venerdì 25 giugno 2021

INIZIO DELLA SECESSIONE DALLA JUGOSLAVIA


 



 Il 22 dicembre 1990, il parlamento croato proclamò unilateralmente l’indipendenza e promulgò una nuova Costituzione tutta incentrata sul principio fondamentale, prego di richiami alla celeberrima Dottrina Monroe, della “Croazia ai croati”. Nell’ottobre del 1991 il governo guidato dal presidente Franjo Tuđman decretò l’espulsione di circa 30.000 serbi dalla Slavonia e dalla Krajina, mentre la Guardia Nazionale Croata occupava Vukovar. L’esercito federale cinse d’assedio la città prima di procedere all’attacco, infliggendo pesanti perdite agli assediati che vennero costretti alla resa. Nel frattempo, la Macedonia otteneva l’indipendenza (17 settembre 1991) grazie ad un accordo stipulato tra il primo ministro Kiro Gligorov e il presidente della Federazione Jugoslava Slobodan Milošević, mentre la Slovenia decise di ispirarsi all’esperienza croata per proclamare a sua volta (25 giugno 1991), l’indipendenza da Belgrado sulla medesima base etnica. A differenza di quanto accaduto in Croazia, il piccolo esercito sloveno riuscì a tener brillantemente testa alle milizie federali, provocando pesanti perdite. Le secessioni proclamate unilateralmente da Croazia e Slovenia e il successo ottenuto da quest’ultima nel conflitto contro le truppe inviate dal governo di Belgrado non potevano che alimentare le spinte centrifughe interne alla Jugoslavia, favorendo implicitamente l’estensione a macchia d’olio della guerra civile.

Di fronte all’acuirsi della crisi balcanica, l’Europa di Maastricht si spaccò. Il 23 dicembre 1991 la Germania, che nutriva corposi interessi economici in Croazia, riconobbe l’indipendenza dei governi di Zagabria e Lubiana, in aperta violazione del principio, stabilito da una commissione presieduta dal celebre giurista francese Robert Badinter, che imponeva il non riconoscimento degli Stati proclamatisi indipendenti in maniera violenta, unilaterale e (soprattutto) su basi etniche. La mossa non destò eccessivo stupore, visto e considerato che, nel 1988, una delegazione governativa formata dal cancelliere Helmut Kohl, dal ministro degli Esteri Hans Dietrich Genscher e da una serie di alti funzionari aveva incontrato sia Franjo Tuđman che il presidente sloveno Milan Kučan per coordinare una linea operativa – sostenuta finanziariamente dalla Germania – votata allo smembramento della Jugoslavia e alla contestuale creazione di una serie di Stati indipendenti nei confronti dei quali dispiegare la penetrazione economica tedesca. Già negli anni ’30, la Germania è aveva cercato insistentemente di ricavare il proprio lebensraum (spazio vitale) attraverso una drang nach osten (spinta verso est) dalla forte connotazione economica. L’obiettivo era quello di creare «un blocco economico autosufficiente che corra da Bordeaux a Odessa, lungo la spina dorsale d’Europa» in cui l’apparato produttivo tedesco avrebbe avuto modo di realizzare la propria “penetrazione pacifica”. A elaborare tale visione era stato nientemeno che Carl Duisberg, direttore della Ig Farben nonché membro di primissimo piano del Mitteleuropaeischen Wirthschaftstag (Mtw), un centro studi di cui facevano parte, tra gli altri, anche i rampolli della famiglia Krupp (grandi produttori d’acciaio), i proprietari delle società carbonifere della Ruhr, gli junker della Prussia orientale, il direttore della Dresdner Bank Carl Götz e il leader della Deutsche Bank Hermann Abs. Si tratta del gotha della finanza e della grande industria tedesca che finanziò generosamente l’ascesa al potere di Hitler. A partire dagli anni ’80, la Germania ha deciso di rilanciare il vecchio progetto concepito dal Mtw, attrezzandosi per costruire nel cuore dell’Europa un enorme blocco manifatturiero integrato da includere in una rete produttiva a maglie strettissime. Si trattava, in altre parole, di far gravitare le aree produttive dei Paesi limitrofi – a basso impatto salariale e a cambi depressi (l’introduzione dell’euro è stata, sotto questo aspetto, la ciliegina sulla torta) – attorno all’hub industriale tedesco, rifornendolo della componentistica dal basso valore aggiunto. Per imporre il disegno tedesco all’area balcanica, occorreva in primo luogo approfittare del disimpegno forzato dell’Urss, sconvolta da un marasma politico, economico e sociale senza precedenti, per implementare una strategia diplomatica finalizzata allo smantellamento dell’assetto statale jugoslavo attraverso l’appoggio alle frange secessioniste locali.

Nell’immediato, la conseguenza fu i serbi di Croazia proclamarono unilateralmente la nascita della Repubblica Serba di Krajina (24 dicembre) richiamandosi al medesimo diritto di autodeterminazione dei popoli precedentemente accolto dalla Germania nei confronti dei croati. La situazione di caos venutasi a creare (anche) a causa dell’atteggiamento tedesco andò rapidamente aggravandosi per effetto dell’intervento del Vaticano, che decise di legittimare le rivendicazioni indipendentiste avanzate dalle cattoliche Slovenia e Croazia al duplice scopo di assestare un colpo micidiale all’odiato regime di ispirazione comunista e porre le basi per il ritorno alla Chiesa dei beni ecclesiastici che erano stati nazionalizzati dalla Jugoslavia subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Il 15 gennaio del 1992, Slovenia e Croazia ottennero il riconoscimento da parte tutti i Paesi firmatari del Trattato di Maastricht.

Guerra jugoslava, cronache di una catastrofe preparata a tavolino
di GIacomo Gabellini 4.12.2017

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