domenica 30 luglio 2023

IL 2 AGOSTO 1941 A SMILJAN 530 SERBI VENNERO UCCISI DAGLI USTASCIA

 




Autore: Olga Handjal

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Srb, 27 luglio 2023*
Salgo la scalinata in pietra verso l'imponente monumento in cima al pendio, circondato da una guardia di alberi ad alto fusto, le cui chiome mi sembrano ondeggiare al ritmo della musica e dei canti partigiani che tuonano dai potenti altoparlanti.
Mi fermo da parte e osservo la colonna di persone che risale lentamente la collina come un fiume colorato nel mormorio delle parole delle lingue che conosco. Guardo i loro volti, a volte incontro i loro occhi e mi chiedo, chi è il Serbo, il Croato, il Bosniaco qui? Siamo tutti uguali. E me lo confermerà poco dopo il chiacchiericcio di un gruppo in lingua slovena.
Sono arrivata ai piedi del monumento stesso, dove si sente una canzone che non conosco, su una certa madre Kata.
Presumo che Kata sia esattamente quella bellissima scultura di una donna modesta e così comune, vestita di nero e con una sciarpa in testa, che si trova sul fianco destro del marmo bianco, con le mani sul cuore. In quella espressione di dolore, come fanno le madri disperate. Tutte, senza distinzione alcuna, che siano madri serbe, croate, bosniache o musulmane, in guerra sono uguali come alberi, quando perdono i figli perdono i rami.
Sulla facciata del monumento vedo un robusto contadino con un forcone nelle mani in disperata difesa del suo focolare, della sua famiglia, il lascito dei suoi avi. Forcone contro i fucili e le kame degli ustascia.
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Questo è il mio primo Srb
Nella mia infanzia e giovinezza, questi sono stati giorni di grande solennità, come ogni giorno commemorativo della Lotta di Liberazione Nazionale di tutti i nostri popoli, e poi sono successe cose terribili e tutto quel mondo, l'unico che conoscevo e che mi aveva protetto fino ad allora, era crollato come una torre di carte.
Di Srb sapevo ciò che la mia generazione conosce principalmente, sia dalle lezioni di storia a scuola, sia dalla trasmissione orale, oppure quello che ho imparato da sola nel corso degli anni.
Mentre l'autobus ondeggiava lungo la strada attraverso la bellissima Lika, capitava di scorgere qua e là gli occhi ciechi delle finestre sulle case distrutte e i muri crivellati di proiettili, e il più delle volte solo qualche triste comignolo fuligginoso, che sporgeva solo e ritto dal mucchio di rovine, come un monumento all'orrore e alla morte.
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Ora dico a questo contadino sulla colonna di marmo che il gran male è accaduto di nuovo, che ancora una volta schiere di fratelli incitati, e senza sapere perché, uccisero, perseguitarono e diedero fuoco ai focolari da queste parti.
Anche nel mio villaggio natale della Slavonia, dopo la fine della guerra, arrivò un "treno senza orario", pieno di gente nuova con i loro nuovi destini, provenienti dalle regioni povere del suolo arido. Lì, nella fertile pianura della Slavonia, piantarono le loro radici, seminarono nuovi semi, e con il loro bagaglio di orrori vissuti ancora freschi, divennero insieme a noi una comunità armoniosa. Serbi, Musulmani, Bosniaci, Dalmati. Il mio villaggio chiamarono "piccola Europa".
I nostri primi vicini erano serbi di fede ortodossa, perciò le nostre famiglie hanno avuto due Natali e due Pasque, che abbiamo sempre celebrato, anche se i miei genitori erano comunisti e atei; era un seguire con rispetto le tradizioni dei loro genitori, e soprattutto una gioia per noi bambini. (Oggi i nuovi "antifascisti" mentono quando dicono che ci era proibito).
In entrambe le vigilie di Natale mio padre spargeva paglia e foglie di quercia sul pavimento della cucina, mentre noi bambini decoravamo con nostra madre il povero alberello di ginepro e correvamo attraverso il cortile, per lo più nella neve alta, verso la cucina del vicino.
Hanno avuto un figlio di nome Sele, che quel nome prese in un vagone per il bestiame, che carico di serbi era in viaggio verso Jasenovac, e che poi di nuovo, dopo un tempo incommensurabile di sofferenza nel viaggio verso l'ignoto, è tornato di nuovo al punto di partenza . E lì, sulla paglia puzzolente nacque un bambino, e siccome erano in un viaggio di cui non conoscevano la fine, lo chiamarono Selimir, e noi tutti lo chiamavamo Sele.
(Voglio precisare per i miei amici italiani, che questo nome è un derivato dal verbo seliti se = traslocare, quindi non traducibile)
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Smiljani e la casa museo di Nikola Tesla
Di fronte agli splendidi edifici ristrutturati della casa natale e della chiesa ortodossa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, si erge un monumento a Nikola Tesla che accoglie i visitatori.
Vicino alla chiesa si erge un monumento a forma croce in marmo bianco, sul quale è scritto:
"IN SMILJAN, 2 AGOSTO 1941. IL GIORNO DEL SANTO PROFETA ELIA
530 SERBI ORTODOSSI VENNERO UCCISI DAGLI USTASCIA E DURANTE LA RITIRATA
5 MARZO 1941. FURONO UCCISE ALTRE 30 PERSONE INNOCENTI"
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"Prima della guerra, la parrocchia di Smiljan contava più di 1.000 anime serbe, nel 1948 erano solo 112, di cui solo 30 persone vivevano a Smiljan, il resto viveva a Gospić, perché nella loro città non c'erano edifici dove poter vivere Prota Pejinović era a Smiljan nel 1948 e la descrive così: la parrocchia di Smiljan oggi è vuota. In quel luogo bello e romantico oggi, un uomo è felice di trovare qualcuno vivo quando passa per il villaggio. Non c'è, silenzio ovunque, si può dire che neanche gli uccelli nei boschi non cantano. Questa desolazione, rovine e incendi dolosi, questo silenzio, quel cimitero, la chiesa distrutta e l'appartamento parrocchiale sembrano indescrivibilmente difficili e dolorosi per una persona, così che una persona vorrebbe anch'essa riposare in quella tomba, nella quale furono sepolti insieme 462 serbi-ortodossi”. (Wikipedia, crimini Ustasha nella seconda guerra mondiale)
E poiché la storia non ha studenti, tutto si è ripetuto quasi allo stesso modo
1992 la casa natale di Nikola Tesla e la chiesa di Smiljan furono distrutte e il monumento al grande scienziato fu minato da coloro che oggi rivendicano la nazionalità di Nikola.
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Sto davanti al monumento e ascolto gli appropriati discorsi dei politici presenti.
Sento parlare dell'uccisione di centinaia di vittime del regime ustascia, a Donja Suvaja, Osredci, Bubnje, Piškovec... Sento l'omaggio alle vittime di Nebljus, Meljinovac, Donji Lapac.
Ascolto e immagino quell'inferno in terra. Ascolto e vedo. Vedo il contadino con un forcone che cerca forza nelle vene del tallone per combattere contro un nemico troppo forte, vedo bambini sgozzati e massacrati con le asce, vedo Kata sconvolta che si strappa il cuore dal petto e si arrampica sul marmo...
E poi mi viene in mente che anche questo monumento è stato vittima nel 1995, colpito da una tempesta.
CHE NON SI RIPETA MAI PIU'!


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