lunedì 9 agosto 2021

Marta Drpa - pallavolista




Grazie per la traduzione a Riponderare i Balcani


"Era un agosto caldo, quasi come questo.
La mattina presto verso le 5 o 6 del mattino sono stata svegliata dalle granate. C'era rumore e rotture da tutte le parti.
Avevo 6 anni ed ero consapevole che la guerra era in corso, i bombardamenti non erano una novità per me. Mia madre mi ha portato in bagno (perché è il posto più sicuro lì), mi ha messo i jeans, una maglietta viola e le mie scarpe da ginnastica preferite, che mi hanno reso così importante in quei giorni perché ero l'unica che non aveva i lacci ma il velcro, e l'impronta di Topolino su di loro è rimasta impressa per sempre nella mia memoria. Il rumore delle granate non si è placato per tutta la mattina, sono rimasta in quel bagno che non ricordo più quanto tempo, portata via dalla paura, ma con la sensazione che sarebbe andato tutto bene di sicuro anche questa volta. Ma il bombardamento continuava e per essere più sicuri decidemmo di andare nel rifugio.
- "Dai, sei vestiti, andiamo al rifugio"
Risposi con voce spaventata:
- "Lo farò, ma le mie gambe no, non vogliono andare"
Le bombe smetteranno di cadere tra un'ora e torneremo al nostro appartamento nel centro di Knin, sopra la farmacia.
Dopo alcune ore nel rifugio, arrivò la notizia che Knin era caduta, che dovevamo fuggire dalla città, chiunque poteva doveva farlo per sopravvivere. Siamo saliti in macchina e ci siamo diretti verso la Serbia.
Non ricordo quanto durò il viaggio, so che non c'era fine, ricordo le colonne, il caldo, la sete, i vecchi sui trattori, i bambini che piangevano. Ricordo che avevo costantemente la nausea, che vomitavo fino in fondo, e il problema più grande per me era che vomitavo nello strofinaccio di mia nonna perché mia nonna era sempre una donna meticolosa. Pensavo che mi avrebbe sicuramente punito per quella mia settimana, ignara del fatto che stavamo effettivamente andando via dalle nostre case verso l'ignoto, che non saremmo mai più tornati lì, che avevamo perso tutto durante quella giornata.
Ricordo che quando siamo arrivati ​​in Serbia, siamo stati in diverse città per alcuni giorni. Alla fine abbiamo vissuto per ben due mesi in un hotel a Belgrado, dove ora mi fermo spesso per i preparativi con la nazionale.
E così, ci siamo trasferiti, siamo ripartiti da zero con dignità tipica Serba.
A scuola, al parco, in tutti i posti con altri bambini, mi sembrava di stare male perché ero una rifugiata. Perché sono dove sono. E l'ho fatto, a volte, lo ammetto. Ma oggi, a anni da quel terribile evento, vive in me solo l'orgoglio di essere da dove vengo, di aver fatto parte di quella colonna nel 1995, parte della storia di una nazione in parte distrutta, in parte esiliata, in parte dispersa in tutto il pianeta.
Nonostante la prima guerra a cui sono sopravvissuta all'età di 6 anni (perché la seconda nel 1999 in Serbia), penso di aver avuto un'infanzia felice, soprattutto grazie alla bacchetta magica di mia madre: l'umorismo.
Case distrutte irreversibilmente, generazioni distrutte, quei sopravvissuti che non sono più vissuti realmente dopo la guerra.. Un'intera nazione che ha sofferto terribilmente e quindi non voglio che questo crimine venga dimenticato.
Perché temo che, se viene dimenticato, accadrà di nuovo."
La testimonianza di chi c'era a Knin in quei maledetti giorni e che nonostante quello che ha vissuto è diventato un campione.
Riponderare i Balcani





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