mercoledì 26 gennaio 2022

E DOPO LE AMEBE VENNERO I CROATI



E' VIETATO AI CROATI RUBARE LA CULTURA DALMATA


Mostra Marino Darsa non piaciuta





Una volta falsificati, ovvero croatizzati, nome e cognome di uno scrittore, di un pittore, di un musicista che nacque o visse sul territorio che oggi fa parte della Croazia, la sua opera diventa automaticamente croata. 




 "CROATI PIGLIATUTTO"

Magistrale pezzo di Giacomo Scotti nella "Voce del popolo"
"E dopo le amebe vennero i Croati...
Marko Polić-Pol "
"Potrei firmare anche virgole e punti del testo pubblicato da Gian Antonio Stella sul “Corsera” di Milano e riportato integralmente da “La Voce del Popolo” l’indomani (23 aprile), ma poiché sull’argomento dell’appropriazione indebita di grandi personaggi della letteratura, della cultura e della storia italiana ho scritto a più riprese, arrabbiandomi forte, negli ultimi cinquant’anni, proverò a fare una cernita e una sintesi su questo brutto vezzo degli storici e politici croati – e fossero soltanto loro! – che non hanno risparmiato nessuno dei tanti grandi italiani “colpevoli” di essere nati o semplicemente di essere passati nelle e per le terre della Dalmazia, del Quarnero e dell’Istria oggi incluse nella Croazia. Per questi signori quegli italiani, per lo più sudditi della Serenissima repubblica di Venezia, furono e restano croati.
Negli ultimi venti anni si è giunti a croatizzare il veneziano e italiano Marco Polo. Già Franjo Tuđman lo fece, ora c’è caduto Stjepan Mesić, anche lui per un viaggio in Cina. Nel periodo immediatamente successivo alla secessione della Croazia dalla Jugoslavia ed alla conquista dell’indipendenza, all’inizio degli anni Novanta del secolo appena tramontato, nel contesto di un nazionalismo esasperato dalla guerra e dai rancori prolungatisi nel dopoguerra, Tuđman e i suoi se la presero anche con l’Italia e si appropriarono di numerosi scrittori, architetti, scultori ed altri artisti italo-veneti, dichiarandoli croati.
Il filosofo chersino Francesco Patrizi divenne Franjo e Frane Petrić ed ancora oggi, nei convegni annuali a lui dedicati a Cherso, è sempre e soltanto croato, viene chiamato sempre come lui non si firmò mai. Gli studiosi croati della sua opera sono però costretti a tradurre i suoi libri dal latino e dall’italiano.
Poi si è arrivati al celeberrimo Marco Polo. Recandosi in Cina, il “Supremo” si vantò davanti al Congresso del Popolo di aver seguito le orme del suo “connazionale”, ordinando ai suoi di scriverne il nome con la kappa: Marko. Cominciò da allora a correre sulla linea ferroviaria Zagabria-Venezia il treno Marko Polo (e l’Italia non protestò) e prese a navigare, come tuttora naviga, la nave passeggeri Marko Polo con la kappa. Dunque, a dire di Tuđman e di altri “storici” croati il veneziano sarebbe nato a Curzola (dove una leggenda parla di una “casa di Marco Polo”) e sarebbe stato di nazionalità croata. Oddìo, c’è pure qualche altro che lo vuole nato a Sebenico, ma lasciamo stare. Certo, in Dalmazia, ancora oggi, gente col cognome Polo, De Poli e simili ce n’è tanta, ma è pur vero che Venezia fu la signora della Dalmazia e di gran parte dell’Istria per quattrocento anni e ci furono giudici, capitani, podestà, rettori e conti veneziani mandati sull’Adriatico orientale che si chiamavano Polo e lasciarono in queste terre qualche rampollo, come l’hanno lasciato i Tiepolo (vedi a Pago i Chiepolo) i Cambi a Spalato, i Fiamengo a Lissa eccetera, eccetera.
Come se non bastasse, Tuđman volle mettere le mani anche su Ruggero Giuseppe Boscovich, raguseo, figlio di padre erzegovese e di madre oriunda bergamasca – Bettera – lo scienziato gesuita vissuto in Italia fin dai tredici anni di età. Scrisse le sue opere soltanto in italiano e in francese, personalmente polemizzò con chi voleva cambiargli nome e cognome, ma ciononostante Tuđman voleva che il monumento dello scienziato a Milano lo indicasse con nome e cognome scritti con la grafia croata: Rudjer Bošković. Il governo italiano quella volta disse di no e la visita ufficiale del “Vrhovnik” in Italia sfumò. Mise piede in Italia soltanto per visitare a Roma la mostra dell’arte rinascimentale croata, quasi esclusivamente dalmata e quasi esclusivamente fatta di opere di scultori e architetti italiani del Rinascimento. Purtroppo ad ospitare quella mostra fu la Città del Vaticano e Tuđman mise piede in Italia soltanto per andare in quel minuscolo anche se potentissimo Stato.



Ragusa distava 400 km dal Regno di Croazia
 



In alcune guide della Croazia e in tutti i libri di testo in materia di commercio nelle scuole superiori croate si legge che l’inventore della “partita doppia” fu un croato, e si fa il nome di Benko Kotruljić alias Kotruljević, raguseo.
Ebbene quell’uomo era Benedetto Cotrugli, figlio di un mercante pugliese stabilitosi a Ragusa, autore - Benedetto non suo padre – del famoso libro “Della mercatura e del mercante perfetto” pubblicato a Venezia nella prima metà del XV secolo. Oltretutto, il Cotrugli visse per lo più in Italia e si spense a Napoli.
Uno “storico” di musica zagabrese con il quale polemizzai negli anni Settanta, scrisse – e nella storia della musica croata si ripete quanto lui scrisse allora sul “Borba” – che il compositore istriano del XV secolo Andrea da Montona il Vecchio, tra l’altro inventore della stampa delle note musicali, era croato. Perciò gli cambiò i connotati chiamandolo Andrija Motuvljanin-Starić. Anche il montonese, tanto per cambiare, visse fin da ragazzo a Venezia e scrisse unicamente in italiano i versi dei suoi pezzi musicali.
Quando il papa Giovanni Paolo II arrivò a Fiume (e molti giornalisti italiani scrissero Rijeka, alla radiotelevisione pronunciato “rigieca”), la Curia zagabrese inviò a tutti i giornali (compresa “La Voce del Popolo”) un inserto a pagamento di una decina di pagine sui “santi croati”. Ne trovai alcuni – per lo più “beati” - vittime delle persecuzioni anticristiane degli imperatori romani: santi polesani, istriani. Non mi risulta che all’epoca romana ci fossero croati e slavi in genere in Istria e Dalmazia.
A Fiume, un modesto autore di saggi su argomenti più disparati relativi alla cultura, all’arte, alla museologia, alla storia e agli eventi politici del capoluogo del Quarnero, per dimostrare che tutto qui fu in passato e resta oggi croato, se la prese con alcuni nostri scrittori, facendo i nomi di Ezio Mestrovich e Nirvana Ferletta, scrivendoli alla croata: Meštrović e Frleta- Volle “dimostrare” che i “cosiddetti” italiani fiumani, e non solo loro, erano dei croati voltagabbana, quasi quasi dei traditori.
Che ne direbbe se io gli mettessi sotto gli occhi e il naso cognomi italiani di personaggi croatissimi come il leader del Partito nazionale croato della seconda metà dell’Ottocento, Juraj Bianchini, oppure il grande poeta croato dello scorso secolo, Gvido Tartaglia, il grande attore zagabrese del Novecento, Tito Strozzi, o l’attuale ambasciatore croato in Argentina Castelli, il notissimo studioso d’arte in Dalmazia, Nenad Cambi, il poeta Jakša Fiamengo, il compositore Mario Nardelli, l’architetto Bernardo Bernardi, il capo dell’Istituto di Epidemiologia della Croazia, dott. prof. Dinko Rafanelli, il cantante del gruppo “Trubaduri”, Luciano Capurso, il presidente del Sindacato dei marittimi della Croazia, Predrag Brazzoduro, la giornalista Sanja Corazza, il pittore Josip Botteri Dini, il giornalista e leader degli studenti croati, Vojislav Mazzocco? Potrei continuare fino a domani.
Ho scritto altre volte e lo ripeto qui: la Croazia ha grandi croati, uomini e donne, di cui vantarsi, che meritano di essere celebrati in tutti i campi, compresa l’arte e la letteratura; non ha perciò bisogno di rubarli ad altri popoli. Temo però che i ciechi nazionalisti non cesseranno mai di rubacchiare per ornarsi delle penne altrui."
fIrmato: Giacomo Scotti
(da.linkiesta.it del /2011/05/01)














I croati e gli pseudo croati di Milano hanno sempre agito al limite della denuncia. Lo dicono tutti, ma in particolar modo lo dice Marco Tarquinio, lunedì 21 marzo 2016, rispondendo alle giustissime rimostranze di Antonio Ballarin. Si vede che questi signori finchè non prendono una denuncia non capiscono. - Posso parlare solo per me e per i miei colleghi, caro dottor Ballarin, ma di un dovere che non è solo mio e nostro: gli errori, quando ci sono, vanno sempre corretti. Affermare quel che è stato affermato in quel dispaccio di agenzia sull’italiano Ruggero Boscovich «croato» è stato un errore serio e grave. Che getta sale su una ferita che bisognerebbe invece curare e chiudere. E la verità è la prima medicina.



Siamo grati al Direttore di «Avvenire» per avere colto e approfondito le precisazioni che la Federazione degli esuli giuliani, istriani, fiumani e dalmati – tramite il suo presidente, Antonio Ballarin – ha espresso circa l’inaugurazione del milanese monumento a Ruggiero Boscovich, esaltato come scienziato croato da parte delle fonti giornalistiche che hanno recepito in modo acritico il comunicato ufficiale dell’iniziativa. Non è questo che l’ultimo tentativo di piegare la storia al nazionalismo.



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