Una libertà intrisa di sangue. Slobodan Praljak è stato ai vertici dell’esercito croato e fu inviato in Bosnia Erzegovina come rappresentante delle autorità di Zagabria al fine di coordinare le attività delle milizie nazionaliste croato-bosniache (HVO) che, nell’area di Mostar, si sono rese responsabili di stragi e deportazioni, oltre che di traffici illeciti di armi e stupefacenti. Il campo di concentramento di Dretelj, non lontano da Mostar e Međugorje, deteneva in condizioni disumane centinaia di musulmani. Fu proprio Praljak ad autorizzare i giornalisti europei a entrare nel campo. Quella guerra era così, non ci si vergognava della barbarie, non si nascondeva il crimine poiché si riteneva di essere nel giusto.
Praljak dunque sapeva, come sapeva delle persecuzioni ai danni dei civili di religione musulmana, della distruzione dei loro villaggi, delle stragi inutili ai fini militari ma necessarie alla pulizia etnica. Sapeva e non ha fatto nulla, anzi ha ordinato la distruzione del ponte di Mostar, simbolo dell’antica convivenza etnica degli slavi del sud. E siccome sapeva, e ha taciuto quando non promosso i crimini dell’HVO, è stato condannato a ventidue anni di reclusione. E’ questo l’eroe che i croati piangono.
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