lunedì 28 dicembre 2020

E ALLORA LE FOIBE? - DI ERIC GOBETTI



Tanti tanti complimenti a una persona magnifica.

Davvero credo si possa dire con certezza l'italiano che più ha a cuore i Balcani

In vendita da gennaio 2021: E allora le foibe? La storia alla prova dei fatti 

La prima edizione è durata pochi giorni. C'è stata subito una seconda ristampa 


Eric Gobetti in Balkan crew

E allora le foibe? Intervista ad Andrea Martocchia

10 febbraio.info

domenica 27 dicembre 2020

GIACOMO SCOTTI - LINEAMENTI DI UN GENOCIDIO CULTURALE

 Il testo è molto lungo e ne pubblichiamo solo alcuni passi 



La letteratura italiana in Dalmazia: una storia falsificata

Da: Quaderni Giuliani di Storia –- Anno XXIII (°1 gennaio-giugno 2002) pag.21-35
Di Giacomo Scotti. Saggio apparso anche sul quotidiano fiumano in lingua italiana “La Voce del Popolo” nel 2005
Nel lontano 1926, nella serie delle pubblicazioni dell'Accademia Jugoslava delle Arti e delle Scienze di Zagabria, fu pubblicata l'opera di Gjuro Kobler dal titolo Talijansko pjesnistvo u Dalmaciji 16. vijeka, napose u Kotoru i Dubrovniku e cioè: «Poesia italiana in Dalmazia nel XVI secolo, soprattutto a Cattaro e Ragusa».
Dopo quella data nessuno studioso croato ha mai più parlato di una poesia o di una letteratura italiana in Dalmazia nei secoli passati. Cominciò invece un processo di trasformazione di quella letteratura da italiana in croata, processo che ha portato finora a colossali falsificazioni.

In un articolo del 1969 lo storico della letteratura croata Andre Jutrovic scrisse: «.Gli scrittori della Dalmazia che nel passato scrissero le loro opere in lingua italiana devono essere inseriti nella nostra letteratura e nella nostra storia nazionale». In altre parole: considerati croati. Questo medesimo intellettuale, trattando successivamente di singoli scrittori italiani dalmati dei secoli passati, cioè di dalmati di cultura e lingua italiana, li definì «scrittori croati di lingua italiana». Ed oggi questa é diventata una legge: nei libri di storia della letteratura croata, nei dizionari enciclopedici e nelle enciclopedie (croate), tutti quegli scrittori e poeti italiani portano l'etichetta di croati. Le eccezioni sono rarissime, riguardano unicamente Zara, e solo nel caso che si tratti di scrittori cosiddetti «irredentisti» dell'Ottocento e Novecento.
Nell'ottobre 1993, sulle colonne del «Vjesnik» di Zagabria, il presidente dell'Associazione degli scrittori croati dell'epoca mi accusò di aver «trasformato in italiani tutta una serie di scrittori croati dell'antica Ragusa». E questo perché, in un saggio sulla rivista «La Battana» (n. 109) avevo riportato i nomi originali di alcuni scrittori ragusei vissuti tra il Cinquecento e il Settecento, indicando i titoli originali in italiano e latino delle loro opere: Savino de Bobali (1530-1585); Serafino Cerva (1696-1759), Sebastiano Dolci, Stefano Gradi e altri che presto incontreremo. Io sfido tutti gli studiosi di letteratura di questo paese a portarmi un sola opera di questi scrittori e poeti che sia stata scritta in croato; li sfido a portarmi un solo
documento, a cominciare dagli stessi libri di questi autori, nei quali i loro nomi siano scritti così come li scrivono oggi i loro falsificatori.

Qualche anno fa il pubblicista Ezio Mestrovich, sul quotidiano «La Voce del Popolo», riferì le parole dettegli da un anonimo e «illustre croato» per spiegare l'avversione che certi intellettuali croati nutrono verso l'Italia e gli italiani: «Siamo tanto affascinati dalla cultura italiana e la sentiamo così vicina, che, rischiamo di esserne compressi e plagiati al punto, da rinunciare alla nostra. Quando ci si spinge in questa direzione, allora l'amore può diventare odio».

E spinto dall'odio, qualcuno cerca di appropriarsi di ciò che non gli appartiene fino al punto da definire croato Marco Polo! Oppure da dichiarare «croato da sempre» - laddove quel sempre potrebbe portarci all'inizio dell'umanità - ogni lembo dell'odierna Croazia che nel lontano o recente passato è stato invece abitato anche dagli italiani e concimato dalla cultura italiana, e prima ancora da quella latina. Oggi, purtroppo, la croatizzazione della letteratura, dell'arte e della cultura italiane fiorite in Istria e Dalmazia nei secoli passati diventata una regola nei libri di testo per le scuole e, come già detto, anche nelle enciclopedie croate. A questo scopo si ricorre alla contraffazione perfino dei nomi e cognomi. Le appropriazioni cominciano infatti proprio dalle generalità , cioè dalla loro croatizzazione. Una volta falsificati, ovvero croatizzati nome e cognome di uno scrittore, di un pittore, di un musicista e di qualsiasi altro personaggio, ed accertato che nacque o visse sul territorio che OGGI fa parte della Croazia, la sua opera diventa automaticamente croata.

Immaginate che cosa succederebbe se in tutto il mondo fosse applicata la prassi di appropriarsi del presente e del passato del territorio conquistato o acquistato.I nuovi padroni politici diventerebbero ipso facto anche padroni della storia, dello spirito, della cultura e dell'opera letteraria ed artistica creata nei secoli precedenti dal popolo o dai popoli di quel territorio. Non a caso questo principio é stato esteso dalla Dalmazia all'Istria e alle isole del Quarnero dopo la seconda guerra mondiale. Così per esempio il poeta e musicologo istriano Andrea Antico, nato verso il 1490 a Montona e vissuto a Venezia, é diventato «Andrija Motuvljanin» e Andrija Staric; grazie a lui gli inizi della musica croata sono stati spostati al Cinquecento.

Quando non si riesce a falsificare il cognome, si falsifica almeno il nome e allora il pittore fiumano dell'Ottocento Giovanni Simonetti diventa Ivan Simonetti; sempre a Fiume l'illustre medico Giorgio Catti diventa Djuro Catti, Giovanni Luppis si trasforma in Ivan Lupis o addirittura Vukic e si potrebbe continuare a lungo. Quasi sempre però si segue la regola della contraffazione totale di nome e cognome, in modo da cancellare ogni traccia di italianità.

Allora capita che il grande filosofo e poeta rinascimentale italiano Francesco Patrizio da Cherso ( 1529-1597) venga via via trasformato dalla storiografia croata in Frane Patricije-Petric nel 1927 (M. Dvomicic) e in Franjo Petric nel 1929 (F. Jelacic); resta Francesco Patrizi per I. Kamalic, nel 1934, ma viene scritto Franje Patricijo da Nikola Zic nello stesso anno; poi, ¨ Franjo Petric-Franciscus Patricius per Ivan Esih nel 1936 e Franjo Petris per S. Juric nel 1956 e Franciskus Patri-cijus per V. Premec nel 1968; per altri ancora il cognome si trasforma in Petric, Petrisic e Petracevic, infine il cosiddetto «padre della filosofia creata» diventato stabilmente Frane Petric dopo che così lo chiamarono V. Filipovic e Zvane Crnja nel 1980. In suo onore vengono tenute le «Giornate di Frane Petric» a Cherso, le giornate di un uomo inesistente.

Perché allora “ chiederà qualcuno - gli storici croati si accaniscono tanto a enfatizzare il Nostro? Su quale fondamento basano le loro asserzioni? Ecco, ricorrono a una leggenda. Il critico letterario croato Franjo Zenko scrisse nel 1980 nella prefazione alla traduzione croata dell'opera di Patrizio Della Historia Dieci Dialoghi: «Sull'origine del filosofo chersino per ora non si può dire nulla con certezza. L'accenno fatto dallo stesso filosofo nella sua autobiografia, laddove si dice che i suoi antenati vennero dalla Bosnia come discendenti di famiglia reale, non si può accettare come degno di fede; e finora non si sono trovati documenti che attestino da quale località o regione giunsero a Cherso». E tuttavia, è bastato l'accenno di Patrizio alla leggenda familiare secondo la quale i Patrizio fossero discendenti di una famiglia reale bosniaca, per indurre quasi tutti gli intellettuali croati, fino agli organizzatori delle «Giornate di Frano Petric» ad affermare, ripetere, scrivere e scolpire sul marmo la croaticità di Francesco Patrizio. A dimostrazione, questo fatto, della pochezza morale e intellettuale dei falsificatori.

E qui, prima di continuare con altri esempi di falsificazioni, voglio subito dire un mio pensiero in merito. La contraffazione della storia e l'appropriazione indebita da parte croata dei grandi uomini e delle grandi opere della cultura italiana di queste terre - Istria, Dalmazia, Quarnero – risponde ad una vecchia-nuova forma di nazionalismo e sciovinismo. La frustrazione derivante da un senso di minor valore e le insufficienze culturali vengono trasformate in miti di vittoria, dietro i quali si nascondono l'invidia e l'odio. In questo caso l'odio per l'Italia e gli italiani. Succede come quando, alcuni anni addietro in certe regioni martoriate dalla guerra, per fare pulizia etnica o si ammazzavano le persone di diversa etnia oppure queste venivano terrorizzate e costrette a scappare; ma anche dopo la fuga restavano le loro case chiese o moschee a testimonianza della presenza secolare nel territorio di quella etnia; a questo punto si distruggevano quelle case e templi con il fuoco e con la dinamite.

Si è arrivati al punto da dichiarare croato perfino uno dei primi creatori del romanzo italiano, Gian Francesco Biondi, nato a Lesina sull'omonima isola dalmata nel 1574 e morto nel 1644 ad Aubonne presso Berna in Svizzera. Per gli storici della letteratura
croata che se ne sono appropriati egli è uno «scrittore croato di lingua italiana». Nelle enciclopedie viene indicato con il nome ibrido di Ivan Franjo Biondi-Biundovic. Egli peraltro visse per lunghi anni a Venezia mantenendo rapporti epistolari con Galileo, fra Paolo Sarpi, con i corregionali dalmati Ghetaldi, Francesco Patrizio e Marcantonio Dominis, fu diplomatico della Serenissima presso la corte francese, la corte dei Savoia e la corte di Londra, dove sposa una nobildonna inglese.

Giacomo Scotti



sabato 26 dicembre 2020

E' TUTTO "NAS"



 La nuova moda dei croati di dire che è tutto loro, ci ha messo curiosità e siamo andati a sfruculiare nel web

Giorgio Orsini. Architetto e scultore dalmata del XV secolo è diventato Jurai Matejev Dalmatinac

Francesco Patrizi. Scrittore e filosofo italiano è diventato Franjo Petris

Gian Francesco Biondi. Scrittore diplomatico e storico italiano è diventato Franjo Biundovic'

Giovanni Francesco Gondola. E' diventato Ivan Gundulic'

Marcantonio De Dominis. E' diventato Marko Gospodnetic'

.. e potremmo andare avanti ancora all'infinito e dopo la scioccante notizia che anche Marco Polo e Diego Armando Maradona sono croati vi avvisiamo ragazzi: Ceca non si tocca!!!!




GIACOMO SCOTTI - LINEAMENTI DI UN GENOCIDIO CULTURALE

venerdì 25 dicembre 2020

LE TRE DITA





Quando si dice troppi serbofobici in giro. In Serbia il segno di vittoria si fa con tre dita esattamente come in Italia si fa con due. Dare del cetnico a qualsiasi serbo è come dare dell'ustascia a qualsiasi croato o del fascista a qualsiasi italiano. 

Putroppo debbo rilevare un’ulteriore strumentale diffamazione…Ora e’ chiaro che il tutto si inquadra in una precisa strategia diffamatoria. Ma vengo al dunque, e' stata palesemente violata la mia privacy pubblicando una foto privata resa non accessibile ad estranei, alla quale e' poi stato dato un contorno profondamente enfatizzato e del tutto inesatto. Ecco il contesto della vicenda: chi fotografava era il political advisor di Banja Luka, citta’serba, una donna italiana la quale era da noi (mi riferisco a colui che mi sta vicino e che lavorava anche lui in Banja Luka) accusata scherzosamente di essere troppo pro-serba (sono piu' efficienti anche se hanno meno risorse, hanno costruito l'autostrada da soli...etc.) e quindi al momento dello scatto l'abbiamo presa in giro... per altro il pezzo e' frutto di ignoranza: il simbolo delle 3 dita non e' affatto cetnico, non appartiene affatto agli estremisti, ma e' il simbolo del popolo serbo, e' il simbolo della religione ortodossa, della Trinita' ortodossa, e' come il cerchio indice/pollice, cioe’ l'OK americano, la croce cattolica, la V inglese o il pugno chiuso sovietico...Ben altri sono i segni Cetnici o Ustascia...

Alberto Landolfi

mercoledì 23 dicembre 2020

Il disastro della rotta balcanica




Le violenze in Croazia sono documentate da moltissimi rapporti mai smentiti che risalgono a metà 2018, a cominciare da quello di Amnesty International. La Croazia è una “democrazia fragile” (ha problemi interni con la propria polizia, esce da una guerra sanguinosa con numerosi criminali di guerra, impuniti), ha al suo interno un diffuso razzismo, ma ha anche probabilmente ricevuto indicazioni sul “lavoro sporco” da fare e, attraverso delle bande consistenti, lo sta facendo. Il committente di queste violenze è l’Unione Europea; a volte lo stesso governo croato, difendendosi, con una certa sincerità e ingenuità, ha finito per dire la verità quando ha detto: “Noi proteggiamo i confini dell’Europa.”

Il disastro della rotta balcanica: intervista a Gianfranco Schiavone

DOV'E' IL SERBO VI E' LA SLAVA

 



Perché i serbi celebrano il krsna slava?

“Altri popoli ortodossi festeggiano il loro onomastico oppure il compleanno, e noi ecco festeggiamo la nostra slava. In effetti, slava è il nome e il compleanno, ma non individuale, bensì di tutta la famiglia, di tutta la tribù. Essa è il compleanno spirituale, il giorno in cui i nostri antenati sono nati spiritualmente entrando nella Chiesa di Dio e diventando cristiani ma e anche l’onomastico, perché da allora in poi sono stati chiamati cristiani e fino ad oggi soni rimasti tali.”
Sua Santità il patriarca serbo Pavle
Fenomeno della slava

Tra i fenomeni della vita nazionale serba, sia individuale, sia quella familiare e sociale, krsna slava certamente occupa un posto centrale – fenomeno che Cvejic (1865 – 1927) postula come un emblema nazionale dei serbi, krsna slava è il germoglio più profondo e più evidente del segno di riconoscimento dei serbi. La stragrande maggioranza degli scienziati sostengono che si tratta di una vecchia usanza slava, reminescenza della vecchia religione, adattata e conformata alla nuova religione – il cristianesimo. Secondo questa concezione che già dall’inizio del XX secolo è diventata predominante nella scienza, il cristianesimo non penetrò profondamente nell’anima e nell’intimo mondo del serbo ortodosso, ma si è solamente innestato alle vecchie radici, sulle quali non ha attecchito bene. Il più eminente esempio di simbiosi di vecchia e di nuova religione è proprio krsna slava. Nella cerimonia della slava esistono elementi rituali della vecchia religione serba, ma sono quelli di importanza minore mentre tutto quello che costituisce l’importanza maggiore proviene dalla Bibbia e dalla chiesa. Come fenomeno slava è stata introdotta nella vita familiare nel XIII secolo, perdurando nei secoli successivi e mostrando la forte tendenza di continuare la propria esistenza attiva. L’espressione slava è sicuramente più vecchia del tempo di quando è entrata in un documento di testo (1704).

Nome

I due nomi più comuni sono krsno ime e krsna slava. La letteratura scientifica sottolinea che nelle estremità orientali e occidentali abitate dal popolo serbo è diffusa l’espressione slava, mentre nella parte settentrionale prevale krsno ime. Slava proviene da “innalzare nella gloria”, mentre l’epiteto krsna viene dal verbo krstiti (fare il segno di croce, battesimo). La prima menzione del termine krsna slava si trova nei canti popolari raccolti da Vuk Stefanovic Karadjic (1787 – 1864), anche se il termine come i stessi canti risalgono a molto tempo prima.

Preistoria

Etnologi e storici della religione a livello mondiale osservano l‘aspetto di slava serba come la totalità dei culti, tradizioni e azioni mitologiche, di cui quelle greche, romane, ebree e, in particolare slave … Predomina il culto di antenati e animismo anche se in nessun caso possono essere considerati come la base e la fonte della religione in generale, soprattutto quella cristiana. Il culto degli antenati e animismo sono in genere fenomeni mitologici, mentre l’istituto o l’istituzione della slava è il tipico fenomeno religioso. Contro il conglomerato di paganesimo e cristianesimo della prima metà del Medioevo saldamente combatteva San Sava (1169 -1236) scrivendo le regole per la correzione della fede. Il suo Nomocanone viene trascritto fino al XVII secolo. Nei primi secoli questa guida era in funzione della correzione della pratica liturgica errata, e durante occupazione turca e la caduta del popolo a causa della mancanza di clero, questa guida è stata necessaria per fermare il degrado della vita religiosa.

Oggetti rituali – Consacrazione dell’acqua

Per la consacrazione dell’acqua è necessario preparare:
– Ciotola di acqua pura
– Basilico
– Incenso
– Incensiere
– Una candela
– Elenco di famigliari vivi
– Elenco dei familiari defunti

L’acqua come elemento fisico, quindi come la sostanza, rappresenta un componente della creatura – mondo che in origine era buona: ma la malattia che in seguito ha colpito la natura, e le sue conseguenze che successivamente hanno pervaso l’intera creazione, compresa l’acqua, non è nessuna creatura, non è nessun supplemento alla creatura – ma è uno stato in cui viene catturato l’universo.

Oggetti rituali – Il pane rituale rappresenta il sacrificio alla grazia di Dio perché per mezzo di Gesù Cristo e il Suo sacrificio siamo stati salvati dalla distruzione che ci avrebbe raggiunta a causa dei nostri peccati. Spezzare il pane in modo Krstobrazno (a forma di croce) rappresenta la sofferenza di Cristo espiata a causa nostra. Il versamento di vino sul pane (che simboleggia il sangue di Gesù), significa che con il sangue di Cristo siamo stati purificati dai nostri peccati.

Oggetti rituali – La candela di slava mostra che il celebrante e la sua famiglia sono figli della Luce e non delle tenebre. Come la luce della candela disperde l’oscurità e la luce di Cristo disperde le tenebre, la candela di slava è il simbolo di desideri e l’aspirazioni dei celebranti di conoscere la luce della vita – il Signore Dio e di Suo Figlio Gesù Cristo, che la luce di Dio illumini la loro mente, alleggerisce e rafforza le loro virtù e gli invia a trascorrere il tempo sulla terra nella perfetta vita cristiana e che l’amore cristiano divampi nelle loro anime, così come brucia e sfolgora la fiammella della candela del loro santo!

Oggetti rituali – Frumento viene preparato come un sacrificio di ringraziamento a Dio per i frutti della terra e in memoria del santo che festeggiamo, come anche per la memoria di quei nostri antenati che hanno vissuto nella fede e coloro che per la fede hanno dato le loro vite. Questo fatto è confermato dalla preghiera che viene letta durante la benedizione del grano: … Tu solo, o zar (Dio) benevole benedici questi semi di vari tipi di frutta, e santifichi i credenti chi mangeranno da esso, perché i servi tuoi offrirono questo a te nella tua gloria e in onore del Santo (nome del santo) e in memoria di coloro che sono spirati e devoti nella fede.

Oggetti rituali – Il vino è necessario per il sacerdote che lo versa su slavski kolac e il frumento, e ciò che rimane nel bicchiere o nella bottiglia il festeggiante beve secondo l’usanza. Il vino è una sostituzione per il sacrificio incruento. Viene utilizzato per libagione sul slavski kolac e frumento. L’uso del vino nella festa appartiene alla magia che evoca l’abbondanza.

Oggetti rituali – L’olio è necessario per accendere l’incensiere davanti all’icona. L’incenso come materiale rituale è stato utilizzato da tempo immemorabile nella maggior parte delle religioni. Il cristianesimo lo ha ereditato dal giudaismo. Lo scopo di incenso è soffocare e scacciare i spiriti maligni.

Auguri di buona slava!!!

Slobodanka Ciric

IL BRASILE D'EUROPA




Si  è svolta Domenica 19 Marzo, presso il locale Luna’s Torta (situato nel quartiere S. Salvario, a Torino), la presentazione del libro “Il Brasile d’Europa. Il calcio nella Ex-Jugoslavia tra utopia e fragilità”. Presenti l’autore , Paolo Carelli (esperto di ricerca e formazione sui media), Eric Gobetti (“cultore” della storia dei Balcani) e Paolo Reineri (giovane avvocato torinese, appassionato di sport a 360 gradi ed avente al suo attivo alcuni “Veciti Derby”, vissuti “live in Beograd”…. e scusate se è poco, aggiungo io).

Come ha fatto notare Eric, il primo a prendere la parola, questa pubblicazione rappresenta un quadro più approfondito di una storia, solitamente appiattita sulla guerra. In ciò risiede l’elemento più interessante e caratterizzante rispetto ad altri libri, che si sono occupati del medesimo argomento.

Mentre, in Italia (ed altri Paesi occidentali), assistiamo ad un calcio ridotto a puro spettacolo televisivo (spesso di livello assai mediocre) con la marginalizzazione dei tifosi (anche a causa di una criminalizzazione del mondo “Ultras”, nonché di provvedimenti, come la “tessera del tifoso”, finalizzati anche a rendere problematica e “burocratica” la partecipazione delle masse popolari agli eventi calcistici); nella Ex-Jugoslavia, queste connessioni tra sport e politica sono ancora vive, vissute con orgoglio e non ripudiate, come un “ingombrante passato” da dimenticare al più presto.

Quella del calcio nella Ex-Jugoslavia è una storia che si è intrecciata con l’originalità politica, sociale e culturale di una Nazione costruita “a tavolino”, nell’immediato secondo dopo guerra, su di un delicato equilibrio di popoli eterogenei, con le sue utopie e contraddizioni. Dai primi successi olimpici (nel 1952, ad Helsinki, contro gli “amici-nemici” dell’ URSS) ai contrasti (anche sportivi) con l’Italia sulle “questioni” di Fiume e Trieste (in particolare si è fatta menzione delle vicende di una squadra che può essere considerata il simbolo dell’ostilità tra i due Paesi: il Ponziana); dall’impresa della Nazionale Under 20 “rosso stellata”, vittoriosa in Cile nel Campionato del Mondo di categoria, fino alla dissoluzione del Paese, cominciata proprio su di un campo di calcio (il 13 Maggio 1990, in occasione della partita di Campionato, tra Dinamo Zagabria e Stella Rossa Belgrado, mai disputata per gravi violenze tra le due tifoserie e contro la polizia).

Un’ epopea fatta di successi e talenti ma, soprattutto, di una costante ricerca della perfezione ed accompagnata da un profondo senso di instabilità e fragilità. Il leit-motiv che ha contraddistinto le prestazioni della nazionale jugoslava può essere riassunto nell’espressione “genio e sregolatezza”, tipici dei “non allineati”, dei “non conformi”….  A fronte di giocatori dotati individualmente “di classe cristallina”, è sempre mancata la disciplina nonché la capacità di fare “gioco di squadra”.

L’incontro, durato circa un’ora e mezza, è letteralmente “volato” tra innumerevoli ed intriganti aneddoti.

E’ incredibile notare come, nel breve volgere di un decennio, la situazione politica sia precipitata in modo irreversibile, creando le condizioni per lo scoppio della guerra civile e la conseguente disintegrazione del Paese: mentre, nel 1980, poche settimane dopo la morte di Tito, durante un Hajduk Spalato- Stella Rossa Belgrado, i tifosi di ambedue le squadre si unirono per esprimere un comune cordoglio; nel 1990, oltre al famoso episodio già citato in precedenza, è significativo come (in occasione di un Hajduk Spalato- Partizan Belgrado) i tifosi della squadra croata invasero il campo e tolsero dal pennone dello stadio Poljud la bandiera jugoslava per issare quella croata.

L’identità dei club permette di capire il ruolo che il calcio ha rivestito nella guerra civile. E’ possibile individuare tre periodi storici: nel primo (1900-1910), le squadre nascevano su base “etnico- nazionalistica”; nel secondo (anni ’20 dello scorso secolo), le squadre venivano fondate più su basi “ideologico- politiche” (come, ad esempio, lo Zeljieznicar Sarajevo e lo Sloboda Tuzla); mentre, le squadre costituite a partire dagli Anni ‘40 riflettevano l’ideologia “comunista- titina” (su tutte il Partizan Belgrado, la “squadra dell’esercito”, che doveva rappresentare l’intera nazione jugoslava e, per questo motivo, nel suo atto costitutivo, fu stabilito che, a turno, i suoi Presidenti dovessero appartenere alle diverse nazionalità componenti il “puzzle balcanico”…..ironia della sorte, negli Anni ’50, a ricoprire questa carica fu un certo Franjo Tudjman…..lo stesso che, 40 anni dopo, sarebbe stato eletto come primo Presidente della “neonata” Croazia)…..Contraddizioni e colpi di scena usuali nella storia dei Balcani…..

Mentre si è spesso sentito parlare della rivalità del “Veciti Derby” (Derby eterno), tra Partizan Belgrado e Stella Rossa (squadra, quest’ultima, più legata all’identità serba e, per questo motivo, invisa a Tito), sicuramente “più di nicchia” e “per intenditori” è quella tra le due squadre di Mostar , i “Rodeni” (i nativi) dell’ FK Velez ed i “Plemici” (i nobili) dell’HSK Zrinjski. Quello di Mostar , infatti, su cui si sono soffermati entrambi i relatori, è un “derby di identità” (come lo ha definito il sito “eastjournal.net”) che affonda le proprie radici nelle origini delle due squadre. L’appartenenza dell’ HSK Zrinjski (fondata nel 1905) è evidente sin dalla sua denominazione: Hrvatski Sportski Klub, ossia club sportivo croato; infatti la squadra rappresenta la popolazione croata di Mostar ovest e trae il proprio nome dai principi Zrinski, una nobile famiglia croata. Un’ origine diametralmente opposta a quella dell’ FK Velez, nato nel 1922, come squadra operaia e presto associata al Partito Comunista locale, ed i cui tifosi oggi appartengono alla comunità musulmana di Mostar . Le due tifoserie rivali non potevano lasciarsi sfuggire una partita tra Croazia e Turchia come il pretesto per scontrarsi tra di loro ….

Questo libro è, a mio avviso, ancor più interessante perché permette di comprendere complicate dinamiche storiche e politiche sottostanti ad un “mondo calcistico”, sconosciute ai media italiani. Si ripensi ai patetici telecronisti della RAI che, chiaramente ignorando il significato del tradizionale “saluto serbo” (con le tre dita), fatto dai giocatori serbi ai propri tifosi, in occasione della “turbolenta” partita di Genova, lo interpretarono come un “invito alla calma” per evitare una sconfitta per 3-0 a tavolino …..beata ignoranza !!!!.

Oggi paradossalmente,la marginalità del calcio balcanico, quanto meno come livello tecnico espresso, lo rende ancor più affascinante ed identitario. Sicuramente il merito di ciò va attribuito a dei gruppi Ultras “spontanei” e “genuini”, in grado di ergersi a protagonisti , in modo tale da compensare la mediocre qualità delle squadre. Nel corso dell’incontro, degna di una menzione particolare è stata la Torcida dell’ Hajduk Spalato, il più antico gruppo Ultras del panorama ex-jugoslavo, fondato nel 1950 su iniziativa di alcuni marinai croati, provenienti dall’isola di Korcula , che seguirono i Mondiali del 1950 , in Brasile. Essi rimasero talmente colpiti dallo stile del tifo brasiliano da decidere, al loro ritorno in patria, di emulare le gesta dei supporters carioca. Molto suggestiva ed emozionante è la “rivalità a colpi di murales” che, nel corso dei decenni, si è combattuta lungo tutta la costa croato-montenegrina tra i tifosi dell’ Hajduk e quelli delle due squadre di Belgrado ….. quasi a voler marcare il territorio e le sfere di influenza !!!!.

Gabriele C.

MARCO POLO




 Alcuni croati, per fortuna non quelli della nostra crew, si vergognano così tanto del loro passato e del loro prersente che rubano la storia degli altri popoli per rifarsi il look. Poracci !!


Marco Polo

Dubravka Ugrešić: una Croazia sul modello fascista

Croazia, la zavorra del passato ustascia

Croazia: la distruzione dei libri negli anni '90

Grave situazione in Croazia

Ustascia e la Croazia di Ante Pavelic

Tortura in Europa

Franjo Tuđman

Jasenovac: se si mascherano gli orrori

Ruđer Josip Bošković

martedì 22 dicembre 2020

KOSOVO. LA GUERRA IN EUROPA




Ora ti succede che il nostro amico Matteo sta preparando la tesi di laurea sui Balcani e acquista libri a gogo. Che ti salta fuori da questo testo? Che la strage di Orahovac è un clamoroso falso!

Kosovo, la guerra in Europa. Roberto Morozzo Della Rocca



SUBOTICA

 




Dove si trovano una bandiera serba e una croata vicine? Ma naturalmente a Subotica! Pensate che se girate con una bandiera serba in Croazia rischiate il linciaggio. Pensate a quanto la Serbia è più democratica della Croazia sempre vittima del suo passato ustascia 







Subotica in Balkan crew

Benvenuti in Vojvodina, la Babilonia d'Europa

Ministarstvo Odbrane









lunedì 21 dicembre 2020

MILAN LEVAR

 


Nel 1997, Milan Levar, aveva volontariamente testimoniato contro il proprio esercito, quello croato, al tribunale dell'Aja. Dopo la testimonianza aveva chiesto protezione, ma gli è stata negata. Il 28 agosto del 2000 veniva ucciso

In memoria di Milan Levar, a 20 anni dall’omicidio

In ricordo di Milan Levar 

Komemoracija za Milana Levara – 20 godina

Milan Levar in Wikipedia 

Milan Levar (c 1954 -. 28 Agosto 2000)

Reported Murder of Milan Levar in Croatia.

Ricordando Milan Levar

Titova Jugoslavia

Storia di un uomo onesto

Milan Levar - Zbog istine ubijen

RED LAND: UN FILM DI PURA PROPAGANDA FASCISTA




RED LAND (ROSSO ISTRIA) 

Peter Handke

 




Felicissimi di questo premio a Peter Handke e felici anche per il premio a Olga Tokarczuk che era stata intervistata all'interno del festival Slavika.
Il Nobel viene assegnato ai migliori e coperto di critiche dai peggiori
Verrà fatta una statua a Srebrenica ad Handke (c'è chi l'ha fatta a Bill Clinton!)

Il premio Nobel per la Letteratura a Olga Tokarczuk e Peter Handke

Peter Handke, fra lingua e silenzio

cnj.it/CULTURA/handke

Међународна конференција "Мир и напредак уместо ратова и сиромаштва"

Un viaggio d'inverno ovvero giustizia per la Serbia

I libri di Peter Handke

Errore madornale

“To Duration”/ "Canto alla Durata

Peter Handke tra Nobel e linciaggio morale

Peter Handke tra Nobel e linciaggio morale / 3

Ein freund serbiens – zur NATO aggression 1999 vor 20 jahren

Perchè Milosevic è innocente


"Lei è stato accusato d'avere portato una rosa rossa sulla tomba di Milosevic e di avere approvato il massacro di Srbrenica?
«È una menzogna assoluta. Il Tribunale di Parigi ha condannato il Nouvel Observateur per diffamazione per queste affermazioni: m'avevano attribuito che io avevo dichiarato d'essere felice solo vicino Milosevic. Chi mi conosce sa che odio tutti gli uomini di potere. Ma naturalmente tutti i giornali francesi hanno oscurato la condanna. Hanno fatto la campagna contro di me arrivando al risultato della Comédie française che ha annullato un mio lavoro in programma, e poi hanno taciuto che non era vero quello che avevano detto. Amo profondamente la Francia di George Bernanos, di François Mauriac, e soprattutto di Albert Camus ma la cultura di questa Francia è veramente vergognosa. Ci sono ormai le caricature della letteratura e della filosofia come André Gluksmann, Bernard-Henri Lévy, e le macchiette del diritto internazionale e dell'umanitario come Bernard Kouchner, diventato nel frattempo ministro degli esteri. Quanto a Srbrenica hanno fatto la caricatura delle mie parole. Io ho condannato i crimini commessi dai serbi, ho ricordato però che tutto è incomprensibile se non si ricordano le stragi, anche di donne, vecchi e bambini - non come a Srbrenica - perpetrate prima dalle milizie bosniaco musulmane guidate dal comandante di Srbrenica Naser Oric nei villaggi intorno a Srbrenica, a Kravica, a Bratunac. Fatte con l'autorizzazione del presidente Izetbegovic. Era una feroce guerra interetnica e interreligiosa da denunciare tutta quanta».
Non pensa di avere sbagliato ad andare nel 2006 al funerale di Milosevic morto nel carcere dell'Aja?
«Non ero invitato e potevo starmene a casa. No, mi sono detto, devo andarci anche se sarà dannoso per me. E infatti hanno subito fatto tsunami contro di me falsando ogni mia parola. Sono riconoscente ai miei libri, ma sono fiero di questa scelta. E' una testimonianza che aiuta anche la nuova Serbia, quella che ora si batte perché il Kosovo non venga sottratto alla sua sovranità, storia e cultura. Così come sono fiero di essere andato prima all'Aja, non per riverire Milosevic, non mi interessava nulla di lui come uomo di potere. So che anche i serbi hanno commesso crimini, che non difendo. Insisto a denunciare la natura di una guerra complessivamente fratricida. Sono andato all'Aja perché era ancora in carcere accusato di tutto e come unico colpevole della guerra dei Balcani che ha visto, dal 1991 al 1995 e poi dal 1996 al 2002, ben sette fronti di guerra, e alcuni con Milosevic non ancora al potere o non più al potere, quando non addirittura coinvolto a sancire la pace, com'è accaduto a Dayton per la Bosnia Erzegovina, con tanto di ringraziamenti Usa. Sono andato all'Aja soprattutto perché penso che il politico in carcere sia molto più interessante di quando comanda. Del resto ero in buona compagnia con l'ex ministro della giustizia statunitense, Ramsey Clark».
Tommaso Di Francesco, Il Manifesto, 2010











GENOCIDIO IN CROAZIA



Forse non tutti sanno che il più grande genocidio della seconda guerra mondiale, in rapporto alla popolazione di una nazione, non ebbe luogo per mano dei nazisti ma si verificò nello Stato “fantoccio” della Croazia ad opera degli “ustascia”. Vi perirono, tra il 1941 e il 1945, ben 750.000 serbi, 60.000 ebrei e circa 26.000 rom.

GENOCIDIO IN CROAZIA

Ante Pavelic e il terrorismo ustascia dal Fascismo alla Guerra Fredda

sabato 19 dicembre 2020

Leggiamo dei brani dal libro di Bruno Maran. B


 



20 settembre 1992 - Caschi blu canadesi, dopo il rifiuto opposto dai soldati croati a farli entrare nei villaggi occupati come forza d’interposizione, riportano quanto accaduto nella “Sacca di Medak”, dove, solo dopo violenti scontri, con sette canadesi dell’Onu e 27 miliziani croati uccisi, questi accettano le ispezioni e i sospetti trovano subito riscontro. Testimoni diretti sono i soldati del Princess Patricia’s Canadian Light Infantry, comandate dal tenente colonnello Kevin.
Quando gli spari, i bombardamenti e il caos cessano a Medak, una delle cose che il peacekeeper canadese Tony Spiess ricorda di più è la puzza di morte dappertutto. La milizia croata cercava d’impedire che le truppe canadesi potessero divulgare le notizie circa le operazioni di “pulizia etnica” che praticavano nei villaggi serbi.
Mentre Spiess e un suo compagno camminano tra le macerie del villaggio serbo distrutto, i croati tentano di fermarli per non far vedere i corpi bruciati: ”Prima delle 1000 del mattino un ombrello denso di fumo copriva tutte le quattro cittadine della sacca di Medak, i croati hanno cercato di uccidere o distruggere tutto ciò che vi era nella loro scia”. Spiess, angosciato, ricorda: “I corpi di due giovani ragazze serbe legate a due seggiole a dondolo, con le braccia legate dietro alla schiena. Stavano ancora fumando… è stata una totale devastazione”.
Un altro testimone, l’ufficiale Green: “Ogni edificio sul loro percorso era stato demolito e molti erano ancora fumanti. Cadaveri giacevano sul ciglio della strada, alcuni gravemente mutilati e altri bruciati e irriconoscibili…
Sapevamo che sarebbe stato brutto, ma le cose che abbiamo trovato e visto sono state peggio di qualsiasi cosa ci aspettassimo…”.


Scritto da Bruno Maran nel libro "Dalla Jugoslavia alle Repubbliche indipendenti" edito da Infinito Edizioni

Dalla Jugoslavia alle Repubbliche indipendenti 

Operazione sacca di Medak

Medak Pocket: Canada at war in Yugoslavia

Leggiamo dei brani dal libro di Bruno Maran. A

 




29 agosto1995 postumo – Il portavoce Onu Ivanko affronta i giornalisti: “Nessuno ha visto i mortai serbo-bosniaci fare fuoco, ma gli specialisti di balistica sono concordi nell’accreditare la responsabilità del massacro all’artiglieria degli assedianti”. Al fuoco di fila delle domande dei giornalisti, su come e quando ci sarà l’intervento, su quando e dove si prendono le decisioni a riguardo, Ivanko risponde lapidario: ”Nel quartier generale Onu a Zagabria, lo Stato maggiore delle Forze di pace in Bosnia sta valutando l’eventualità di una risposta armata al massacro di ieri”. Il portavoce dell’Unhcr esprime indignazione e scandalo per l’atteggiamento assassino dei serbo-bosniaci. Lo speaker Unpf assicura che da oggi le truppe Onu non saranno più autorizzate ad attraversare il territorio serbo-bosniaco. Rimangono di stanza in quel territorio solo 450 caschi blu russi che pare non corrano pericoli. Quest’informazione presuppone un atteggiamento di prudenza delle forze Onu, che non vogliono ripetere l’umiliante esperienza della primavera scorsa nel caso di ritorsione armata.
Il leader serbo bosniaco Karadžić invia una lettera ai presidenti di Russia e Stati Uniti, Eltsin e Clinton, affermando: “Dalle immagini tv si vede chiaramente che i cadaveri sono stati manipolati e che tra i ‘cadaveri’ ci sono anche pupazzi di stoffa e plastica”.
Lo spettacolo del giornalista serbo-bosniaco Risto Džiogo rappresenta un ulteriore scempio. Nello studio della televisione di Pale, Džiogo mette per terra dei pupazzi di plastica e di stoffa, sdraiandovisi accanto, fingendo d’essere uno dei morti che sarebbero stati utilizzati nella messa in scena della strage del giorno precedente.
Il generale Smith, comandante dei caschi blu, sostiene che una relazione tecnica interna stabilisce che “al di là di ogni ragionevole dubbio, il proiettile è arrivato dalle posizioni dell’esercito serbo-bosniaco”. Conferma di aver udito voci secondo cui i musulmani si sparavano da soli, ma “nessuno mi ha dato prova di ciò”.
Il colonnello russo Andrej Demurenko è allontanato dal suo
posto all’Unpf perché si rifiuta di sottoscrivere le accuse ai serbo-bosniaci per l’ennesima strage al mercato.
Il generale MacKenzie, ex comandante dei caschi blu a Sarajevo, in un suo libro denuncia l’eventuale sacrificio di innocenti della propria parte per opportunità politica o strategica.
I rapporti Onu su queste opportunità sono secretati


Tratto dal libro di Bruno Maran "Dalla Jugoslavia alle repubbliche indipendenti" . Infinito Edizioni

MEDAK POCKET, UN MASSACRO IMPUNITO

 





Molto prima di Oluja

Medak Pocket, Croazia 1993, un massacro impunito

Dal libro di Bruno Maran

Battle of Medak, Canadian Peacekeepers stop ethnic cleansing




Il 4 agosto 1995 l'esercito del generale croato Gotovina aveva dato l'inizio all'operazione "Tempesta" (Oluja) uccidendo circa 2.000 e espellendo circa 250.000 cittadini di origine serba dalla regione Krajina, sita all'est della odierna Croazia, che fino a quel giorno e da diversi secoli era popolata dai serbi, che ancora il papà di Maria Theresia e poi i suoi discendenti, avevano spostato, dal sud della Serbia odierna, a partire dal 16 secolo, per proteggere i confini dell'Impero Austro-Ungarico dalla minaccia dei turchi mussulmani. Fu un ruolo che i serbi hanno svolto benissimo per tre secoli fino alla dissoluzione dell'impero ottomano.
A titolo di esempio, la famiglia del famoso inventore e scienziato Nikola Tesla, a cui dobbiamo la corrente alternata che utilizziamo e il motore a propulsione elettrica, era composta proprio dai generali dell’esercito serbo impegnati a combattere i turchi per conto dell’esercito Austriaco e dai prelati serbo-ortodossi. La maggior parte dei suoi famigliari furono sterminati durante la Seconda guerra mondiale nel campo di concentramento di Jasenovac in quanto i croati durante la seconda guerra mondiale facevano parte dell’alleanza nazista e i serbi di quella degli alleati (Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti e Russia).
Come dopo la Seconda guerra mondiale gli italiani persero le loro case in Istria, cosi durante la guerra degli anni 90 in ex Jugoslavia i serbi persero tutto quello che possedevano In Croazia, mentre nessun croato perse nulla di proprio in Serbia. Mia nonna paterna era una meravigliosa croata di Spalato e mio padre, suo figlio, in quanto anche il figlio di un serbo, mio nonno, si vedrà portare via, durante gli anni 90 del secolo scorso diverse proprietà che poi gli furono restituite, dopo anni e nelle condizioni fatiscenti, soltanto perché la Croazia era obbligata a farlo dalla UE.
Non solo questo orribile crimine di pulizia etnica non viene mai nominato dai vertici croati, ma, anzi, loro proprio in questi giorni celebrano questa operazione come una festa nazionale e questo nel totale silenzio della UE che fa finta di non sapere, come anche per tanti altri crimini che subirono i serbi in Bosnia e di cui non conviene ricordare per non turbare la narrativa ufficiale dell'epoca.
Tutto ciò è ingiusto e stomachevole. Fa venire la rabbia e un senso di impotenza e ancora di più fa venire la voglia di resistere a testa alta nonostante la menzogna di cui la propaganda occidentale si è sempre servita alla pari di qualsiasi autocrazia contro la quale poi hanno pure il coraggio di puntare il dito.
Bisogna sempre perdonare e andare avanti e cercare di essere sempre i costruttori di pace, però non si può e non si deve dimenticare!
PS: Io mi ricordo di queste colonne quando sono arrivate ai ridossi di Belgrado. Avevo 16 anni e le ho viste purtroppo con i miei occhi.
Lidija

RICORDO DI OLUJA 2020

 





Oluja in Balkan crew

Pad Krajine

Oluja - Pogrom Srba iz Hrvatske (2016)

SRBI U OLUJI

“Oluja” - zajednički zločin Hrvata, NATO-a i muslimanskih snaga

Dal libro di Bruno Maran

Il ricordo di “Oluja”, la tempesta che sconvolse i Balcani

Oluja 25 anni dopo  Che Oluja sia stata legittima non si puo' sentire

BELI ANĐEO IZNAD SAVE PODSEĆA NA STRADANjE SRBA

Serbia-Croazia: divise in 25.mo Operazione Tempesta

Grave situazione in Croazia
























Il 4 agosto 1995 l'esercito del generale croato Gotovina aveva dato l'inizio all'operazione "Tempesta" (Oluja) uccidendo circa 2.000 e espellendo circa 250.000 cittadini di origine serba dalla regione Krajina, sita all'est della odierna Croazia, che fino a quel giorno e da diversi secoli era popolata dai serbi, che ancora il papà di Maria Theresia e poi i suoi discendenti, avevano spostato, dal sud della Serbia odierna, a partire dal 16 secolo, per proteggere i confini dell'Impero Austro-Ungarico dalla minaccia dei turchi mussulmani. Fu un ruolo che i serbi hanno svolto benissimo per tre secoli fino alla dissoluzione dell'impero ottomano.
A titolo di esempio, la famiglia del famoso inventore e scienziato Nikola Tesla, a cui dobbiamo la corrente alternata che utilizziamo e il motore a propulsione elettrica, era composta proprio dai generali dell’esercito serbo impegnati a combattere i turchi per conto dell’esercito Austriaco e dai prelati serbo-ortodossi. La maggior parte dei suoi famigliari furono sterminati durante la Seconda guerra mondiale nel campo di concentramento di Jasenovac in quanto i croati durante la seconda guerra mondiale facevano parte dell’alleanza nazista e i serbi di quella degli alleati (Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti e Russia).
Come dopo la Seconda guerra mondiale gli italiani persero le loro case in Istria, cosi durante la guerra degli anni 90 in ex Jugoslavia i serbi persero tutto quello che possedevano In Croazia, mentre nessun croato perse nulla di proprio in Serbia. Mia nonna paterna era una meravigliosa croata di Spalato e mio padre, suo figlio, in quanto anche il figlio di un serbo, mio nonno, si vedrà portare via, durante gli anni 90 del secolo scorso diverse proprietà che poi gli furono restituite, dopo anni e nelle condizioni fatiscenti, soltanto perché la Croazia era obbligata a farlo dalla UE.
Non solo questo orribile crimine di pulizia etnica non viene mai nominato dai vertici croati, ma, anzi, loro proprio in questi giorni celebrano questa operazione come una festa nazionale e questo nel totale silenzio della UE che fa finta di non sapere, come anche per tanti altri crimini che subirono i serbi in Bosnia e di cui non conviene ricordare per non turbare la narrativa ufficiale dell'epoca.
Tutto ciò è ingiusto e stomachevole. Fa venire la rabbia e un senso di impotenza e ancora di più fa venire la voglia di resistere a testa alta nonostante la menzogna di cui la propaganda occidentale si è sempre servita alla pari di qualsiasi autocrazia contro la quale poi hanno pure il coraggio di puntare il dito.
Bisogna sempre perdonare e andare avanti e cercare di essere sempre i costruttori di pace, però non si può e non si deve dimenticare!
PS: Io mi ricordo di queste colonne quando sono arrivate ai ridossi di Belgrado. Avevo 16 anni e le ho viste purtroppo con i miei occhi.
Lidija

CI TROVATE IN FACE BOOK

  Balkan moja ljubav