni? Ecco, ricorrono a una leggenda. Il critico letterario croato Franjo Zenko scrisse nel 1980 nella prefazione alla traduzione croata dell'opera di Patrizio Della Historia Dieci Dialoghi: «Sull'origine del filosofo chersino per ora non si può dire nulla con certezza. L'accenno fatto dallo stesso filosofo nella sua autobiografia, laddove si dice che i suoi antenati vennero dalla Bosnia come discendenti di famiglia reale, non si può accettare come degno di fede; e finora non si sono trovati documenti che attestino da quale località o regione giunsero a Cherso». E tuttavia, è bastato l'accenno di Patrizio alla leggenda familiare secondo la quale i Patrizio fossero discendenti di una famiglia reale bosniaca, per indurre quasi tutti gli intellettuali croati, fino agli organizzatori delle «Giornate di Frano Petric» ad affermare, ripetere, scrivere e scolpire sul marmo la croaticità di Francesco Patrizio. A dimostrazione, questo fatto, della pochezza morale e intellettuale dei falsificatori.

E qui, prima di continuare con altri esempi di falsificazioni, voglio subito dire un mio pensiero in merito. La contraffazione della storia e l'appropriazione indebita da parte croata dei grandi uomini e delle grandi opere della cultura italiana di queste terre - Istria, Dalmazia, Quarnero – risponde ad una vecchia-nuova forma di nazionalismo e sciovinismo. La frustrazione derivante da un senso di minor valore e le insufficienze culturali vengono trasformate in miti di vittoria, dietro i quali si nascondono l'invidia e l'odio. In questo caso l'odio per l'Italia e gli italiani. Succede come quando, alcuni anni addietro in certe regioni martoriate dalla guerra, per fare pulizia etnica o si ammazzavano le persone di diversa etnia oppure queste venivano terrorizzate e costrette a scappare; ma anche dopo la fuga restavano le loro case chiese o moschee a testimonianza della presenza secolare nel territorio di quella etnia; a questo punto si distruggevano quelle case e templi con il fuoco e con la dinamite.

Si è arrivati al punto da dichiarare croato perfino uno dei primi creatori del romanzo italiano, Gian Francesco Biondi, nato a Lesina sull'omonima isola dalmata nel 1574 e morto nel 1644 ad Aubonne presso Berna in Svizzera. Per gli storici della letteratura
croata che se ne sono appropriati egli è uno «scrittore croato di lingua italiana». Nelle enciclopedie viene indicato con il nome ibrido di Ivan Franjo Biondi-Biundovic. Egli peraltro visse per lunghi anni a Venezia mantenendo rapporti epistolari con Galileo, fra Paolo Sarpi, con i corregionali dalmati Ghetaldi, Francesco Patrizio e Marcantonio Dominis, fu diplomatico della Serenissima presso la corte francese, la corte dei Savoia e la corte di Londra, dove sposa una nobildonna inglese.

Giacomo Scotti






E' assurdo parlare di nazionalità prima che nascessero gli stati nazione come li intendiamo ora. Una volta c'erano i regni e la nazionalità era intesa come stirpe, discendenza. Dato che Marino Darsa era figlio di padre serbo anche perchè a Ragusa non vi era un solo croato, mentono sapendo di mentire i croati che si sono appropriati della cultura dalmata 










RICORDO DI OLUJA A 30 ANNI DAL MASSACRO

30 anni fa i croati massacravano i serbi e oggi la Croazia festeggia su quei morti. Donne anziane bruciate vive nelle loro case perchè non erano riuscite a fuggire 

A nessuno importa nulla e tutti sono pronti a far passare i serbi come criminali per Srebrenica

Vergognatevi! 




+3 AGOSTO 1995 + A Ginevra falliscono i negoziati tra le autorità croate e i serbi della Krajina.

Bombardate città croate al confine, come Gospić. Caccia Jastreb decollano da Ubdina, nella Krajina, e bombardano Bosansko Grahovo e Glamoć, in palese violazione della no-fly-zone, ma gli aerei Nato non intervengono.
Mladić informa l’Onu di aver ucciso il colonnello Palić, comandante bosniaco della difesa di Žepa: “Palić è stato ucciso in seguito a un impasse delle trattative”, come gli oltre 200 soldati musulmani rimasti in città. Palić si era offerto come garante nelle trattative per la salvezza dei civili.
“Ve ne andrete sani e salvi” disse Mladić ai prigionieri in una trattativa-farsa ripresa dalle tv internazionali
L'OLUJA TEMPESTA è alle porte

+ 4 AGOSTO 1995 + Dopo raid aerei USA sulle postazioni missilistiche serbe, condotti da aerei senza pilota decollati dall’isola di Brač, alle 5,00 l’esercito croato lancia l’OPERACIJA OLUJA (Operazione Tempesta) per la riconquista dei territori della Krajina. Le forze Onu sono avvertite che sta per iniziare un’operazione per “ristabilire la Costituzione, la legge e l’ordine”.
Un esercito di 200.000 uomini, di cui 120.000 mobilitati nei giorni precedenti, rioccupa il territorio, ripulendolo dell’intera popolazione, che abbandona i campi, le case, ogni bene, perfino pasti sulla tavola, per raggiungere con auto, trattori e altri mezzi la Bosnia e la Serbia.
Si oppone una forza serba a malapena di 60.000 uomini, di cui 20.000 inadatti alla battaglia. Mentre le artiglierie e i carri armati sputano sui serbi tonnellate di granate e dal cielo li martellano gli aerei della Nato, decollati dalla portaerei Roosevelt nell’Adriatico, Radio Zagabria diffonde un ipocrita messaggio di Tudjman, il “Supremo” croato, che invita le popolazioni serbe a restare nelle loro case e a non aver paura.
Coloro che accolgono l’invito finiscono di lì a poco trucidati. Molti sono uccisi lungo la strada, mitragliati da terra e dal cielo o vittime di sassaiole e linciaggi mentre attraversano i territori croati. L’operazione si rivela la più imponente, in termini di impiego di uomini e mezzi, dall’inizio del conflitto.

+ 5 AGOSTO 1995 + L’Armata croata Hvo si rende protagonista di una delle operazioni di “pulizia etnica” più rilevanti di tutto il periodo 1991-1995.
Nella Krajina, le milizie croate del gen. Ante Gotovina, spesso drogate e ubriache, compiono, nei giorni e nelle settimane successive, atrocità contro i civili serbi rimasti. Le truppe di “liberazione” entrano nelle deserte cittadine di Drniš, Vrlika, Kijevo, Benkovac, in certi punti superando persino il confine bosniaco. Zagabria impiega uno speciale reparto antiterrorismo chiamato Granadierine, i cui appartenenti portano sulla divisa un dragone rosso. Le forze serbo-bosniache sono costrette ad arretrare. Il generale bosniaco mussulmano Dudaković dopo furiosi combattimenti a Ličko Petrovo Selo stringe la mano al collega croato Mareković sul ponte di Trzačka Rastela, che scavalca il fiume Korana, il confine tra Bosnia e Croazia.
Soldati croati sparano contro una posizione Onu tenuta da militari cechi, ne feriscono cinque, due muoiono dissanguati perché i croati ne impediscono l’evacuazione.
Si stima che 200-250mila serbi siano obbligati alla fuga davanti all’esercito croato. I fondati timori di una “contro-pulizia etnica”, costringono alla fuga migliaia di civili serbi. Secondo Amnesty International, tutte le case abitate dai serbi sono saccheggiate, un terzo dato alle fiamme e interi villaggi distrutti. Gli 8mila chilometri quadrati della Krajina, della Slavonia occidentale e della Dalmazia tornano sotto il controllo croato dopo quattro anni, anche grazie agli accordi segreti tra Zagabria, Belgrado e Washington. Nonostante gli appelli del leader serbo della Krajina Martić e di quello serbo-bosniaco Karadžić, Milošević ordina all’Armata federale di rimanere inattiva di fronte all’offensiva croata, che sfonda ovunque e conquista Knin, dove sono catturati anche 200 soldati Onu. Un debole corridoio umanitario sarà approntato, per tacitare le deboli riprovazioni del Consiglio di Sicurezza e il richiamo del Gruppo di Contatto. Le reazioni all’Operazione Oluja-Tempesta sono molteplici e di segno diverso. Mentre Russia e Unione europea condannano l’offensiva, gli Usa dichiarano di comprenderla e giustificarla perché elemento decisivo per la stabilizzazione dei Balcani. Si prospetta una divisione del territorio bosniaco tra la parte serba e quella croato-musulmana. Un ufficiale di collegamento croato racconta alla stampa che alcune settimane prima il gen. Vuono della Mpri ha avuto un incontro segreto nell’isola di Brioni con il gen Červenko, capo di Stato maggiore croato, l’architetto della campagna di Krajina. Nei giorni che hanno preceduto l’attacco si sono tenute almeno dieci riunioni tra il gen.Vuono e gli ufficiali croati che pianificavano l’operazione. Il 5 agosto, giorno della presa della capitale della Repubblica serba di Krajina, Knin, è festa nazionale in Croazia.

Bruno Maran. Dalla Jugoslavia alle repubbliche indipendenti




lunedì 4 agosto 2025

IL DOTTORATO DI RICERCA DI ALESSANDRO DI MEO





 

 Siamo molto felici di condividere un lavoro immenso terminato 10 anni fa che poi forse non si è terminato per nulla 

Parliamo del dott. Alessandro di Meo che poi quale dottore e dottore.. per noi è ìl nostro Ale che ci ha aiutato tanto 17 anni fa all'inizio di Balkan crew 

Spesso ciattavamo mentre lui era in Kosovo in condizioni tutt'altro che facili 

Un grazie infinito Alessandro e mi spiace che forse nella tua tesi non hai parlato dei tanti bambini kosovari che hai fatto venire a Roma per dei momenti di affetto, ma noi sappiamo quanto vali e ti ringraziamo perchè il bene si spande a macchia d'olio e copre i tanti che fanno del male 

Maggiori informazioni su UN SORRISO PER OGNI LACRIMA, Un cerchio si chiude, 2 luglio 2015

Un sorriso per ogni lacrima





Il cerchio si è chiuso.
Vi presento, sperando di fare cosa gradita, il mio ultimo lavoro, costato oltre tre anni di impegno, dal titolo: " Monasteri del Kosovo e della Metohija: patrimonializzazione di un Bene Culturale a rischio estinzione".



Si tratta di un Dottorato di Ricerca in Cultura e Territorio, svolto presso il Dipartimento di Scienze storiche, filosofico-sociali, dei beni culturali e del territorio dell'Università degli studi di Roma "Tor Vergata", felicemente conclusosi con la presentazione del 30 giugno scorso, davanti a tanti amici e ad una prestigiosa commissione (fra i componenti ricordo il prof. Aldo Bernardini e l'ex ambasciatrice di Serbia in Italia, d.ssa Sanda Rašković Ivić).

Dopo le amebe vennero i croati (Voce del Popolo 29 apr)

 




Potrei firmare anche virgole e punti del testo pubblicato da Gian Antonio Stella sul “Corsera” di Milano e riportato integralmente da “La Voce del Popolo” l’indomani (23 aprile), ma poiché sull’argomento dell’appropriazione indebita di grandi personaggi della letteratura, della cultura e della storia italiana ho scritto a più riprese, arrabbiandomi forte, negli ultimi cinquant’anni, proverò a fare una cernita e una sintesi su questo brutto vezzo degli storici e politici croati – e fossero soltanto loro! – che non hanno risparmiato nessuno dei tanti grandi italiani “colpevoli” di essere nati o semplicemente di essere passati nelle e per le terre della Dalmazia, del Quarnero e dell’Istria oggi incluse nella Croazia. Per questi signori quegli italiani, per lo più sudditi della Serenissima repubblica di Venezia, furono e restano croati.

Negli ultimi venti anni si è giunti a croatizzare il veneziano e italiano Marco Polo. Già Franjo Tuđman lo fece, ora c’è caduto Stjepan Mesić, anche lui per un viaggio in Cina. Nel periodo immediatamente successivo alla secessione della Croazia dalla Jugoslavia ed alla conquista dell’indipendenza, all’inizio degli anni Novanta del secolo appena tramontato, nel contesto di un nazionalismo esasperato dalla guerra e dai rancori prolungatisi nel dopoguerra, Tuđman e i suoi se la presero anche con l’Italia e si appropriarono di numerosi scrittori, architetti, scultori ed altri artisti italo-veneti, dichiarandoli croati.

Il filosofo chersino Francesco Patrizi divenne Franjo e Frane Petrić ed ancora oggi, nei convegni annuali a lui dedicati a Cherso, è sempre e soltanto croato, viene chiamato sempre come lui non si firmò mai. Gli studiosi croati della sua opera sono però costretti a tradurre i suoi libri dal latino e dall’italiano. Poi si è arrivati al celeberrimo Marco Polo. Recandosi in Cina, il “Supremo” si vantò davanti al Congresso del Popolo di aver seguito le orme del suo “connazionale”, ordinando ai suoi di scriverne il nome con la kappa: Marko. Cominciò da allora a correre sulla linea ferroviaria Zagabria-Venezia il treno Marko Polo (e l’Italia non protestò) e prese a navigare, come tuttora naviga, la nave passeggeri Marko Polo con la kappa. Dunque, a dire di Tuđman e di altri “storici” croati il veneziano sarebbe nato a Curzola (dove una leggenda parla di una “casa di Marco Polo”) e sarebbe stato di nazionalità croata. Oddìo, c’è pure qualche altro che lo vuole nato a Sebenico, ma lasciamo stare. Certo, in Dalmazia, ancora oggi, gente col cognome Polo, De Poli e simili ce n’è tanta, ma è pur vero che Venezia fu la signora della Dalmazia e di gran parte dell’Istria per quattrocento anni e ci furono giudici, capitani, podestà, rettori e conti veneziani mandati sull’Adriatico orientale che si chiamavano Polo e lasciarono in queste terre qualche rampollo, come l’hanno lasciato i Tiepolo (vedi a Pago i Chiepolo) i Cambi a Spalato, i Fiamengo a Lissa eccetera, eccetera.

Come se non bastasse, Tuđman volle mettere le mani anche su Ruggero Giuseppe Boscovich, raguseo, figlio di padre erzegovese e di madre oriunda bergamasca – Bettera – lo scienziato gesuita vissuto in Italia fin dai tredici anni di età. Scrisse le sue opere soltanto in italiano e in francese, personalmente polemizzò con chi voleva cambiargli nome e cognome, ma ciononostante Tuđman voleva che il monumento dello scienziato a Milano lo indicasse con nome e cognome scritti con la grafia croata: Rudjer Bošković. Il governo italiano quella volta disse di no e la visita ufficiale del “Vrhovnik” in Italia sfumò. Mise piede in Italia soltanto per visitare a Roma la mostra dell’arte rinascimentale croata, quasi esclusivamente dalmata e quasi esclusivamente fatta di opere di scultori e architetti italiani del Rinascimento. Purtroppo ad ospitare quella mostra fu la Città del Vaticano e Tuđman mise piede in Italia soltanto per andare in quel minuscolo anche se potentissimo Stato.

In alcune guide della Croazia e in tutti i libri di testo in materia di commercio nelle scuole superiori croate si legge che l’inventore della “partita doppia” fu un croato, e si fa il nome di Benko Kotruljić alias Kotruljević, raguseo. Ebbene quell’uomo era Benedetto Cotrugli, figlio di un mercante pugliese stabilitosi a Ragusa, autore – Benedetto non suo padre – del famoso libro “Della mercatura e del mercante perfetto” pubblicato a Venezia nella prima metà del XV secolo. Oltretutto, il Cotrugli visse per lo più in Italia e si spense a Napoli.

Uno “storico” di musica zagabrese con il quale polemizzai negli anni Settanta, scrisse – e nella storia della musica croata si ripete quanto lui scrisse allora sul “Borba” – che il compositore istriano del XV secolo Andrea da Montona il Vecchio, tra l’altro inventore della stampa delle note musicali, era croato. Perciò gli cambiò i connotati chiamandolo Andrija Motuvljanin-Starić. Anche il montonese, tanto per cambiare, visse fin da ragazzo a Venezia e scrisse unicamente in italiano i versi dei suoi pezzi musicali. Quando il papa Giovanni Paolo II arrivò a Fiume (e molti giornalisti italiani scrissero Rijeka, alla radiotelevisione pronunciato “rigieca”), la Curia zagabrese inviò a tutti i giornali (compresa “La Voce del Popolo”) un inserto a pagamento di una decina di pagine sui “santi croati”. Ne trovai alcuni – per lo più “beati” – vittime delle persecuzioni anticristiane degli imperatori romani: santi polesani, istriani. Non mi risulta che all’epoca romana ci fossero croati e slavi in genere in Istria e Dalmazia.

A Fiume, un modesto autore di saggi su argomenti più disparati relativi alla cultura, all’arte, alla museologia, alla storia e agli eventi politici del capoluogo del Quarnero, per dimostrare che tutto qui fu in passato e resta oggi croato, se la prese con alcuni nostri scrittori, facendo i nomi di Ezio Mestrovich e Nirvana Ferletta, scrivendoli alla croata: Meštrović e Frleta- Volle “dimostrare” che i “cosiddetti” italiani fiumani, e non solo loro, erano dei croati voltagabbana, quasi quasi dei traditori. Che ne direbbe se io gli mettessi sotto gli occhi e il naso cognomi italiani di personaggi croatissimi come il leader del Partito nazionale croato della seconda metà dell’Ottocento, Juraj Bianchini, oppure il grande poeta croato dello scorso secolo, Gvido Tartaglia, il grande attore zagabrese del Novecento, Tito Strozzi, o l’attuale ambasciatore croato in Argentina Castelli, il notissimo studioso d’arte in Dalmazia, Nenad Cambi, il poeta Jakša Fiamengo, il compositore Mario Nardelli, l’architetto Bernardo Bernardi, il capo dell’Istituto di Epidemiologia della Croazia, dott. prof. Dinko Rafanelli, il cantante del gruppo “Trubaduri”, Luciano Capurso, il presidente del Sindacato dei marittimi della Croazia, Predrag Brazzoduro, la giornalista Sanja Corazza, il pittore Josip Botteri Dini, il giornalista e leader degli studenti croati, Vojislav Mazzocco? Potrei continuare fino a domani.

Ho scritto altre volte e lo ripeto qui: la Croazia ha grandi croati, uomini e donne, di cui vantarsi, che meritano di essere celebrati in tutti i campi, compresa l’arte e la letteratura; non ha perciò bisogno di rubarli ad altri popoli. Temo però che i ciechi nazionalisti non cesseranno mai di rubacchiare per ornarsi delle penne altrui.

Giacomo Scotti




 

Croazia: la distruzione dei libri negli anni '90

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