Si è svolta Domenica 19 Marzo, presso il locale Luna’s Torta (situato nel quartiere S. Salvario, a Torino), la presentazione del libro “Il Brasile d’Europa. Il calcio nella Ex-Jugoslavia tra utopia e fragilità”. Presenti l’autore , Paolo Carelli (esperto di ricerca e formazione sui media), Eric Gobetti (“cultore” della storia dei Balcani) e Paolo Reineri (giovane avvocato torinese, appassionato di sport a 360 gradi ed avente al suo attivo alcuni “Veciti Derby”, vissuti “live in Beograd”…. e scusate se è poco, aggiungo io).
Come ha fatto notare Eric, il primo a prendere la parola, questa pubblicazione rappresenta un quadro più approfondito di una storia, solitamente appiattita sulla guerra. In ciò risiede l’elemento più interessante e caratterizzante rispetto ad altri libri, che si sono occupati del medesimo argomento.
Mentre, in Italia (ed altri Paesi occidentali), assistiamo ad un calcio ridotto a puro spettacolo televisivo (spesso di livello assai mediocre) con la marginalizzazione dei tifosi (anche a causa di una criminalizzazione del mondo “Ultras”, nonché di provvedimenti, come la “tessera del tifoso”, finalizzati anche a rendere problematica e “burocratica” la partecipazione delle masse popolari agli eventi calcistici); nella Ex-Jugoslavia, queste connessioni tra sport e politica sono ancora vive, vissute con orgoglio e non ripudiate, come un “ingombrante passato” da dimenticare al più presto.
Quella del calcio nella Ex-Jugoslavia è una storia che si è intrecciata con l’originalità politica, sociale e culturale di una Nazione costruita “a tavolino”, nell’immediato secondo dopo guerra, su di un delicato equilibrio di popoli eterogenei, con le sue utopie e contraddizioni. Dai primi successi olimpici (nel 1952, ad Helsinki, contro gli “amici-nemici” dell’ URSS) ai contrasti (anche sportivi) con l’Italia sulle “questioni” di Fiume e Trieste (in particolare si è fatta menzione delle vicende di una squadra che può essere considerata il simbolo dell’ostilità tra i due Paesi: il Ponziana); dall’impresa della Nazionale Under 20 “rosso stellata”, vittoriosa in Cile nel Campionato del Mondo di categoria, fino alla dissoluzione del Paese, cominciata proprio su di un campo di calcio (il 13 Maggio 1990, in occasione della partita di Campionato, tra Dinamo Zagabria e Stella Rossa Belgrado, mai disputata per gravi violenze tra le due tifoserie e contro la polizia).
Un’ epopea fatta di successi e talenti ma, soprattutto, di una costante ricerca della perfezione ed accompagnata da un profondo senso di instabilità e fragilità. Il leit-motiv che ha contraddistinto le prestazioni della nazionale jugoslava può essere riassunto nell’espressione “genio e sregolatezza”, tipici dei “non allineati”, dei “non conformi”…. A fronte di giocatori dotati individualmente “di classe cristallina”, è sempre mancata la disciplina nonché la capacità di fare “gioco di squadra”.
L’incontro, durato circa un’ora e mezza, è letteralmente “volato” tra innumerevoli ed intriganti aneddoti.
E’ incredibile notare come, nel breve volgere di un decennio, la situazione politica sia precipitata in modo irreversibile, creando le condizioni per lo scoppio della guerra civile e la conseguente disintegrazione del Paese: mentre, nel 1980, poche settimane dopo la morte di Tito, durante un Hajduk Spalato- Stella Rossa Belgrado, i tifosi di ambedue le squadre si unirono per esprimere un comune cordoglio; nel 1990, oltre al famoso episodio già citato in precedenza, è significativo come (in occasione di un Hajduk Spalato- Partizan Belgrado) i tifosi della squadra croata invasero il campo e tolsero dal pennone dello stadio Poljud la bandiera jugoslava per issare quella croata.
L’identità dei club permette di capire il ruolo che il calcio ha rivestito nella guerra civile. E’ possibile individuare tre periodi storici: nel primo (1900-1910), le squadre nascevano su base “etnico- nazionalistica”; nel secondo (anni ’20 dello scorso secolo), le squadre venivano fondate più su basi “ideologico- politiche” (come, ad esempio, lo Zeljieznicar Sarajevo e lo Sloboda Tuzla); mentre, le squadre costituite a partire dagli Anni ‘40 riflettevano l’ideologia “comunista- titina” (su tutte il Partizan Belgrado, la “squadra dell’esercito”, che doveva rappresentare l’intera nazione jugoslava e, per questo motivo, nel suo atto costitutivo, fu stabilito che, a turno, i suoi Presidenti dovessero appartenere alle diverse nazionalità componenti il “puzzle balcanico”…..ironia della sorte, negli Anni ’50, a ricoprire questa carica fu un certo Franjo Tudjman…..lo stesso che, 40 anni dopo, sarebbe stato eletto come primo Presidente della “neonata” Croazia)…..Contraddizioni e colpi di scena usuali nella storia dei Balcani…..
Mentre si è spesso sentito parlare della rivalità del “Veciti Derby” (Derby eterno), tra Partizan Belgrado e Stella Rossa (squadra, quest’ultima, più legata all’identità serba e, per questo motivo, invisa a Tito), sicuramente “più di nicchia” e “per intenditori” è quella tra le due squadre di Mostar , i “Rodeni” (i nativi) dell’ FK Velez ed i “Plemici” (i nobili) dell’HSK Zrinjski. Quello di Mostar , infatti, su cui si sono soffermati entrambi i relatori, è un “derby di identità” (come lo ha definito il sito “eastjournal.net”) che affonda le proprie radici nelle origini delle due squadre. L’appartenenza dell’ HSK Zrinjski (fondata nel 1905) è evidente sin dalla sua denominazione: Hrvatski Sportski Klub, ossia club sportivo croato; infatti la squadra rappresenta la popolazione croata di Mostar ovest e trae il proprio nome dai principi Zrinski, una nobile famiglia croata. Un’ origine diametralmente opposta a quella dell’ FK Velez, nato nel 1922, come squadra operaia e presto associata al Partito Comunista locale, ed i cui tifosi oggi appartengono alla comunità musulmana di Mostar . Le due tifoserie rivali non potevano lasciarsi sfuggire una partita tra Croazia e Turchia come il pretesto per scontrarsi tra di loro ….
Questo libro è, a mio avviso, ancor più interessante perché permette di comprendere complicate dinamiche storiche e politiche sottostanti ad un “mondo calcistico”, sconosciute ai media italiani. Si ripensi ai patetici telecronisti della RAI che, chiaramente ignorando il significato del tradizionale “saluto serbo” (con le tre dita), fatto dai giocatori serbi ai propri tifosi, in occasione della “turbolenta” partita di Genova, lo interpretarono come un “invito alla calma” per evitare una sconfitta per 3-0 a tavolino …..beata ignoranza !!!!.
Oggi paradossalmente,la marginalità del calcio balcanico, quanto meno come livello tecnico espresso, lo rende ancor più affascinante ed identitario. Sicuramente il merito di ciò va attribuito a dei gruppi Ultras “spontanei” e “genuini”, in grado di ergersi a protagonisti , in modo tale da compensare la mediocre qualità delle squadre. Nel corso dell’incontro, degna di una menzione particolare è stata la Torcida dell’ Hajduk Spalato, il più antico gruppo Ultras del panorama ex-jugoslavo, fondato nel 1950 su iniziativa di alcuni marinai croati, provenienti dall’isola di Korcula , che seguirono i Mondiali del 1950 , in Brasile. Essi rimasero talmente colpiti dallo stile del tifo brasiliano da decidere, al loro ritorno in patria, di emulare le gesta dei supporters carioca. Molto suggestiva ed emozionante è la “rivalità a colpi di murales” che, nel corso dei decenni, si è combattuta lungo tutta la costa croato-montenegrina tra i tifosi dell’ Hajduk e quelli delle due squadre di Belgrado ….. quasi a voler marcare il territorio e le sfere di influenza !!!!.
Gabriele C.