polveriera kosovo: cosa succede se implode il 51esimo stato USA?
carissimi ottoliner, buonasera e benritrovati
“L'ultimo grande conflitto nel cuore dell’Europa non ha mai smesso di covare e la pace è sull’orlo del precipizio”, titolava bloomberg giovedi scorso
“a differenza del conflitto in Ucraina, quello in Kosovo, se dovesse divampare, sarebbe di portata globale, e si trasformerebbe rapidamente in una vera e propria terza guerra mondiale”. ad affermarlo, Oleg Starikov, colonnello dei servizi di sicurezza dell’Ucraina. che precisa: “se inizia lì un conflitto militare, la Russia dovrebbe intervenire senza indugi per fornire armi ai serbi che dovranno usare le operazioni aeree per entrare in Kosovo. l’intera area balcanica sarebbe destinata ad esplodere, e di fatto si potrebbe verificare una guerra mondiale”
il dilemma mai risolto dei balcani torna a turbare i sonni degli europei. almeno di quelli non così creduloni da credere che il conflitto tra blocchi contrapposti sia circoscritto all’Ucraina
dall’inizio del conflito in Ucraina, gli USA hanno provato a esercitare ogni forma di pressione possibile immaginabile sui serbi e sul presidente Vucic affinché abbandonassero definitivamente il lato oscuro. avrebbero dovuto condannare esplicitamente l’aggressione di Putin, e soprattutto aderire alle sanzioni contro la Russia. “potrei scriverci un libro più spesso del capitale di karl marx”, ha dichiarato Vucic. Non è bastato. Costretta a giostrarsi tra il cerchio della promessa elettorale di portare avanti il processo di adesione all’unione europea e la botte dei legami politici ed economici con la Russia di Putin, l’amministrazione Vucic ha deciso di cedere sul contentino della condanna esplicita dell’aggressione russa, in un paese dove Putin rimane il leader internazionale in assoluto più apprezzato dall’opinione pubblica, ma non ne ha voluto sapere di aderire alle sanzioni, ed ha anzi rilanciato il dialogo con Mosca, in particolare per la questione energetica
un compromesso che non ha soddisfatto proprio tutti. ed ecco così che “il più filoamericano di tutti i paesi dei balcani” è tornato a incendiarsi
bentornati nella polveriera Kosovo, il paese più instabile della regione più instabile del vecchio continente
a riaccendere gli animi, una questione apparentemente del tutto marginale: la famigerata guerra delle targhe
tra gli 1,8 milioni di abitanti del Kosovo c’è anche una piccola minoranza etnica. sono i 100 mila serbi rimasti dopo la fine del conflitto. dopo che altri circa 200 mila se la sono data a gambe per fuggire a una specie di pulizia etnica, ma di quelle che piacciono alla gente che piace
il grosso è concentrato nella cittadina di Mitrovica e in altri 3 comuni al confine con la Serbia. E’ il Kosovo del Nord, che anche dopo la dichiarazione di indipendenza di Pristina nel 2008, è rimasto sotto il controllo diretto di Belgrado, che continuava ad emettere targhe e documenti
fino a quando Pristina li ha messi fuori legge
da lì si è innescata un’escalation che ha portato a innumerevoli proteste, blocchi stradali, barricate, qualche sparatoria e addirittura la dichiarazione della massima allerta per le truppe serbe d’istanza sul confine, che sono passate da 1500 a 5000 effettivi dispiegati
con l’inizio dell’anno nuovo, la situazione sembra essere parzialmente rientrata. ma potrebbe essere una calma del tutto apparente
l’episodio delle targhe infatti non è che ovviamente la punta di un iceberg gigantesco
il primo strato dell’iceberg è appunta la risoluzione complessiva delle tensioni tra Pristina e minoranza serba
nel 2013 Kosovo e Serbia hanno firmato un accordo a Bruxelles che prevedeva il passaggio dei comuni a maggioranza serba sotto la competenza delle autorità di Pristina, in cambio della creazione di una Comunità dei comuni serbi dotata di forte autonomia. Che però non è mai arrivata. Fino a quando il 5 novembre scorso, la stragrande maggioranza dei serbi hanno deciso di dimettersi in massa da ogni incarico pubblico. Prima è stato il turno di giudici, magistrati e ufficiali di Polizia. E poi di tutte le cariche elettive. Le amministrazioni dei comuni a maggioranza serba si sono sciolte, e sono state indette nuove elezioni per il 18 dicembre. mano a mano che la data si avvicinava, in mezzo a tensioni crescenti, Pristina ha pensato bene di gettare benzina sul fuoco inviando reparti speciali delle forze di polizia, e Belgrado ha reagito facendo richiesta formale alla NATO di poter dispiegare sul terreno 1000 soldati serbi. Temevano che la presenza dei poliziotti di Pristina potesse inficiare il regolare svolgimento delle consultazioni. Insomma: eravamo arrivati a un passo dalla ripresa del conflitto. Poi fortunatamente ha prevalso la cautela, e le elezioni sono state rinviate al 23 aprile prossimo, “in modo da permettere la più ampia partecipazione possibile, e la presenza di osservatori indipendenti sia locali che internazionali”, ha affermato il presidente kosovaro Osmani
nel marzo del 2004 migliaia di albanesi si dedicarono per qualche giorno alla caccia al serbo. il bilancio fu di 30 morti, 600 feriti, 300 case date alle fiamme, e anche 30 chiese ortodosse. 6 villaggi vennero completamente evaquati, e vennero feriti pure 150 uomini delle forze di pace internazionali. a scatenare il putiferio, la notizia che 2 ragazzi serbi avevano gettato 4 ragazzi albanesi nel fiume Ibar, a Mitrovica. era una balla. lo aveva detto chiaramente l’unico sopravvissuto: nessuno li aveva gettati nel fiume. c’erano andati da soli. e poi erano stati travolti dalla corrente. “gli scontri sono stati l’ennesimo tentativo di pulizia etnica orchestrato ben pianificato” aveva dichiarato il comandante NATO Gregory Johnson
secondo il maggiore generale canadese Lewis McKanzie, già responsabile delle forze di pace dell’ONU dispiegate a Sarajevo durante il conflitto bosniaco: “l’obiettivo degli albanesi è espellere dal kosovo tutti i non albanesi, inclusi i rappresentanti della comunità internazionale”
lo ha scritto in un articolo al vetriolo pubblicato ormai nel 2004 dalla testata canadese National Post
“abbiamo bombardato la parte sbagliata”, è il titolo
un j’accuse di altri tempi
“sin dall’intervento della NATO del 1999, il Kosovo è diventata la capitale del crimine in europa. il mercato delle schiave del sesso è più florido che mai. la provincia è diventato uno snodo fondamentale del traffico di droga diretto in europa e nord america. droga che arriva in buona parte da un altro paese liberato dall’occidente: l’afghanistan”
d’altronde, come da oltre 20 anni affermano più o meno quotidianamente tutti i media mainstream, c’era da evitare un genocidio, e dare una bella lezione al’hitler di allora: il sanguinario dittatore slobodan milosevic
“non c’è mai stato nessun genocidio, come propagandato dall’occidente”, scrive. “le 100 mila vittime innocenti ammassate nelle fosse comuni di cui si parlava allora, si sono rivelate essere circa 2000, di tutte le etnie. e in buona parte erano persone cadute in combattimento”
il bilancio di mczkenzie è impietoso
“gli albanesi del kosovo ci hanno suonato come stradivari. abbiamo sostenuto la loro campagna violenta per un kosovo indipendente ed etnicamente puro. Non li abbiamo mai rimproverati per essere stati i perpetratori della violenza nei primi anni ’90 e continuiamo a dipingerli oggi come le vittime designate, a dispetto delle prove del contrario”
a ben vedere non poteva andare molto diversamente. a guidare la lotta partigiana del Kosovo era un’organizzazione militare al confronto della quale i miliziani di Azov più che accaniti lettori di Kant sembrano una vera e propria congrega di frati francescani
è l’esercito di liberazione del kosovo. UCK per gli amici. a lungo incluso nella lista USA delle organizzazioni terroristiche, le informative dell’intelligence stimavano contasse tra le sue fila un bel 10% abbondante di combattenti minorenni. come si dice, so’ ragazzi. e così nel 1998, alla vigilia della guerra, viene depennato dalla lista, senza alcuna motivazione tangibile
un tempismo non proprio ineccepibile
come emerso nel 2011 da un lungo e dettagliato documento di 28 pagine redatto dal senatore svizzero Dick MArty e approvato dalla commissione europea, i principali responsabili dell’UCK tra il 1998 e il 2000 si sono dedicati al traffico di organi estratti a prigionieri serbi
secondo le dichiarazioni rilasciate da un testimone durante uno dei procedimenti svoltisi all’Aja “… Nel corso di questa azione furono espiantati circa trecento reni e oltre cento altri organi a questi prigionieri, in alcuni casi anche il cuore… e poi venduti attraverso l’Italia”
a soprassedere questa lucrosa attività commerciale, sarebbe stato direttamente Hashim Thaci: già premier, poi ministro degli esteri e infine a partire dal 2016 direttamente presidente del Kosovo. Ha dovuto interrompere il suo mandato in anticipo, nel novembre 2020: finalmente l’aja è riuscita a confermare le accuse di crimini contro l’umanità. meglio tardi che mai
il generale Lewis McKanzie non è stato l’unico pezzo grosso delle gerarchie militari occidentali a contestare integralmente l’operato della NATO in Kosovo
Heinz Loquai era un generale di brigata tedesco, e da consigliere militare dell’Osce a Vienna è stato in prima linea per tutta la vicenda.
e quando ha deciso di vuotare il sacco nel suo libro “Il conflitto in Kosovo: strade per una guerra evitabile”, in germania è scoppiato il putiferio
il racconto di Loquai parte dal 13 ottobre del 1998, quando per riportare sotto controllo il conflitto che stava divampando in Kosovo, il presidente serbo accetta di firmare l’accordo proposto da richard holdbrooke, già regista 3 anni prima degli accordi di dayton che avevano messo fine al conflitto in bosnia
secondo Loquai: “i serbi avevano cominciato a rispettare gli impegni assunti. gli albanesi non facevano altrettanto. avevano ricominciato ad assaltare stazioni di polizia, avevano sequestrato due corrispondenti della principale agenzia di stampa di belgrado, e avevano anche riconquistato le postazioni dalle quali i serbi si erano ritirati”
secondo Loquai i serbi hanno pazientato un paio di mesi. poi hanno sottoposto la situazione al vertice dei ministri egli esteri dell’OSCE. e solo dopo non aver ricevuto nessuna rassicurazione hanno ripreso le azioni in violazione dell’accordo
a febbraio del 1999 iniziano i lavori del famoso accordo di rambouillet. secondo Loquai, durante quel mese abbondante di trattative, sia serbi che albanesi si sarebbero “contenuti molto”. ma c’era chi pareva avere tutti gli interessi a far saltare il tavolo
indovinate un po’ chi era?
“gli americani sostenevano la necessità di inviare truppe di pace senza il mandato dell’ONU”, racconta Loquai. che ribadisce “al contrario di Francia, Regno Unito, Germania, Russia e anhe Italia gli USA non furono mai disposti ad accettare il mandato dell’ONU come presupposto”
secondo Loquai i primi a cedere furono proprio i tedeschi. un film già visto. dall’ottobre del ‘98 in germania aveva assunto la guida del governo una maggioranza rosso verde, che per le riserve nei confronti della NATO di numerosi esponenti, veniva considerata poco affidabile. Dovevano dimostrare di essere pronti ad ubbidire. Esattamente come il nostro D’Alema allora. e volendo anche la nostra giorgiona nazionale oggi
Oltre agli USA, a spingere per un intervento illegale senza perdersi troppo in queste inutili lungaggini delle risoluzioni dell’ONU era una fetta importante di opinione pubblica, anche progressista, imbeccata da una gigantesca campagna di propaganda
uno degli episodi più importanti sarebbe quello del villaggio di Racak, dove gli osservatori dell’OSCE nel gennaio del 1999 trovarono ammassati 45 corpi, e etichettarono immediatamente l’avvenimento come crimine di guerra gratuito contro la popolazione civile da parte dei serbi
Loquai non nega questa possibilità. ma ci aiuta a capire, ancora una volta, quanto sia pericoloso lasciarsi guidare dalla reazione emotiva ad episodi del genere
secondo Loquai quando sono stati ritrovati i corpi nessuno aveva la minima idea di cosa fosse successo. “Ma il cpao delegazione dell’osce Wiliam Walker cosa fa? Si circonda di uno sciame di circa trenta giornalisti, con loro si reca sul posto e dichiara: «Qui è stato compiuto un massacro e la responsabilità è delle Forze armate jugoslave»”
come in altri episodi più recenti, la sete di verità era così tanta che hanno permesso ai gironalisti di provare a trovarla liberamente
come dice Loquai “per permettere il regolare svolgimento delle indagini, sarebbe stato necessario chiudere l’accesso al terreno e non lasciare avvicinare nessuno. ma ho parlato con alcune persone presenti, e mi hanno raccontato che i giornalisti hanno raccolto i bossoli dei proiettili per portarseli via come ricordo, hanno disposto i cadaveri in modo da poterli riprendere meglio e così via. È questo il vero scandalo”
ovviamente il giudizio estemporaneo e totalmente infondato di Walker, come accade quotidianamente anche oggi sul fronte ucraino, viene preso come oro colato dall’osce, dalle nazioni unite e da tutti i governi, che non aspettavano altro
quello che fa un po’ tristezza è vedere che ancora oggi le affermazioni di Walker vengono considerate una fonta affidabile anche da divulgatori indipendenti, e per molti aspetti del tutto encomiabili come il gruppo di Nova Lectio, che nel suo filmato sul Kosovo le ha presentate come una specie di prova provata
per fortuna, almeno, non hanno fatto cenno al famoso campo di concentramento di Pristina
“i serbi ammassano migliaia di albanesi in enormi lager”, titolava il tedesco Bild il primo marzo 1999, subito ripreso dall’allora ministro della difesa Rudolf Scharping
“quando sento che a nord di pristina si sta costruendo un campo di concentramento, quando sento che si radunano i genitori e gli insegnanti e si spara agli insegnanti sotto gli occhi dei bambini, quando sento che a Pristina si esorta la popolazione serba a tracciare una grossa “s” sulle porte di casa, per non essere travolti dalla pulizia etnica, allora vuol dire che sta succedendo qualcosa, di fronte alla quale nessun europeo civile può più chiudere gli occhi”
come ricorda daniele ganser nel suo recente “le guerre illegali della NATO”, a guerra finita, i giornalisti jo angerer e mathias werth sono volati a pristina per verificare queste affermazioni. la conclusione, esposta nel bel documentario “es begann mit einer luege” (cominciò con una menzogna) è piuttosto drastica: “quello che scharping aveva raccontato era nel migliore dei casi, propaganda diffusa in buona fede, ma più probabilmente soltanto una storia dell’orrore inventata di sana pianta”
il punto essenziale, che anche gli amici di Nova Lectio si sono dimenticati di sottolineare è che, come afferma Loquai, la propaganda ha sempre cercato di dimostrare con ogni mezzo necessario come “prima degli attacchi aerei della NATO fosse in atto un genocidio, una grande pulizia etnica. Ma questo non è vero! prima dell’inizio della guerra nei rapporti della difesa tedesca non si fa mai cenno a pulizie etniche o al genocidio. Prima dei bombardamenti NATO non esisteva una situazione che potesse essere definitia “di catastrofe umanitaria”. Si trattava piuttosto di guerra civile. La catastrofe umanitaria è iniziata con gli attacchi aerei della NATO. E le catastrofi umanitarie sono state due: prima quella degli albanesi durante la guerra e poi quella dei serbi, cacciati dal Kosovo dopo la fine della guerra. In breve: la Nato ha impedito una catastrofe umanitaria fittizia, provocando due catastrofi umanitarie reali”
con la guerra in Kosovo la NATO inaugura ufficialmente la sua nuova mission: da organizzazione per la mutua difesa degli alleati, a organizzare per l’aggressione militare illegale al servizio dei disegni imperiali degli USA
settantotto giorni di bombardamenti ininterrotti dove ad essere presi di mira essenzialmente sono le infrastrutture civili: dalle condutture idriche alle centrali elettriche, passando per stazioni, scuole e ospedali. le vittime dirette si stima ammontino a circa 3500. quelli indirette, in particolare a causa dell’utilizzo illegale dell’uranio impoverito nei proiettili, ammonterebbero a 3, 4 volte di più
per gli USA, ne è valsa la pena
quei nazionalisti indomabili dei serbi col loro sguardo sempre rivolto ad est ne sono usciti con le ossa rotte
e il kosovo è stato soprannominato il 51esimo stato americano
una delle principali arterie di Pristina è stata ribattezzata Clinton Boulevard, e sfocia in una maestosa statua dell’ex presidente alta 3 metri
ma soprattutto il paese ospita quella che allora era la più grande base americana costruita all'estero dai tempi del Vietnam, la base di Camp Bondsteel. copre 955 acri di terreno, e per farle spazio sono state rase al suolo due intere colline. può ospitare fino a 7000 uomini, e ospita attività commerciali le più disparate: da burger king a taco bell. ed è impenetrabile. come l’ha definita l’inviato per i diritti umani del consiglio d’europa Alvaro Gil-Robles, è la nostra piccola Guantanamo: verrebbe utilizzata come centro di detenzione per terroristi islamici, ma non è accessibile al comitato per la prevenzione della tortura del consiglio.
Un avamposto strategico fondamentale, dal momento che, come scriveva il washington post poco prima dell’inizio della guerra nel ‘99, «Con il Medio Oriente sempre più fragile ci servono basi e diritti di sorvolo nei Balcani per proteggere il petrolio del Mar Caspio»
e che oggi permette agli USA di continuare a soffiare sul fuoco nel cuore dell’Europa
se anche tu credi ci sia bisogno di un media che invece di soffiare sul fuoco del conflitto che cova sotto la cenere cerca di capire le ragioni di tutti per provare a disinnescarlo, aiutaci a costruirlo. aderisci alla campagna di sottoscrizione di ottolinatv su GoFundMe (
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