martedì 30 agosto 2022

LA SERBIA COSTRETTA A TOGLIERE IL PIEDE DA UNA DELLE DUE SCARPE




 Il 26 agosto scorso, il vicesegretario di Stato aggiunto degli Stati Uniti per gli Affari europei ed euroasiatici, Gabriel Escobar ha rivolto un appello ai serbi invitandoli ad “abbandonare la narrativa secondo cui il Kosovo è Serbia” e passare a quella per la quale “il Kosovo e la Serbia sono in realtà Europa”.

Immediata la replica da parte della portavoce del ministro degli Esteri russo Marija Zakharova, che sul suo canale Telegram ha affermato che “la Russia non dimenticherà mai che il Kosovo è una parte del territorio della Serbia”.
Lo stesso presidente serbo Aleksandar Vučić, ha sottolineato, durante una conferenza stampa tenutasi il giorno successivo che le parole di Escobar rappresentano semplicemente la posizione dell’America e che questa non può influenzare le decisioni dello stato balcanico.
Vučić ha successivamente dichiarato di essere riuscito ad ottenere, attraverso l’impegno della diplomazia serba il ritiro del riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo da parte di 7 stati, non volendo tuttavia rivelare ulteriori dettagli fino a tempo debito.
Solamente un mese prima le dichiarazioni di Escobar, il 26 luglio, il Ministro degli Affari Esteri degli Stati Uniti, Antony Blinken aveva incontrato a Washington, il primo ministro del Kosovo Albin Kurti ed aveva espresso pieno sostegno all’integrazione euro-atlantica del Kosovo non tenendo minimamente in considerazione le tensioni internazionali.
Da lì a poco, il 31 luglio, l’implementazione delle leggi riguardanti la documentazione necessaria per il movimento transfrontaliero ha riacceso fortissime tensioni tra Belgrado e Pristina, disinnescate - solo temporaneamente - grazie ad accordi mediati dall’Unione Europea.
L’interessamento statunitense per la regione, d’altronde, non è mai stato un segreto. Basti ricordare che la stessa amministrazione Biden aveva collocato i Balcani occidentali tra le primissime priorità della propria politica estera, insieme a Iran, Ucraina, Cina e Russia.
L’aumento delle tensioni tra Belgrado e Pristina quindi, conseguenza diretta dell’ingerenza di potenze estere negli affari interni delle nazioni della penisola balcanica, potrebbe facilmente evolvere in un conflitto, verso il quale, la Russia in particolar modo, non potrebbe restare indifferente.
C’è da chiedersi quindi, non se la Russia interverrebbe o meno in difesa della Serbia in caso di un’eventuale e sempre più evidente escalation nella regione, ma quale dei due blocchi deciderà di seguire definitivamente la leadership serba, che si destreggia da anni in equilibrismi tra Bruxelles e Mosca.
La Russia infatti, per quanto profondamente legata alla Serbia, potrebbe non avere spazio di manovra se proprio quest’ultima decidesse di consegnare le chiavi di casa all’Occidente, voltando le spalle non solo a Mosca ma alle proprie radici ortodosse.
I tempi, sono maturi e lo scenario prodotto in Kosovo sta innescando, una serie di meccanismi che costringeranno presto Belgrado a dover prendere una netta posizione e a togliere il piede da una delle due scarpe.
Velimir Tomovic'

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