martedì 1 agosto 2023

ADMIRA E BOSKO

 



18 maggio 2013 - Sono esattamente venti anni dal vigliacco assassinio dei due fidanzati di Sarajevo: Admira Ismic e Bosko Brkic.

Lei "bosgnacca", lui "serbo" - come si usa dire nel linguaggio "etnicamente corretto", in realtà razzista, che è diventato oggi obbligatorio. Furono colpiti da cecchini mujaheddin sulla riva del fiume. Lei rimase disperatamente presso il cadavere di lui finchè un altro colpo vigliacco non ebbe la "pietà" di ricongiungere i loro destini. A lungo nessuno raccolse i loro corpi, stesi abbracciati proprio sulla linea del fronte. La loro "colpa": stavano scappando dalla Bosnia di Izetbegovic per raggiungere ciò che rimaneva della Jugoslavia. Per questo motivo, in Italia e in Occidente nessuno li ricorda, nessuno li piange. I media occidentali, che allora incolparono i serbi ed hanno continuato fino ad oggi a fare cieca propaganda a favore del secessionismo islamista bosgnacco, sono gli assassini morali di Admira e Bosko. Ma ricordiamo anche il caso di un giornalista onesto: Kurt Schork della Reuters, che rimase fortemente scioccato da quello che era successo, e raccontò i fatti.(a cura di Italo Slavo)






Vedete .. non è una svista.. questi la verità la nascondono di proposito 





Trovate maggiori informazioni in face book all'astag #noiinnanoratidieastjournal 



Carissimi Davide Denti e Giorgio Fruscione che per l'ennesima volta l'avete fatta fuori dal vaso e non sapete come tornare indietro quindi continuate a fare brutte figure perchè l'orgoglio è più forte della coscienza... ecco le bugie dei vostri amici .. Bosko e Admira sono stati uccisi da un cecchino bognacco musulmano e se avreste una dignità chiedereste scusa.. ma so che non lo farete perchè la dignità l'avete persa da mo' .. comunque tutto il web oltre a voi dice bugie











Sia croati che bosgnacchi musulmani hanno sempre dato la colpa ai serbi e ci stupiamo come ora che la verità viene fuori ci siano dei giornalisti o presunti tali che preferiscono supportare le menzogne




Già in passato avevamo notato come le celebrazioni della strage di Marzabotto fossero talvolta segnate da riferimenti fuorvianti ai fatti di Srebrenica (1). Stavolta, per il 25 Aprile, a Marzabotto (Monte Sole) tra gli invitati d'onore figura Jovan Divjak, descritto come "il generale che difese la città di Sarajevo durante l'assedio". Addirittura, si annuncia un suo "tour partigiano" in diverse località italiane nei giorni tra il 23 e il 30 aprile 2019.
Ma chi è veramente Jovan Divjak? 
Già a capo della Difesa Territoriale in Bosnia-Erzegovina, nei mesi a cavallo delle "dichiarazioni di indipendenza" con cui ha inizio la tragedia del suo paese (1991-1992) viene scoperto e giudicato dalla Corte Marziale dell'esercito jugoslavo per illegittimi rifornimenti di armi. Gli vengono inflitti 9 mesi di carcere cui si sottrae passando al nemico, cioè alle milizie nazionaliste bosgnacche di Alija Izetbegović. Da capo militare della zona di operazioni di Sarajevo è da considerare perlomeno corresponsabile della efferata strage della via Dobrovoljacka (3 maggio 1992), quando i suoi attaccano alle spalle le giovanissime reclute dell'Armata Jugoslava, che si ritirano pacificamente verso la Serbia in base agli accordi, causando 42 morti, 73 feriti, 215 prigionieri: è la prima grande strage di Sarajevo, mai ricordata da nessuno in Italia.




A seguito del mandato internazionale di arresto per crimini di guerra, spiccato dalla magistratura serba, il 2 marzo 2011 Jovan Divjak veniva arrestato all'Aeroporto di Vienna mentre si recava in Italia per iniziative analoghe a quelle di questi giorni.. Dopo meno di una settimana veniva scarcerato dietro pagamento di una cauzione di ben 500mila euro; a fine luglio seguiva la scontata decisione della magistratura austriaca che, in osservanza alla vulgata NATO sulla guerra fratricida bosniaca, negava la sua estradizione. Eppure, è legittimo domandarsi per quale motivo le responsabilità derivanti dall'essere a capo della "catena di comando" non debbano pesare su uno Jovan Divjak almeno quanto quelle che sono state fatte pesare all'Aia su un Ratko Mladić. 
Quello di Jovan Divjak è un esempio da manuale di applicazione del criterio dei "due pesi due misure" nel giudizio occidentale sui criminali di guerra nei fatti bosniaci. Che tutto questo debba insozzare anche il 25 Aprile di Marzabotto è uno scandalo. Più opportuno sarebbe che gli antifascisti emiliani riflettessero su come la secessione bosgnacca, nell'ambito della distruzione della Jugoslavia, abbia rappresentato una inversione degli esiti della Seconda Guerra Mondiale, vera e propria revanche di quelle forze reazionarie che ai primi anni Quaranta disponevano persino di una propria formazione SS. (4)





A Sarajevo e dintorni seguiranno altre stragi – vere, finte, o più spesso "false flag" cioè con falsa attribuzione anti-serba (2) – tutte mirate a gettare benzina sul fuoco e ad impedire il rispetto dei cessate-il-fuoco. È la strategia della tensione voluta dal partito islamista e dai suoi mentori della NATO, che attraverso un oculato lavoro di marketing sulla stampa internazionale nascondono la distruzione della Jugoslavia, e della sua repubblica più devota ai valori fondativi di "unità e fratellanza", la Bosnia-Erzegovina appunto, dietro agli slogan su "Sarajevo assediata". Ma è una narrazione bugiarda e ipocrita (3), tant'è vero che osservatori più moderati hanno parlato di una Sarajevo presa in ostaggio dalla sua stessa classe dirigente secessionista ("doppio assedio" secondo la definizione di Tommaso Di Francesco). La riproposizione di quegli schematismi manichei e ignoranti su "bosniaci buoni" e "serbi cattivi", come se i serbi di Bosnia non fossero bosniaci anch'essi, dopo tanti anni dai fatti e addirittura all'interno della festa del 25 Aprile, la dice lunga sul "pacifismo" di certi ambienti, che rimangono indisponibili a un ripensamento, a una analisi più equilibrata di quanto è successo all'epoca in Jugoslavia e in Bosnia.


La strage do Markale di Sarajevo è stata attribuita ai serbi ed è l'ennesima false flag 






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