domenica 13 giugno 2021

IN DIFESA DELLA JUGOSLAVIA




 Una volta che la Jugoslavia iniziò a disintegrarsi, l'Occidente incoraggiò la sua dissoluzione, riconoscendo Slovenia, Croazia e Bosnia.

Tuttavia, quando i Serbi cercarono di separarsi dalle ultime due enclavi nazionaliste, l'Occidente esitò, definendo i loro sforzi "aggressione". Gli Stati Uniti, che si erano rifiutati di consentire la secessione, al costo di 630.000 vite, criticarono Belgrado per aver fatto lo stesso.
Piuttosto che promuovere una soluzione pacifica, attraverso, ad esempio, il cosiddetto accordo di Lisbona all'inizio del conflitto, Washington fomentò la guerra. Incoraggiò la Bosnia a combattere e la Croazia a condurre la più grande campagna di pulizia etnica della regione, cacciando centinaia di migliaia di Serbi dalla regione della Krajina.
Poi gli Stati Uniti iniziarono a bombardare gli insorti serbi in Bosnia per costringerli ad accettare il bizzarro accordo di Dayton, che pretendeva di preservare una Bosnia multietnica. Questo stato artificiale è sopravvissuto solo attraverso l'occupazione militare occidentale.
Poi la Nato decise di intervenire in Kosovo, una guerra civile di modeste proporzioni rispetto a una ventina in tutto il mondo.
L'amministrazione tentò di imporre ai serbi l'accordo di Rambouillet; richiedeva alla Jugoslavia di consentire alle forze occidentali il libero accesso in tutto il paese, come se fosse un territorio conquistato.
Belgrado comprensibilmente rifiutò il permesso, così l'Occidente lanciò una guerra di aggressione contro uno stato che non aveva né attaccato né minacciato gli Stati Uniti; il Presidente Clinton iniziò a bombardare senza l'autorizzazione del Congresso o dell'ONU.
L'Occidente vittorioso, dal 13 giugno di ventidue anni fa, ha poi presieduto alla pulizia etnica di un quarto di milione di serbi, ebrei, zingari e musulmani non albanesi.
Solo l'occupazione militare ha preservato il bizzarro status quo: l'autonomia all'interno della Serbia, che né gli albanesi né i serbi desideravano.
Matteo A.

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