domenica 21 agosto 2022

E' vietato ai croati rubare la cultura dalmata


 Una volta falsificati, ovvero croatizzati, nome e cognome di uno scrittore, di un pittore, di un musicista che nacque o visse sul territorio che oggi fa parte della Croazia, la sua opera diventa automaticamente croata. 














MARIN DRZIC ERA UNA DALMATA FIGLIO DI SERBI
Marin Držić nacque a Dubrovnik probabilmente nel 1508. nella casa paterna vicino al Palazzo del rettore come il figlio minore nella famiglia di commercianti plebei originaria di Cattaro che nel XIV. secolo aveva perso il titolo nobiliare avendo prolungato l`albero di famiglia da parte di un figlio illegittimo. La madre Anukla discende dalla distinta famiglia borghese di Kotruljević.










Originariamente serbi e croati erano lo stesso popolo 



Ho scritto altre volte e lo ripeto qui: la Croazia ha grandi croati, uomini e donne, di cui vantarsi, che meritano di essere celebrati in tutti i campi, compresa l’arte e la letteratura; non ha perciò bisogno di rubarli ad altri popoli. Temo però che i ciechi nazionalisti non cesseranno mai di rubacchiare per ornarsi delle penne altrui."
firmato: Giacomo Scotti
(da.linkiesta.it del /2011/05/01)








E' un po' troppo facile cambiare nome e cognome ai morti, provate a farlo ai vivi tipo Djokovic, dato che i croati vogliono rubare pure lui dopo Marco Polo e Tesla 





Marta Drpa è una serba nata a Knin, attuale Croazia, prima che i croati compissero la strage di Krajina con 600 civili uccisi nelle loro case. Marta è serba e serba è rimasta.




Per tutta risposta alla legge promulgata dalla Serbia a tutela del patrimonio serbo, i croati, direi quelli non intelligenti, chiedono di rubare anche Djokovic. Sembra che stiano preparando pure la legge ad hoc

HRVATI ZAKONOM OTIMAJU NOVAKA! Idiotski odgovor komšija na srpski propis o kulturnom nasleđu!





L’equivoco di Dubrovnik nasce dal fatto che fino al 1500 circa si parlava il Dalmatico, lingua neolatina a cavallo tra Italiano e Romeno. La slavizzazione popolare avviene tra il 1400 e il 1550. Ma come lo stesso Boscovich afferma, la lingua popolare di Dubrovnik era “Slavico”, non Croato, un dialetto molto simile a quello di Erzegovina lingua letteraria di tutti i Croati fino al 1992, ma il dialetto di Dubrovnik veniva parlato da tutti anche dai Serbi e dai Mussulmani a ovest del fiume Drina, quindi non poteva essere definito solo Croato. Peraltro, il dolce idioma di Erzegovina era quello ferocemente odiato da Tudman
















Esattamente questo: malattie psicopatologiche anche ben diagnosticabili nella società croata, in particolare frustrazione e complessi di inferiorità. Non si poteva dirlo meglio! 





Il problema della Croazia, nazione giovane ma piena di ipocrisie, è che non appena si sono autoproclamati nazione hanno distrutto tutti i libri jugoslavi e cambiato lingua 


Che vergogna difendere una nazione così ipocrita! 
















I croati e gli pseudo croati di Milano hanno sempre agito al limite della denuncia. Lo dicono tutti, ma in particolar modo lo dice Marco Tarquinio, lunedì 21 marzo 2016, rispondendo alle giustissime rimostranze di Antonio Ballarin. Si vede che questi signori finchè non prendono una denuncia non capiscono. - Posso parlare solo per me e per i miei colleghi, caro dottor Ballarin, ma di un dovere che non è solo mio e nostro: gli errori, quando ci sono, vanno sempre corretti. Affermare quel che è stato affermato in quel dispaccio di agenzia sull’italiano Ruggero Boscovich «croato» è stato un errore serio e grave. Che getta sale su una ferita che bisognerebbe invece curare e chiudere. E la verità è la prima medicina.






Siamo grati al Direttore di «Avvenire» per avere colto e approfondito le precisazioni che la Federazione degli esuli giuliani, istriani, fiumani e dalmati – tramite il suo presidente, Antonio Ballarin – ha espresso circa l’inaugurazione del milanese monumento a Ruggiero Boscovich, esaltato come scienziato croato da parte delle fonti giornalistiche che hanno recepito in modo acritico il comunicato ufficiale dell’iniziativa. Non è questo che l’ultimo tentativo di piegare la storia al nazionalismo.






La città di Dubrovnik, nell'odierna Croazia, con insediamenti vicini, contava 11.177 abitanti secondo il censimento del 1890. La quota più grande era composta da cattolici - 10.327, 546 ortodossi, 221 cristiani evangelici, 79 ebrei, due maomettani, un Uniato e un residente senza affiliazione religiosa.

Alla domanda che lingua parlano in casa, 9.713 persone hanno dichiarato che era serbo, 716 italiano, 384 ungherese, 285 tedesco, 52 ceco, 19 sloveno, 6 polacco e 2 russo.

La rivista "Dubrovnik" è stata stampata in latino, in serbo e trattava di letteratura, storia, cultura e politica ed è stata curata da Antun Fabris (1864-1904), un serbo cattolico di Dubrovnik.

La Repubblica di Ragusa




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Il cambio di regime in Croazia all'inizio degli anni Novanta ha avuto, accanto alla sua accezione politica ed economica, anche una dimensione bibliotecaria, prima di tutto attraverso la "dismissione" straordinaria dei libri, ovvero una sistematica e pedante eliminazione di tutti i libri che il nuovo regime riteneva inadatti, sia a causa della nazionalità ed altri dettagli bibliografici degli autori, che del luogo di edizione del libro, che del suo contenuto.
Igor Lasic'





“MARADONA JE NAŠ”, OVVERO “MARADONA È NOSTRO”: COME LA CROAZIA TI SCIPPA ANCHE IL CAMPIONE ARGENTINO!

Cari Amici,
dopo aver “nazionalizzato” Marco Polo, Giorgio Orsini, Giovanni Francesco Gondola, Ruggero Boscovich, Marcantonio de Dominis, e decine di altri illustri e nobili personaggi ancora, ora la Croazia rivendica come croato nientepopodimeno che la recentemente scomparsa leggenda del calcio, Diego Armando Maradona.

“Maradona je naš”, titola infatti un articolo di ieri pubblicato dal quotidiano nazionalista Slobodna Dalmacija, tentando grossolanamente di ricostruire (esaurendo l’argomento in due righe soltanto) la storia della famiglia materna. Secondo il giornale, il bisnonno Matej Kariolić sarebbe nato sull’isola di Curzola - la stessa dove é nato Marco Polo (pardon, Marko Polo!), sottolinea la testata - perdendosi poi in un elenco smisurato di personalità politiche sudamericane, anche queste di sangue croato.

Peccato che la vera storia sia un’altra, e volentieri ve la raccontiamo.

Correva l’anno 1847, e nell’Isola di Curzola (Dalmazia), un tempo abitata da italiani, nasceva Matteo Carioli. Matteo, diventato grande, emigrò in Argentina, dove si sposò con Trinidad Ferreira ed ebbe una figlia che chiamarono Salvadora. Dal matrimonio tra Salvadora e Atanancio Ramón Edisto Franco, nel 1930 nacque una figlia a cui Salvadora diede il nome Dalma (lo stesso della figlia del fuoriclasse) per via della sua origine dalmata. Dalma, Doña Tota.

Cari Amici croati, finiamola con questo ossessivo “naš”!

E famo croato pure Maradona va !



Per tutta la sua storia Ragusa costituì un ponte tra Oriente ed Occidente, tra mondo slavo e romanzo.

La città fu fondata da popolazioni latine, di lingua dalmatica, e il latino e l'italiano furono per secoli le lingue utilizzate nella grande maggioranza dei documenti ufficiali della Repubblica.

Grazie a Giovanni Conversini da Ravenna (1343-1408), che si lamentò di non poter parlare con gli abitanti, sappiamo che alla fine del XIV secolo la lingua più comunemente parlata a Ragusa non era il latino, ma assai probabilmente il dalmatico. Le classi più elevate erano comunque bilingui o trilingui, parlando esse il dalmatico, il volgare italiano e la lingua slava locale. Filippo de Diversis riporta che negli anni 1434-1440, quando insegnava la grammatica latina a Ragusa, nei tribunali si parlava ancora in dalmatico, ma gli stessi giudici parlavano con lui in italiano e la lingua slava era già comune. Il dalmatico si estinse a Ragusa verso la fine del Quattrocento. Per il grande umanista raguseo Elio Lampridio Cerva (1460 circa - 1520) il dalmatico era già una lingua dimenticata, un ricordo dell'infanzia. Così tra le lingue usate a Ragusa rimasero un dialetto štokavo con qualche caratteristica čakava[25], il latino e l'italiano nella forma toscana, con parecchie influenze sia del nord come del sud Italia, in modo particolare dal veneziano. In epoca più recente, a Ragusa si sviluppò anche un dialetto particolare, con base slava e parecchie influenze italiane.




Il fatto che si firmava raguseo e non croato vorrà pur dire qualcosa 


Maggiori informazioni QUI


Lo stocavo o stocavico[1] (štokavski/штокавски o štokavsko narečje/штокавско наречjе) è il dialetto di prestigio della lingua serbo-croata: rappresenta le fondamenta su cui si basa lo standard della lingua serbo-croata, così come lo è il fiorentino trecentesco nel caso della lingua toscana, nota dal Cinquecento come lingua italiana. È diffuso come dialetto maggioritario e lingua letteraria, ed è quindi alla base delle varie standardizzazioni che costituiscono la lingua ufficiale in CroaziaBosnia ed ErzegovinaSerbia e Montenegro (lingua standard croatalingua standard bosniacalingua standard serba, e lingua standard montenegrina).

Le tre denominazioni (stocavo, ciacavocaicavo) sono dovute alla forma che assume nei vari dialetti la domanda "Che cosa?": što? (o šta? in Bosnia ed Erzegovina e Serbia), ča?kaj?.




La Dalmazia non era un dominio Veneziano. La Dalmazia era Venezia. L’unica regione veneziana a non aver mai avuto serie rivolte (perfino Chioggia ne ha avute!). Che parlassero dalmatico, italiano o croato ikavo, gli abitanti della Dalmazia hanno sempre guardato Venezia (e poi Vienna) come centro, mai Zagabria (o Budapest) e questo fino a 100 anni fa. Gli Schiavoni di Dalmazia si sono fatti massacrare tutti pur di non arrendersi agli Austriaci nel 1797 e il viale più bello di Venezia, da San Marco all’Arsenale, porta il loro nome. Una vera assurdità affermare “croata” ogni cosa prodotta in Dalmazia prima del 1919.






Riassumendo i punti che tratta il seguente video. L’idea di una Jugoslavia è nata a Zagabria e prima della riforma di Vuk Karadžić i croati non avevano una propria lingua letteraria. Se non c’era l’esercito serbo sia la Slovenia che la Croazia non esisterebbero. I Serbi per creare lo stato jugoslavo hanno perso più di un milione di vite e la Serbia è entrata nella Jugoslavia comprendendo Macedonia, Vojvodina, Kosovo e Montenegro, invece sloveni e croati sono entrati con lo stato di sloveni croati e serbi che nessuno al mondo riconosceva. Poi va a spiegare tutti i punti sopra, entrando nel dettaglio.

Goran Šarić - „Stvaranje Jugoslavije – najveća srpska zabluda“




Ragusa distava 400 km dalla Croazia 







Poniamo anche il caso che la famiglia di Marin Drzic' fosse bilingue e conosciuta con entrambe le varianti grafiche del nome, rimane sempre serbo, nato vicino alla Serbia e lontano dal Regno di  Croazia 





Ruggero Giuseppe Boscovich

Nato in Dalmazia da padre serbo, si formò e operò in Italia, dove fu tra i primi a promuovere la diffusione e la discussione critica del newtonianesimo. Nell’opera in cui espresse in maniera organica il suo pensiero filosofico e scientifico, la Philosophiae naturalis theoria redacta ad unicam legem virium in natura existentium (1758), tentò di ridurre tutte le forze della natura a un’unica legge. Molto noto e attivo anche fuori d’Italia, nonostante l’assenza di un’adeguata formalizzazione, le sue teorie fisiche avrebbero esercitato una certa influenza sulla scienza del 19° secolo.

LA VITA  Ruđer Josip Bošković (in italiano Ruggero Giuseppe Boscovich) nacque a Ragusa (ora Dubrovnik, Croazia) l’11 maggio 1711. Suo padre Nicholas (Nikola) era un mercante serbo
Tutta la famiglia Boscovich era serba





I croati di Milano avevano già fatto il colpo basso cercando di far passare Giuseppe Boscovich per croato 








Figli di questa città di confine, moltissimi ragusei possono essere considerati tanto italiani quanto slavi. E fra questi il più celebre è senz’altro l’astronomo e matematico Ruggero Boscovich (1711-1787) nato a Ragusa da madre italiana e padre serbo, a 14 anni si trasferì in Italia. Boscovich, che fu un prete cattolico, è uno dei più grandi intellettuali del suo tempo: matematico, astronomo, uomo di fede e di scienza. Era senz’altro bilingue (parlava anche in serbocroato, ma in famiglia prediligeva l’italiano), scrisse la gran parte delle sue opere scientifiche in latino – lingua della scienza d’allora – ma anche in italiano e in francese. Nella sua corrispondenza con Voltaire, il filosofo gli scriveva in italiano. Fece parte dell’Accademia dei Quaranta, altrimenti detta Società Italiana. E’ interessante che anche i serbi considerano Boscovich come un “loro” scienziato, poiché suo padre era di origine serba. Boscovich preferiva definirsi “dalmata”, rivendicando dunque un’origine regionale più che nazionale (un atteggiamento dunque molto… italiano!). Va altresì notato che dei suoi cinque fratelli, due – Anna e Pietro – furono buoni poeti slavi, mentre un altro – Bartolomeo – fu studioso e poeta, ma di lingua italiana.




I croati sono così rispettosi della cultura altrui che non c’è un monumento lungo tutte le coste croate che indichi la presenza degli italiani che c’è stata per tantissimi anni. Ma non solo, molte chiese a Dubrovnik sono ortodosse serbe. Guardate un po' QUI


Qualche anno fa il pubblicista Ezio Mestrovich, sul quotidiano «La Voce del Popolo», riferì le parole dettegli da un anonimo e «illustre croato» per spiegare l'avversione che certi intellettuali croati nutrono verso l'Italia e gli italiani: «Siamo tanto affascinati dalla cultura italiana e la sentiamo così vicina, che, rischiamo di esserne compressi e plagiati al punto, da rinunciare alla nostra. Quando ci si spinge in questa direzione, allora l'amore può diventare odio».

Ezio Mestrovich


E spinto dall'odio, qualcuno cerca di appropriarsi di ciò che non gli appartiene fino al punto da definire croato Marco Polo! Oppure da dichiarare «croato da sempre» - laddove quel sempre potrebbe portarci all'inizio dell'umanità - ogni lembo dell'odierna Croazia che nel lontano o recente passato è stato invece abitato anche dagli italiani e concimato dalla cultura italiana, e prima ancora da quella latina. Oggi, purtroppo, la croatizzazione della letteratura, dell'arte e della cultura italiane fiorite in Istria e Dalmazia nei secoli passati diventata una regola nei libri di testo per le scuole e, come già detto, anche nelle enciclopedie croate. A questo scopo si ricorre alla contraffazione perfino dei nomi e cognomi. Le appropriazioni cominciano infatti proprio dalle generalità , cioè dalla loro croatizzazione. Una volta falsificati, ovvero croatizzati nome e cognome di uno scrittore, di un pittore, di un musicista e di qualsiasi altro personaggio, ed accertato che nacque o visse sul territorio che OGGI fa parte della Croazia, la sua opera diventa automaticamente croata.


Immaginate che cosa succederebbe se in tutto il mondo fosse applicata la prassi di appropriarsi del presente e del passato del territorio conquistato o acquistato.I nuovi padroni politici diventerebbero ipso facto anche padroni della storia, dello spirito, della cultura e dell'opera letteraria ed artistica creata nei secoli precedenti dal popolo o dai popoli di quel territorio. Non a caso questo principio é stato esteso dalla Dalmazia all'Istria e alle isole del Quarnero dopo la seconda guerra mondiale. Così per esempio il poeta e musicologo istriano Andrea Antico, nato verso il 1490 a Montona e vissuto a Venezia, é diventato «Andrija Motuvljanin» e Andrija Staric; grazie a lui gli inizi della musica croata sono stati spostati al Cinquecento.





Quando non si riesce a falsificare il cognome, si falsifica almeno il nome e allora il pittore fiumano dell'Ottocento Giovanni Simonetti diventa Ivan Simonetti; sempre a Fiume l'illustre medico Giorgio Catti diventa Djuro Catti, Giovanni Luppis si trasforma in Ivan Lupis o addirittura Vukic e si potrebbe continuare a lungo. Quasi sempre però si segue la regola della contraffazione totale di nome e cognome, in modo da cancellare ogni traccia di italianità.


Allora capita che il grande filosofo e poeta rinascimentale italiano Francesco Patrizio da Cherso ( 1529-1597) venga via via trasformato dalla storiografia croata in Frane Patricije-Petric nel 1927 (M. Dvomicic) e in Franjo Petric nel 1929 (F. Jelacic); resta Francesco Patrizi per I. Kamalic, nel 1934, ma viene scritto Franje Patricijo da Nikola Zic nello stesso anno; poi, ¨ Franjo Petric-Franciscus Patricius per Ivan Esih nel 1936 e Franjo Petris per S. Juric nel 1956 e Franciskus Patri-cijus per V. Premec nel 1968; per altri ancora il cognome si trasforma in Petric, Petrisic e Petracevic, infine il cosiddetto «padre della filosofia creata» diventato stabilmente Frane Petric dopo che così lo chiamarono V. Filipovic e Zvane Crnja nel 1980. In suo onore vengono tenute le «Giornate di Frane Petric» a Cherso, le giornate di un uomo inesistente.





Perché allora “ chiederà qualcuno - gli storici croati si accaniscono tanto a enfatizzare il Nostro? Su quale fondamento basano le loro asserzioni? Ecco, ricorrono a una leggenda. Il critico letterario croato Franjo Zenko scrisse nel 1980 nella prefazione alla traduzione croata dell'opera di Patrizio Della Historia Dieci Dialoghi: «Sull'origine del filosofo chersino per ora non si può dire nulla con certezza. L'accenno fatto dallo stesso filosofo nella sua autobiografia, laddove si dice che i suoi antenati vennero dalla Bosnia come discendenti di famiglia reale, non si può accettare come degno di fede; e finora non si sono trovati documenti che attestino da quale località o regione giunsero a Cherso». E tuttavia, è bastato l'accenno di Patrizio alla leggenda familiare secondo la quale i Patrizio fossero discendenti di una famiglia reale bosniaca, per indurre quasi tutti gli intellettuali croati, fino agli organizzatori delle «Giornate di Frano Petric» ad affermare, ripetere, scrivere e scolpire sul marmo la croaticità di Francesco Patrizio. A dimostrazione, questo fatto, della pochezza morale e intellettuale dei falsificatori.

E qui, prima di continuare con altri esempi di falsificazioni, voglio subito dire un mio pensiero in merito. La contraffazione della storia e l'appropriazione indebita da parte croata dei grandi uomini e delle grandi opere della cultura italiana di queste terre - Istria, Dalmazia, Quarnero – risponde ad una vecchia-nuova forma di nazionalismo e sciovinismo. La frustrazione derivante da un senso di minor valore e le insufficienze culturali vengono trasformate in miti di vittoria, dietro i quali si nascondono l'invidia e l'odio. In questo caso l'odio per l'Italia e gli italiani. Succede come quando, alcuni anni addietro in certe regioni martoriate dalla guerra, per fare pulizia etnica o si ammazzavano le persone di diversa etnia oppure queste venivano terrorizzate e costrette a scappare; ma anche dopo la fuga restavano le loro case chiese o moschee a testimonianza della presenza secolare nel territorio di quella etnia; a questo punto si distruggevano quelle case e templi con il fuoco e con la dinamite.

Si è arrivati al punto da dichiarare croato perfino uno dei primi creatori del romanzo italiano, Gian Francesco Biondi, nato a Lesina sull'omonima isola dalmata nel 1574 e morto nel 1644 ad Aubonne presso Berna in Svizzera. Per gli storici della letteratura croata che se ne sono appropriati egli è uno «scrittore croato di lingua italiana». Nelle enciclopedie viene indicato con il nome ibrido di Ivan Franjo Biondi-Biundovic. Egli peraltro visse per lunghi anni a Venezia mantenendo rapporti epistolari con Galileo, fra Paolo Sarpi, con i corregionali dalmati Ghetaldi, Francesco Patrizio e Marcantonio Dominis, fu diplomatico della Serenissima presso la corte francese, la corte dei Savoia e la corte di Londra, dove sposa una nobildonna inglese.







Il sig. Thoresen è un militare che ha fermato una falsa mostra croata in Norvegia

- Nel corso del 2012 e del 2013, forze revisioniste illegittime in Norvegia, guidate da alcuni croati, hanno cercato di realizzare una mostra sui prigionieri internati in Norvegia dai Balcani durante la seconda guerra mondiale. È stato un tentativo di presentare come vittime i reclusi croati e bosniaci, anche se in numero ridotto, e i serbi croati come croati ortodossi. Mi sono reso conto che non era vero e siamo riusciti a fermare quella mostra. Ho ottenuto elenchi di prigionieri dagli archivi nazionali norvegesi e dal servizio statale delle tombe di guerra.

Gli ustascia croati mandarono i serbi come schiavi in Norvegia


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