venerdì 16 settembre 2022

Marin Držić lo Shakespeare di Ragusa


Mostra Marino Darsa NON piaciuta perchè è falso dire che Darsa era croato . Bisognerebbe chiamare Knut Flovik Thoresen che ha bloccato una mostra croata falsa in Norvegia

Vuk Karadzic ha dimostrato che l'idioma "stocavo" era parlato solo dai serbi 

MARINO DARSA ERA UN DALMATA DI ORIGINE SERBA










La mostra alla Pinacoteca di Brera "Marino Darsa lo Shakespeare croato" è fortemente falsa per i seguenti motivi
Mari Darsa è nato a Ragusa, nella repubblica di Ragusa quando la Croazia stava a 400 km più su 
Era di origine serba di Kotor (Montenegro)
Parlava stokavo ovvero l'idioma parlato solo dai serbi, tant'è che Tudman ha cambiato la lingua croata proprio per differenziarsi dai serbi 
Gli organizzatori hanno ignorato la legge sul patrimonio culturale serbo anche se ne erano a conoscenza 




La famiglia di Marin Drzic' è originaria di Cattaro, attuale Montenegro, ove erano solo serbi 

La biografia










Originariamente serbi e croati erano un solo popolo




La Repubblica di Ragusa e la Croazia erano due regni differenti e distavano tra di loro 400 km. Basta aprire un libro. L'ignoranza è una brutta cosa. Studiate! 






Vuk Karadzic ha dimostrato che l'idioma "stocavo" era parlato solo dai serbi 

Non è che se a Cattaro (Kotor, Montenegro) ci sono dei cattolici sono automaticamente croati! Basta aprire un libro con una cartina geografica! Forza ignoranti.. studiate! 

La Repubblica di Ragusa distava oltre 400 km dal Regno di Croazia, era vicinissima alla Serbia e popolata in maggioranza da serbi.

Marin Drzic era bilingue, ma scriveva soprattutto in quello che oggi si puo' chiamare il serbo croato o meglio l'idioma stocavo fortemente odiato da Tudman 

La Croazia, che è una nazione giovane senza onore e senza gloria, non poteva certo farsi sfuggire questo business e in 4 e 4 otto l'ha naturalizzato croato 

Per fortuna è intervenuta la Serbia con una legge a tutela del patrimonio culturale serbo

GIACOMO SCOTTI  e DUBRAVKA UGRESIC' che da anni cercano di dire la verità, sono continuamente minacciati 

A Dubrovnik ancora oggi si sentono dalmati e non croati ed a ogni angolo di via si legge una scritta contro Zagabria 





La città di Dubrovnik, nell'odierna Croazia, con insediamenti vicini, contava 11.177 abitanti secondo il censimento del 1890. La quota più grande era composta da cattolici - 10.327, 546 ortodossi, 221 cristiani evangelici, 79 ebrei, due maomettani, un Uniato e un residente senza affiliazione religiosa.

Alla domanda che lingua parlano in casa, 9.713 persone hanno dichiarato che era serbo, 716 italiano, 384 ungherese, 285 tedesco, 52 ceco, 19 sloveno, 6 polacco e 2 russo.

La rivista "Dubrovnik" è stata stampata in latino, in serbo e trattava di letteratura, storia, cultura e politica ed è stata curata da Antun Fabris (1864-1904), un serbo cattolico di Dubrovnik.

La Repubblica di Ragusa








A Dubrovinik ancora oggi si sentono dalmati e non croati e c'è una scritta contro Zagabria ad ogni angolo di strada. La Dubrovacka republika non è mai esistita se non sulla bocca di qualche persona poco istruita che non sapeva dire Repubblica di Ragusa. I croati giocano sull'ignoranza delle persone, ma fortunatamente internet ci funziona ancora 



I croati e gli pseudo croati di Milano hanno sempre agito al limite della denuncia. Lo dicono tutti, ma in particolar modo lo dice Marco Tarquinio, lunedì 21 marzo 2016, rispondendo alle giustissime rimostranze di Antonio Ballarin. Si vede che questi signori finchè non prendono una denuncia non capiscono. - Posso parlare solo per me e per i miei colleghi, caro dottor Ballarin, ma di un dovere che non è solo mio e nostro: gli errori, quando ci sono, vanno sempre corretti. Affermare quel che è stato affermato in quel dispaccio di agenzia sull’italiano Ruggero Boscovich «croato» è stato un errore serio e grave. Che getta sale su una ferita che bisognerebbe invece curare e chiudere. E la verità è la prima medicina.



Siamo grati al Direttore di «Avvenire» per avere colto e approfondito le precisazioni che la Federazione degli esuli giuliani, istriani, fiumani e dalmati – tramite il suo presidente, Antonio Ballarin – ha espresso circa l’inaugurazione del milanese monumento a Ruggiero Boscovich, esaltato come scienziato croato da parte delle fonti giornalistiche che hanno recepito in modo acritico il comunicato ufficiale dell’iniziativa. Non è questo che l’ultimo tentativo di piegare la storia al nazionalismo.





E' assurdo parlare di nazionalità prima che nascessero gli stati nazione come li intendiamo ora. Una volta c'erano i regni e la nazionalità era intesa come stirpe, discendenza. Dato che Marino Darsa era figlio di padre serbo anche perchè a Ragusa i croati erano una decina si e no, mentono sapendo di mentire i croati che si sono appropriati della cultura dalmata 







Immaginate che cosa succederebbe se in tutto il mondo fosse applicata la prassi di appropriarsi del presente e del passato del territorio conquistato o acquistato. I nuovi padroni politici diventerebbero ipso facto anche padroni della storia, dello spirito, della cultura e dell'opera letteraria ed artistica creata nei secoli precedenti dal popolo o dai popoli di quel territorio. Non a caso questo principio é stato esteso dalla Dalmazia all'Istria e alle isole del Quarnero dopo la seconda guerra mondiale. Così per esempio il poeta e musicologo istriano Andrea Antico, nato verso il 1490 a Montona e vissuto a Venezia, é diventato «Andrija Motuvljanin» e Andrija Staric; grazie a lui gli inizi della musica croata sono stati spostati al Cinquecento.

Giacomo Scotti

I fascisti croati minacciano di morte lo scrittore Giacomo Scotti

Il giornalista e scrittore Giacomo Scotti minacciato di morte

Minacce a Giacomo Scotti

Dopo le amebe vennero i croati

Minacce di morte allo storico che denuncia i crimini croati

Denunciò i crimini croati, teme per la vita

La letteratura italiana in Dalmazia: una storia falsificata

Croati pigliatutto

Lineamenti di un genocidio culturale




Proteggici o Dio dalla fame, dalla peste e dai croati 



MARIN DRZIC ERA UNA DALMATA FIGLIO DI SERBI
Marin Držić nacque a Dubrovnik probabilmente nel 1508. nella casa paterna vicino al Palazzo del rettore come il figlio minore nella famiglia di commercianti plebei originaria di Cattaro che nel XIV. secolo aveva perso il titolo nobiliare avendo prolungato l`albero di famiglia da parte di un figlio illegittimo. La madre Anukla discende dalla distinta famiglia borghese di Kotruljević.







Ho scritto altre volte e lo ripeto qui: la Croazia ha grandi croati, uomini e donne, di cui vantarsi, che meritano di essere celebrati in tutti i campi, compresa l’arte e la letteratura; non ha perciò bisogno di rubarli ad altri popoli. Temo però che i ciechi nazionalisti non cesseranno mai di rubacchiare per ornarsi delle penne altrui."
firmato: Giacomo Scotti
(da.linkiesta.it del /2011/05/01)








Una volta falsificati, ovvero croatizzati, nome e cognome di uno scrittore, di un pittore, di un musicista che nacque o visse sul territorio che oggi fa parte della Croazia, la sua opera diventa automaticamente
 croata. 





Marino Darsa ha sempre composto nella lingua slava di Ragusa. Che poi questa lingua contenesse parecchi vocaboli italiani (per lo più veneti e toscani) non deve stupire, vista l'influenza dell'italiano nel mondo politico, economico e artistico dell'area adriatica e in tutto il Mediterraneo. Peraltro, stando agli studi più seri degli ultimi anni, la scarsa notorietà del Darsa in ambito europeo (e finanche italiano) è proprio dovuta al suo voler scrivere nella lingua del popolo, mentre è risaputo che le classi più abbienti della Dalmazia e della stessa Ragusa si esprimevano pubblicamente o scrivevano prevalentemente in italiano o in latino.





Marino Darsa - come tutti i ragusei dotati di una certa cultura - fu perfettamente bilingue: parlava e scriveva sia in italiano che nel dialetto štokavo di Ragusa, da lui utilizzato in modo assolutamente prevalente nelle sue opere. Ma il suo tipico stile già accennato di sovrapposizione di vari registri linguistici a seconda della classe sociale e la diversa ambientazione delle sue commedie - da Ragusa a Cattaro a Roma - gli fecero utilizzare anche delle espressioni in latino, in italiano e finanche in tedesco.







La legge sulla tutela del patrimonio serbo ha messo fine a tuti i furti croati. L’Accademia delle Scienze Serba ha pubblicato il libro dei grandi serbi in cui ha inserito Marino Darsa/Marin Drzic di Ragusa/Dubrovnik.





Secondo noi non lo fa perchè dovrebbe eliminare tutto il catalogo 







E' da capire se abbiamo tradotto male, ma a dir la verità ci sembra di aver tradotto bene, cio' che dice l'amico croato del sig. Cristiano Pambianchi. Il Sig. Niksa Matic afferma che il busto di Ivan Rendic' nato nell'Isola di Brac' in Dalmazia si trova a Dubrovnik .. ma secondo lui dove si dovrebbe trovare? Chiediamo per un amico. Non si trova a Belgrado perchè Ragusa era una repubblica, ma tanto meno si trova a Zagabria caro sig. Matic'. La Croazia puo' conquistare tutti i territori che vuole ma non puo' cancellare le culture precedenti, tant'è che a Dubrovnik su ogni angolo c'è una scritta contro Zagabria perchè ancora oggi si sentono dalmati 










La Croazia fa il mestiere suo: piccola nazione quasi senza una storia autonoma (un piccolo regno indipendente per qualche decennio a cavallo dell’anno Mille, poi una banovina ungherese, terra di confine militare austriaco, infine parte della Jugoslavia e – a parte la parentesi del Regno di Croazia paveliciano – soli 30 anni d’indipendenza) cerca giustamente i suoi padri nobili. Lo fa forzando la storia, certamente, ma non diversamente da come l’hanno fatto altre nazioni, compresa la nostra, quando arruolano indiscriminatamente nel passato.

Ma il vero torto non è di chi si piglia qualcosa, ma di chi l’abbandona. E dobbiamo allora chiederci perché l’Italia ha praticamente rinunciato a difendere il suo buon diritto su questi personaggi, come il caso di Wikipedia – dove la lobby croata impera – dimostra. Guai ai vinti, ma peggio ancora guai a chi si dà per vinto.









Drammaturgo raguseo (Ragusa 1510 circa - Venezia 1567). Studiò a Siena, e la sua opera rivela l'influsso della commedia senese. Scarso è il valore dei suoi drammi pastorali in versi (TirenaVenere), mentre le commedie in prosa (Dundo Maroje, "Lo zio M."; Skup, "L'avaro") si distinguono per vivacità del dialogo (in dialetto raguseo) e abilità nel raffigurare scene e personaggi, attinti alla vita ragusea del suo tempo. Suggestiva, per il quadro della vita di Ragusa, è la sua Novela od Stanca ("La beffa di Stanec"), in versi, che descrive le disavventure di un contadino imbattutosi, alla sua venuta in città, in un'allegra comitiva di giovani.

Marino Darsa




Il fatto che si firmava raguseo e non croato vorrà pur dire qualcosa






Nel seguente testo è chiarissimo come la cultura dalmata era influenzata dalla cultura slava e certo allora non c'erano i nazionalisti guerrafondai che hanno cambiato oggi tutta la lingua croata. ...A tal proposito, fu con gran dispetto dei nobili ragusei che si comportò, letterariamente e non solo, il concittadino del Cerva, Marino Darsa (Ragusa1508-Venezia1567), di aristocratica famiglia, ma dalla vita disordinata e difficile. Fu autore di testi teatrali satirici proprio in quella lingua mista di slavo e italiano che si veniva formando per i continui rapporti che Ragusa aveva col contado e che era considerata incolta e barbara dai nobili e dai letterati che in città, tra l‘altro, praticavano, oltre il latino, il toscano più che il veneto. Letterato dissidente dunque il Darsa, satirico verso il mondo da cui proveniva, ma dotato di comunicativa, estroso. Di chiaro successo furono, tra il popolo, i suoi drammi pastorali Tirena, Venera i Adon (Venere e Adone), la sua farsa Novela od Stanca (La beffa di Stanac), e le sue commedie Dundo Maroje (Lo zio Maroje), Skup (L’avaro), Arkulin (Arcolin), Mande (Maddalena), tutti testi assai interessanti per quel che riguarda la lingua, mutevole per caratterizzare i diversi personaggi, mista di gergo, latino maccheronico, toscano perfetto.








In tutte le recensioni della statua di Marin Drzic si parla solo di Shakespeare di Ragusa, mai di Shakespeare croato..













 Anche il capo dei cetnici Momcilo Diujic è croato. E' nato in Croazia 

Momčilo Đujić . Nato a Tenin in Croazia nel 1907, sin dall'aprile del 1941 si proclamò vojvoda četnico






Non un croato a Dubrovnik! 



 ....Il ladrocinio
accompagnato quasi sempre dalla slavizzazione e falsificazione dei nomi e cognomi italiani, come abbiamo largamente dimostrato. A questo punto consideriamo una «curiosa» circostanza: la letteratura croata dalle origini e fino al XVI secolo è un susseguirsi di scrittori quasi esclusivamente dalmati da Marko Mamlic-Marulo a Hektorovic-Ettoreo e altri. Viene perciò spontaneo chiedersi: come mai le arti e la letteratura croate non ebbero inizio in regioni dell'interno quali la Slavonia, la Baranja, la Posavina, lo Zagorje e altre, mentre furono fiorenti prima del XVI secolo in Dalmazia dove la letteratura in particolare si espresse nel latino e nell'italiano, e solo rarissimamente in serbo croato? Jutrovic, Horvatic e tanti altri saggisti che ritengono necessario arricchire la letteratura croata con le opere scritte in latino e in italiano da autori dalmati integralmente inseriti nella cultura italiana, compiono un furto alla luce del giorno, è vero, ma vanno compatiti. Lo fanno mossi dall'estremo bisogno.
Giacomo Scotti 





Marta Drpa è una serba nata a Knin, attuale Croazia, prima che i croati compissero la strage di Krajina con 600 civili uccisi nelle loro case (più 1.500 corpi che mancano ancora) . Marta è serba e serba è rimasta. Quindi gli organizzatori della mostra di Milano riescono a cambiare nome e nazionalità solo ai morti 









“MARADONA JE NAŠ”, OVVERO “MARADONA È NOSTRO”: COME LA CROAZIA TI SCIPPA ANCHE IL CAMPIONE ARGENTINO!
Cari Amici,
dopo aver “nazionalizzato” Marco Polo, Giorgio Orsini, Giovanni Francesco Gondola, Ruggero Boscovich, Marcantonio de Dominis, e decine di altri illustri e nobili personaggi ancora, ora la Croazia rivendica come croato nientepopodimeno che la recentemente scomparsa leggenda del calcio, Diego Armando Maradona.
“Maradona je naš”, titola infatti un articolo di ieri pubblicato dal quotidiano nazionalista Slobodna Dalmacija, tentando grossolanamente di ricostruire (esaurendo l’argomento in due righe soltanto) la storia della famiglia materna. Secondo il giornale, il bisnonno Matej Kariolić sarebbe nato sull’isola di Curzola - la stessa dove é nato Marco Polo (pardon, Marko Polo!), sottolinea la testata - perdendosi poi in un elenco smisurato di personalità politiche sudamericane, anche queste di sangue croato.
Peccato che la vera storia sia un’altra, e volentieri ve la raccontiamo.
Correva l’anno 1847, e nell’Isola di Curzola (Dalmazia), un tempo abitata da italiani, nasceva Matteo Carioli. Matteo, diventato grande, emigrò in Argentina, dove si sposò con Trinidad Ferreira ed ebbe una figlia che chiamarono Salvadora. Dal matrimonio tra Salvadora e Atanancio Ramón Edisto Franco, nel 1930 nacque una figlia a cui Salvadora diede il nome Dalma (lo stesso della figlia del fuoriclasse) per via della sua origine dalmata. Dalma, Doña Tota.
Cari Amici croati, finiamola con questo ossessivo “naš”!

“Maradona je naš”






....Quando non si riesce a falsificare il cognome, si falsifica almeno il nome e allora il pittore fiumano dell'Ottocento Giovanni Simonetti diventa Ivan Simonetti; sempre a Fiume l'illustre medico Giorgio Catti diventa Djuro Catti, Giovanni Luppis si trasforma in Ivan Lupis o addirittura Vukic e si potrebbe continuare a lungo. Quasi sempre però si segue la regola della contraffazione totale di nome e cognome, in modo da cancellare ogni traccia di italianità.

Allora capita che il grande filosofo e poeta rinascimentale italiano Francesco Patrizio da Cherso ( 1529-1597) venga via via trasformato dalla storiografia croata in Frane Patricije-Petric nel 1927 (M. Dvomicic) e in Franjo Petric nel 1929 (F. Jelacic); resta Francesco Patrizi per I. Kamalic, nel 1934, ma viene scritto Franje Patricijo da Nikola Zic nello stesso anno; poi, ¨ Franjo Petric-Franciscus Patricius per Ivan Esih nel 1936 e Franjo Petris per S. Juric nel 1956 e Franciskus Patri-cijus per V. Premec nel 1968; per altri ancora il cognome si trasforma in Petric, Petrisic e Petracevic, infine il cosiddetto «padre della filosofia creata» diventato stabilmente Frane Petric dopo che così lo chiamarono V. Filipovic e Zvane Crnja nel 1980. In suo onore vengono tenute le «Giornate di Frane Petric» a Cherso, le giornate di un uomo inesistente....
Giacomo Scotti. Lineamenti di un genocidio culturale





Anche Italo Calvino è italiano però è nato a Santiago de Las Vegas de La Habana per non parlare di tutti gli italiani nati in Libia e Ungaretti nato al Cairo sarebbe egiziano ? E Ugo Foscolo era greco? Si puo’ dire che la Serbia ha dato 18 imperatori all’Impero romano? Eraclito puo' essere considerato turco poichè adesso Efeso è in Turchia? 





C'è una prova inconfutabile del fatto che a Dubrovnik non si sentono croati, ma dalmati poichè esiste un giornale chiamato "Il Dalmata" che striglia la comunità croata di Milano per alcune frasi non corrette anche riguardo a Marino Darsa. Purtroppo questa pagina non consente i PDF per cui dovete cercare voi "Il Dalmata"num.94 pag.12. Articolo di Franco Luxardo






La città di Dubrovnik, nell'odierna Croazia, con insediamenti vicini, contava 11.177 abitanti secondo il censimento del 1890. La quota più grande era composta da cattolici - 10.327, 546 ortodossi, 221 cristiani evangelici, 79 ebrei, due maomettani, un Uniato e un residente senza affiliazione religiosa.

Alla domanda che lingua parlano in casa, 9.713 persone hanno dichiarato che era serbo, 716 italiano, 384 ungherese, 285 tedesco, 52 ceco, 19 sloveno, 6 polacco e 2 russo.

La rivista "Dubrovnik" è stata stampata in latino, in serbo e trattava di letteratura, storia, cultura e politica ed è stata curata da Antun Fabris (1864-1904), un serbo cattolico di Dubrovnik.




 Il prof. Novakovic' ha vinto la sua causa a Strasburgo contro il governo croato, poichè la Corte dei diritti dell'uomo ha ritenuto ingiusto il suo licenziamento. La sua unica colpa era quella di pronunciare con un accento serbo alcune parole croate.

Mile Novakovic ha vinto la sua causa.. anche se troppo tardi




Tutto meglio spiegato: QUI




FIUME Tempi duri per gli scrittori in Croazia. Dopo la condanna a Predrag Matvejevic, aggressione e minacce alla giornalista e scrittrice fiumana, Vedrana Rudan. È accaduto nella libreria «Empik», nel centro di Varsavia, dove la Rudan stava presentando la traduzione polacca del suo romanzo «L'amore all'ultima vista», pubblicato dalla «Drzewo Babel». Nell'affollata sala ha fatto irruzione, Jozo Knezevic,presentatosi come croato di Bosnia, da 25 anni imprenditore in Polonia. Con in mano uno striscione con espressioni offensive nei riguardi della Rudan, l'uomo, incurante del folto pubblico, tra cui anche numerosi studenti di croatistica, ha cominciato a urlare e a minacciare la signora. Poi l'ha colpita più volte al capo con un giornale, il quotidiano polacco «Gazeta» che riportava una sua lunghissima intervista, accusandola di aver denigrato la Croazia e di aver definito il suo ex presidente, Tudjman, un «fascista». Ha concluso urlando che avrebbe mandato qualcuno a Fiume a ucciderla.
Il soggiorno di Vedrana Rudan a Varsavia avviene in occasione, oltre che della presentazione del libro, della prima della trasposizione teatrale del suo primo libro «Orecchio, gola, coltello». Il romanzo, diventato subito un bestseller, è stato tradotto in sloveno, macedone, polacco, tedesco e inglese e già portato in scena da due teatri stabili, l'«Atelje 212» di Belgrado e il «Teatro 101» di Zagabria. Ieri sera è stato proposto nel Teatro di Krystyna Janda, la nota attrice polacca, che ne è regista e interprete.
Al pubblico croato Vedrana Rudan è nota soprattutto come giornalista dei periodici «Feral Tribune» e «Nacional». Il suo linguaggio crudo e tagliente rendono i suoi libri subito dei bestseller. I romanzi di Vedrana Rudan sono una protesta contro il mondo in cui viviamo e trattano un tema che è universale, ovvero quello della violenza sulle donne. Violenza che, se anche accade tra le mura domestiche, è un problema sociale e tacerne significa essere complici.
Tornando a Matvejevic, da registrare un intervento a favore dello scrittore inoltrato all'ambasciata croata a Roma a firma di oltre venti scrittori e intellettuali che vivono in Italia tra i quali citiamo Tahar Ben Jalloun, Vincenzo Cerami, Furio Colombo, Claudio Magris, Dacia Maraini, Francesca Sanvitale, Enzo Siciliano.





Lo scomodo jugoslavismo di Dubravka Ugrešić
dà fastidio anche a Diego Zandel e alla lobby europeista di Osservatorio Balcani Caucaso

Il timore però è che l’invito sia rivolto alla dissidente più che alla brava scrittrice che la Ugrešić è, facendole ricoprire un ruolo che ormai dovrebbe scrollarsi di dosso, credo con una profonda riflessione sui passi in avanti compiuti dalla Repubblica di Croazia dai tempi di Tuđman che, perseguitando lei ed altri scrittori critici, mostrava il volto becero di un regime. Magari partendo dalla semplice considerazione che l’attuale Repubblica di Croazia non solo contribuisce economicamente, attraverso il ministero della Cultura, alla traduzione dei suoi libri all’estero, ma anche a qualcuno dei suoi viaggi di lavoro come, ad esempio, l’ultimo nel nostro paese per la presentazione proprio di questo libro a Torino e a Roma.




Tanto Dubravka Ugresic è amata all'estero, tanto è odiata in patria. Gli ustascia croati non si smentiscono mai 







Non esiste libertà di parola in Croazia.....Durante la sua permanenza alla Globus ha acquisito una certa notorietà a causa di un articolo d'opinione del 1992 non firmato (che alla fine ha ammesso di aver scritto), intitolato "Le femministe croate stanno violentando la Croazia", ​​in cui ha attaccato cinque scrittrici femministe croate ( Slavenka Drakulić , Vesna Kesić , Jelena Lovrić , Dubravka Ugrešić e Rada Iveković), accusandole di tradire la Croazia. L'articolo è stato fonte di polemiche significative che alla fine si sono concluse con una causa per diffamazione contro la rivista. 





Credo che le moschee siano state ricostruite a Banja Luka come lo sono state anche nella mia città Doboj. Nessuno di noi nega l'esistenza della cultura musulmana in Bosnia, non so dove ha letto questa stupidaggine (probabilmente se l'è inventata come tante altre cose). Loro sono nostri fratelli che si sono convertiti all'Islam a partire dal XV secolo. Non so quale sia il legame tra i serbi e i nazisti visto che il principale alleato della Germania nazista è stata l'Italia fascista e per quanto riguarda il territorio della ex YU i loro collaboratori più fedeli sono stati i croati (gli Ustascia) e la buona parte dei bosgnacchi (la Handzar divizija). Le dico una cosa e poi chiudo - la Bosnia è stata occupata due volte: la prima dall'impero ottomano quando i musulmani slavi collaboravano e i serbi combattevano per la libertà. La seconda volta la Bosnia era occupata dall'impero Austro-Ungarico quando i croati erano i collaboratori e per la libertà di nuovo combattevano i serbi





Riassumendo i punti che tratta il seguente video. L’idea di una Jugoslavia è nata a Zagabria e prima della riforma di Vuk Karadžić i croati non avevano una propria lingua letteraria; se non era per l’esercito serbo sia la Slovenia che la Croazia non esisterebbero. I Serbi per creare lo stato jugoslavo hanno perso più di un milione di vite e la Serbia è entrata nella Jugoslavia comprendendo Macedonia, Vojvodina, Kosovo e Montenegro, invece sloveni e croati sono entrati con lo stato di sloveni croati e serbi che nessuno al mondo riconosceva. Poi va a spiegare tutti i punti sopra, entrando nel dettaglio.







Mira Furlan, una delle più note attrici croate e jugoslave, è mancata il 20 gennaio 2021. Il cordoglio si è diffuso a livello internazionale, anche per via della carriera statunitense dell’attrice. Negli ultimi giorni, diverse testate e pagine social nei paesi post-jugoslavi hanno rilanciato una toccante lettera scritta da Mira Furlan nel novembre del 1991 e pubblicata all’epoca dal settimanale Danas. Da Belgrado, si rivolgeva ai suoi concittadini di Zagabria, dopo il licenziamento dal Teatro nazionale croato e gli attacchi pubblici e privati subiti a causa del suo impegno professionale nella capitale serba, dove viveva il marito Goran Gajić. La coppia si trasferì a New York poco tempo dopo la pubblicazione della lettera. La riproponiamo grazie alla traduzione di Marijana Puljić






Riceviamo e volentieri segnaliamo:
Pangea Grandangolo
DENTRO LA NOTIZIA
su BYOBLU
canale 262 digitale terrestre
canale 462 Tivùsat, canale 816 Sky
Mercoledì 29 alle 20:30
Jugoslavia – Krajina
Il Donbass di trent’anni fa
Dopo la firma del Trattato INF nel 1987 con Michail Gorbacev, il Presidente Ronald Reagan promise alla Russia che la NATO non sarebbe mai arrivata alle sue frontiere, impegno reiterato dal Presidente George Bush senior alla dissoluzione dell’URSS nel 1991. Ibernata momentaneamente la Guerra Fredda, gli Stati Uniti, ormai l’unica potenza mondiale, avevano già programmato la dissoluzione della Jugoslavia e l’isolamento dei Serbi troppo vicini alla Russia. In aggiunta era urgente trovare una nuova collocazione per la NATO.
Attraverso la Banca Mondiale imposero il rientro dei prestiti, finanziarono i partiti di estrema destra croati e appoggiarono le istanze dei musulmani di Bosnia e, per potere agire con il consenso dell’opinione pubblica, iniziarono una campagna mediatica contro i serbi. Per completare l’opera, agenti CIA con molto denaro convinsero personaggi politici e esponenti dei media a sostenere la narrativa stabilita. Poi imposero pesanti sanzioni. I serbi venivano descritti sui media internazionali come guerrafondai, imputati di volere una "grande Serbia".
Ci sono molte somiglianze con quanto avviene in Donbass: si può dire che in Jugoslavia sono state fatte le prove di scena per un protocollo applicato anche in Ucraina.
Krajina come Ukraina significa frontiera. Le Krajine serbe, inserite nella Croazia, non avrebbero formato la Repubblica Serba di Krajina se avessero potuto rimanere in una Croazia federata alle altre Repubbliche Jugoslave. Ma con l’indipendenza, il governo croato aveva promulgato una Costituzione che escludeva diritti ad ogni etnia diversa da quella croata.
Nel 1993 con la Sacca di Medak iniziò la pulizia etnica delle Krajine, culminata con le operazioni Flash e Storm (1995) supportate da mercenari USA: mezzo milione di serbi, privi di protezione, dovettero abbandonare il proprio territorio.
Il docufilm presentato da Pangea Grandangolo Dentro la Notizia è stato girato nel settembre 1993 da un operatore della TV Knin che non esiste più, come le Krajine.






Quando il papa Giovanni Paolo II arrivò a Fiume (e molti giornalisti italiani scrissero Rijeka, alla radiotelevisione pronunciato “rigieca”), la Curia zagabrese inviò a tutti i giornali (compresa “La Voce del Popolo”) un inserto a pagamento di una decina di pagine sui “santi croati”. Ne trovai alcuni – per lo più “beati” - vittime delle persecuzioni anticristiane degli imperatori romani: santi polesani, istriani. Non mi risulta che all’epoca romana ci fossero croati e slavi in genere in Istria e Dalmazia.
A Fiume, un modesto autore di saggi su argomenti più disparati relativi alla cultura, all’arte, alla museologia, alla storia e agli eventi politici del capoluogo del Quarnero, per dimostrare che tutto qui fu in passato e resta oggi croato, se la prese con alcuni nostri scrittori, facendo i nomi di Ezio Mestrovich e Nirvana Ferletta, scrivendoli alla croata: Meštrović e Frleta- Volle “dimostrare” che i “cosiddetti” italiani fiumani, e non solo loro, erano dei croati voltagabbana, quasi quasi dei traditori.
Che ne direbbe se io gli mettessi sotto gli occhi e il naso cognomi italiani di personaggi croatissimi come il leader del Partito nazionale croato della seconda metà dell’Ottocento, Juraj Bianchini, oppure il grande poeta croato dello scorso secolo, Gvido Tartaglia, il grande attore zagabrese del Novecento, Tito Strozzi, o l’attuale ambasciatore croato in Argentina Castelli, il notissimo studioso d’arte in Dalmazia, Nenad Cambi, il poeta Jakša Fiamengo, il compositore Mario Nardelli, l’architetto Bernardo Bernardi, il capo dell’Istituto di Epidemiologia della Croazia, dott. prof. Dinko Rafanelli, il cantante del gruppo “Trubaduri”, Luciano Capurso, il presidente del Sindacato dei marittimi della Croazia, Predrag Brazzoduro, la giornalista Sanja Corazza, il pittore Josip Botteri Dini, il giornalista e leader degli studenti croati, Vojislav Mazzocco? Potrei continuare fino a domani.
Giacomo Scotti. L'inchiesta 1/05/2011







Ancora un articolo che riferisce di cose importanti e gravi, ma partendo da una premessa fondamentale del tutto sbagliata.

Il fatto che "la Croazia sorta dopo la dissoluzione della Jugoslavia ha introdotto l’antifascismo nella sua Costituzione come uno dei principi fondanti dello stato" è irrilevante e depistante. La Croazia contemporanea come Stato indipendente nasce dalla secessione su base etnica dandosi una Costituzione (1990) che rompe con la tradizione jugoslavista, antifascista e multinazionale, proclamandosi "Stato nazionale dei croati" e negando all'ampia componente serba lo status di popolo costitutivo. Da ciò la reazione armata dei serbi di Krajine e Slavonia. Negli anni successivi le sue forze armate, con l'appoggio logistico e diplomatico dei paesi NATO, procedono alla pulizia etnica del proprio territorio.
Contemporaneamente, la Croazia introduce tutto un apparato simbolico di derivazione ustascia, a partire dalla reintroduzione della moneta dell'epoca nazifascista (kuna), e pratica le demolizioni e cancellazioni di cui parla l'articolo.
Proprio in virtù, e non a dispetto, di tale repulisti neofascista e antiserbo, la Croazia viene accolta subito a braccia aperte nella UE.
"Il Domani", ultimo arrivato nell'allineatissimo sistema dei media nostrani, è in ritardo di circa 30 anni nella denuncia di certi fatti, e non ne chiarisce le radici profonde.
In Croazia si abbattono le statue per rimuovere il passato antifascista (Azra Nuhefendic, 2 gennaio 2022)







 Il 22 dicembre 1990, il parlamento croato proclamò unilateralmente l’indipendenza e promulgò una nuova Costituzione tutta incentrata sul principio fondamentale, prego di richiami alla celeberrima Dottrina Monroe, della “Croazia ai croati”. Nell’ottobre del 1991 il governo guidato dal presidente Franjo Tuđman decretò l’espulsione di circa 30.000 serbi dalla Slavonia e dalla Krajina, mentre la Guardia Nazionale Croata occupava Vukovar. L’esercito federale cinse d’assedio la città prima di procedere all’attacco, infliggendo pesanti perdite agli assediati che vennero costretti alla resa. Nel frattempo, la Macedonia otteneva l’indipendenza (17 settembre 1991) grazie ad un accordo stipulato tra il primo ministro Kiro Gligorov e il presidente della Federazione Jugoslava Slobodan Milošević, mentre la Slovenia decise di ispirarsi all’esperienza croata per proclamare a sua volta (25 giugno 1991), l’indipendenza da Belgrado sulla medesima base etnica. A differenza di quanto accaduto in Croazia, il piccolo esercito sloveno riuscì a tener brillantemente testa alle milizie federali, provocando pesanti perdite. Le secessioni proclamate unilateralmente da Croazia e Slovenia e il successo ottenuto da quest’ultima nel conflitto contro le truppe inviate dal governo di Belgrado non potevano che alimentare le spinte centrifughe interne alla Jugoslavia, favorendo implicitamente l’estensione a macchia d’olio della guerra civile.
Guerra jugoslava, cronache di una catastrofe preparata a tavolino
di Giacomo Gabellini 4.12.2017

Rolando Dubini 10 aprile 2021





Il governo Ustascia ed Europeista di Croazia getta la maschera
Le autorità croate hanno vietato al presidente serbo Aleksandar Vucic di visitare in privato il complesso commemorativo sul sito del campo di concentramento di Jasenovac, questa decisione è scandalosa e antieuropea, ha affermato il primo ministro serbo Ana Brnabic.
"È come se proibissi al Presidente di Israele di visitare Auschwitz. Questa è una decisione anti-europea e anti-civiltà, una grave violazione della libertà di movimento. Non analizzo nemmeno quanto questo dica sulla mancanza di rispetto per Vittime serbe Questo è il più grande scandalo tra Serbia e Croazia nella storia recente", ha detto.
Rolando Dubini








Il nazionalismo è l’ultimo rifugio delle canaglie, diceva Samuel Johnson, e di canaglie pare siano pieni i Balcani: dai croati che hanno recentemente piazzato una bella placca a Jasenovac, campo di di concentramento ustascia, con sopra scritto “pronti per la patria”, proprio per commemorare i fascisti che uccisero serbi, ebrei e musulmani – come se si mettesse una bella patacca ad Auschwitz con il motto “heil Hitler” – fino ai kosovari che discutono in parlamento a colpi di fumogeni, e inneggiano al loro signore della guerra, Rasmush Haradinaj, con eroici cartelloni che campeggiano sulla miseria di uno stato fallito anche per colpa di una classe politica rapace e corrotta.
Matteo Zola 






....Ti ricordo che la Serbia oggi è il paese europeo con più immigrati profughi specie dalla Croazia e che molte di storie loro parlano di atrocità disumane e cattiverie gratuite commesse dagli ustascia croati, che tra l'altro hanno una lunghissima storia di filonazismo.
Moltissimi sono ovviamente anche processati per crimini di guerra
La mi stessa nonna (croata) ha vissuto un dramma nel suo paesino dove è nata negli anni '40, quando gli ustascia sono entrati hanno ucciso mezzo paese con tecniche disumane e ha visto la sua vicina ammazzata con la gola tagliata con in braccio il bimbo al quale hanno tolto gli occhi con il coltello e tagliato la gola. Finché era viva non smetteva di raccontarlo.
Per non aggiungere le atrocità di Jasenovac ed altri campi di concentramento.
Quindi caro non mi parlare del male, che qui ti caschi veramente male con la Croazia.
Igor








........ ma separatisti di che cosa?! Io sono serbo dalla Bosnia e io tifo la nazionale serba in tutti gli sport. Secondo lei i madrelingua tedeschi del Trentino-Alto Adige tifano la nazionale italiana?

La Bosnia medievale è stata abitata dagli slavi e all'inizio è stata una delle provincie serbe e poi è stata divisa tra croati e serbi. Il primo documento scritto degli slavi del sud è stato Povelja Kulina Bana in Bosnia, scritta in cirillico (lo sa bene chi usa il cirillico oggi). Il re bosniaco più importante Tvrtko I Kotromanic si è proclamato il re dei serbi perché erede della famiglia Nemanjic. Quindi è dal medioevo che la popolazione in Bosnia è serba o croata e i bosgnacchi sono il frutto della politica dei comunisti. Oggi, nel 2021, lei italiano e milanese, si permette a parlare a me di che cosa voglia dire la Bosnia, Serbia, Yugoslavia?! Lei non fa altro che provocare i serbi e grazie agli stranieri come lei è scoppiata la guerra civile in ex Yugoslavia.






20 settembre 1992 - Caschi blu canadesi, dopo il rifiuto opposto dai soldati croati a farli entrare nei villaggi occupati come forza d’interposizione, riportano quanto accaduto nella “Sacca di Medak”, dove, solo dopo violenti scontri, con sette canadesi dell’Onu e 27 miliziani croati uccisi, questi accettano le ispezioni e i sospetti trovano subito riscontro. Testimoni diretti sono i soldati del Princess Patricia’s Canadian Light Infantry, comandate dal tenente colonnello Kevin.
Quando gli spari, i bombardamenti e il caos cessano a Medak, una delle cose che il peacekeeper canadese Tony Spiess ricorda di più è la puzza di morte dappertutto. La milizia croata cercava d’impedire che le truppe canadesi potessero divulgare le notizie circa le operazioni di “pulizia etnica” che praticavano nei villaggi serbi.
Mentre Spiess e un suo compagno camminano tra le macerie del villaggio serbo distrutto, i croati tentano di fermarli per non far vedere i corpi bruciati: ”Prima delle 1000 del mattino un ombrello denso di fumo copriva tutte le quattro cittadine della sacca di Medak, i croati hanno cercato di uccidere o distruggere tutto ciò che vi era nella loro scia”. Spiess, angosciato, ricorda: “I corpi di due giovani ragazze serbe legate a due seggiole a dondolo, con le braccia legate dietro alla schiena. Stavano ancora fumando… è stata una totale devastazione”.
Un altro testimone, l’ufficiale Green: “Ogni edificio sul loro percorso era stato demolito e molti erano ancora fumanti. Cadaveri giacevano sul ciglio della strada, alcuni gravemente mutilati e altri bruciati e irriconoscibili…
Sapevamo che sarebbe stato brutto, ma le cose che abbiamo trovato e visto sono state peggio di qualsiasi cosa ci aspettassimo…”.
Scritto da Bruno Maran nel libro "Dalla Jugoslavia alle Repubbliche indipendenti" edito da Infinito Edizioni





Quando sei un grande ignorante e non sai che la figlia di Mladic si è uccisa un anno prima della strage di Srebrenica orgogliosa di avere un padre che difendeva i bambini serbi dalla furia dei croato bosgnacchi










Chiunque sia facilmente impressionabile è avvertito prima di leggere quest’opera: le eroiche imprese ivi descritte, commesse dagli ustaša croati ai danni dei serbo-ortodossi di Croazia e Bosnia, fanno impallidire quelle, pur inconcepibili, perpetrate dalle SS tedesche contro gli ebrei, ed è tutto dire.   A capo della creatura messa in piedi da Hitler e Mussolini v’era il poglavnik (duce) Ante Pavelic, fanatico cattolico, anticomunista, antiortodosso e antisemita. Il suo riferimento ideologico era l’arcivescovo Alojzije Stepinac, il più giovane vescovo d’Europa (lo divenne a 36 anni). Stepinac era la mente e Pavelic il braccio. Il programma ideologico del governo clerico-fascista di Pavelic era sintetizzabile in pochi punti: lo Stato croato doveva essere etnicamente puro, composto solo da devoti cattolici, analogamente al Vaticano. Via, quindi, ai massacri di serbo-ortodossi (principale obiettivo degli ustaša), ebrei (non l’obiettivo principale, ma perseguitati per fare un favore al padrone tedesco), rom (sterminati benché non costituissero neppure un problema politico). La gerarchia cattolica, della quale Stepinac era primate, protesse, benedì e promosse attivamente tale politica. Documenti e testimonianze che lo attestano sono innumerevoli. Non mancano neppure testimonianze fotografiche, pubblicate nell’opera: prelati che fanno il saluto romano, frati in uniforme, suore in parata militare, conversioni forzate di massa al cattolicesimo. Un esempio su tutti: il responsabile del lager di Jasenovac (dove fu annientata la gran parte dei serbi), il frate francescano Miroslav Filipovic-Majstorovic detto “Fra’ Satana”, appare nel libro fotografato sia in divisa ustascia che in abito talare. Se le SS tedesche si erano date al metodico sterminio degli ebrei in maniera “burocratica” e più asettica possibile - per quanto si possa definire “asettica” un’atrocità come un genocidio - gli ustaša si abbandonarono a ogni sorta di nefandezze: smembramenti, squartamenti, sgozzamenti, mutilazioni, stupri delle donne serbe e amputazione delle loro mammelle, occhi umani usati come trofeo e lingue tagliate e appese alla cintura esposte come testimonianza delle loro imprese: gli stessi alleati nazisti ne furono disgustati e protestarono vibratamente presso i loro comandi perché ponessero un freno ai macellai croati. Nella zona controllata dall’esercito italiano i nostri ufficiali dovettero ordinare di passare per le armi quegli ustaša che si distinguevano per fanatismo nello sterminio dei serbi. Tanto che l’arcivescovo Stepinac si rivolse al Vaticano, sperando che questi facesse pressioni sul governo italiano affinché ordinasse al nostro esercito di non creare problemi alle attività di “conversione” (leggi: “mattanza”) nei confronti delle popolazioni serbe che, sotto l’occupazione italiana, vivevano relativamente tranquille.







Dopo essere entrata nell’Unione Europea lo scorso primo luglio, la Croazia sembrava poter usufruire di questa opportunità anche per invertire quel trend nazionalista che era cominciato nel 1991 e che con Franjo Tudjman rappresentava la prassi di Stato. Oggi invece, sembra perlopiù un’ arma a doppio taglio, da sfruttare in determinate circostanze per accaparrare consensi laddove, come a Vukovar, la suscettibilità della popolazione ha un importante peso politico.    









Esecuzioni sommarie, infoibamenti, stragi di civili, campi di concentramento e di sterminio: così, durante la seconda guerra mondiale, gli ustascia di Ante Pavelic misero in atto la pulizia etnica nei confronti di serbi, ebrei e rom. Con il fondamentale supporto di esponenti locali della chiesa cattolica.
Forse non tutti sanno che il più grande genocidio della seconda guerra mondiale, in rapporto alla popolazione di una nazione, non ebbe luogo per mano dei nazisti ma si verificò nello Stato “fantoccio” della Croazia ad opera degli “ustascia”. Vi perirono, tra il 1941 e il 1945, ben 750.000 serbi, 60.000 ebrei e circa 26.000 rom.








La cacciata dalla Krajina dei civili serbi - i profughi furono oltre
300mila - si protrasse per una decina di giorni, durante i quali i
militari croati saccheggiarono, uccisero, fecero saltare o
incendiarono le case dei serbi, massacrando quasi tutti i civili che,
per vecchiaia, malattie o altri motivi erano rimasti nelle case
GIACOMO SCOTTI





Nel suo intervento alla conferenza "Jasenovac - Balkan Auschwitz", ha parlato della "Norvegia come avamposto del genocidio contro i serbi commesso dal cosiddetto Stato indipendente di Croazia (NDH).
- Durante la seconda guerra mondiale, più di 4.000 ragazzi e uomini furono inviati dall'ex Jugoslavia in Norvegia come schiavi. 





- Nel corso del 2012 e del 2013, forze revisioniste illegittime in Norvegia, guidate da alcuni croati, hanno cercato di realizzare una mostra sui prigionieri internati in Norvegia dai Balcani durante la seconda guerra mondiale. È stato un tentativo di presentare come vittime i reclusi croati e bosniaci, anche se in numero ridotto, e i serbi croati come croati ortodossi. Mi sono reso conto che non era vero e siamo riusciti a fermare quella mostra. Ho ottenuto elenchi di prigionieri dagli archivi nazionali norvegesi e dal servizio statale delle tombe di guerra.






Così Knut Flovik Thoresen, storico norvegese, scrittore e capitano dell'esercito reale norvegese, parla in un'intervista esclusiva per "Novosti", del suo rapporto speciale con il popolo serbo, della lotta contro la "falsificazione della verità", sui serbi nella seconda guerra che erano nei campi in questo paese, motivo per cui ha definito quel periodo il capitolo più oscuro della storia norvegese, così come le impressioni che porta dal Kosovo e dalla Metochia.




Giovanni Francesco Gondola (in croato: Djivo, Gjivo, Đivo o Ivan Gundulić; in serbo: Џиво?, traslitterato: Dživo o Иван Гундулић/Ivan Gundulić; Ragusa di Dalmazia, 8 gennaio 1588 – Ragusa di Dalmazia, 1638) è stato uno scrittore e poeta dalmata, cittadino della Repubblica di Ragusa. Ha scritto le sue opere utilizzando principalmente il dialetto štokavo. Le opere erano in gran parte traduzioni dei classici italiani e latini[1].



???






LA CROAZIA PUO' DARE TUTTE LE MEDAGLIE CHE VUOLE MA NON PUO' DAR LICENZA DI OFFENDERE NESSUNO




La sentenza d’appello emessa ieri a carico del sestetto ricalca nelle motivazioni quella di primo grado emessa nel 2013 e mantiene completamente inalterate le condanne stabilite allora. I sei imputati, che tra il 1992 e il 1994 furono i leader politici e militari della Herceg Bosna (repubblica autoproclamata e non riconosciuta all’interno della Bosnia Erzegovina) sono stati condannati per crimini in otto municipalità della BiH (Mostar, Prozor, Gornji Vakuf, Jablanica, Ljubuški, Stolac, Čapljina e Vareš) e cinque centri di detenzione.
Il verdetto è identico a quello del primo grado. Ciascuno dei sei ha ottenuto le stesse condanne del 2013, per un conteggio complessivo di 111 anni di reclusione. Jadranko Prlić, ex-premier della Herceg Bosna, si è visto dunque confermare la pena più alta, 25 anni, seguito dai generali dell’HVO (le milizie dell’Herceg BosnaBruno Stojić e Slobodan Praljak (20 anni ciascuno), dal capo della polizia Valentin Čorić (16 anni) e dall’ufficiale Berislav Pušić, supervisore di esercito e polizia.

L’implicazione della Croazia nel conflitto in Bosnia Erzegovina era uno dei punti cruciali, e più attesi, della sentenza. La sentenza di primo grado aveva riconosciuto Franjo Tuđman come membro fondamentale dell’azione criminale associata che, attraverso la pulizia etnica, mirava a costruire un’entità politica che si sarebbe annessa più o meno direttamente alla Croazia.Il secondo grado ha confermato pienamente questo giudizio, che ormai alcuni considerano come una sorta di simbolica messa in accusa (se non di condanna) postuma del Tribunale a Tuđman, morto nel 1999 e da tempo eletto a padre della patria dalla destra croata, al potere dal 2015 a oggi e a lungo durante la transizione.


9 novembre 1993: accadde l'impensabile. Dopo che le forze militari croate avevano sparato più di 60 proiettili contro il ponte, le vecchie pietre alla fine cedettero e crollarono nel profondo fiume Neretva lasciando tutti i residenti sotto shock. L'ICTY nella sentenza di condanna scrisse: "come parte e nel corso dell'assedio di Mostar Est, le forze dell'Herceg-Bosna/HVO hanno deliberatamente distrutto o danneggiato significativamente le seguenti moschee o proprietà religiose a Mostar Est: Sultano Selim Javuz Moschea (conosciuta anche come Moschea Mesdjid Sultan Selimov Javuza), Hadzi Moschea Mehmed-Beg Karadjoz, Koski Moschea Mehmed-Pasa, Nesuh Aga Moschea Vucjakovic, Cejvan Moschea Cehaja, Hadzi Ahmed Aga Lakisic Moschea, Moschea Roznamedzija Ibrahim Efendija, Moschea Jahja Hodza (conosciuta anche come Moschea Dzamiha Jahja Hodzina), la Moschea Hadzi Kurto o Moschea Tabacica e la Moschea Hadzi Memija Cernica.
Il 9 novembre 1993, le forze di Herceg-Bosna/HVO distrussero lo Stari Most ("Ponte Vecchio"), un punto di riferimento internazionale che attraversava il fiume Neretva tra Mostar orientale e occidentale."

10 dicembre 1999: muore a Zagabria Franjo Tuđman. Figura controversa nello scacchiere balcanico di lui possiamo sicuramente dire che è stato:
- un criminale di guerra come sentenziato dall'ICTY;
- un pericoloso filo-nazista alla ricerca della costituzione di uno stato croato puramente etnico;
- un nostalgico del NDH, lo stato indipendente croato fantoccio della Germania nazista ed unico momento storico nel quale ci si accorse della loro esistenza, dal quale riprese simbologie, inni e moneta;
un antisemita, famosa la sua frase "che per fortuna nè lui nè sua moglie erano ebrei" o come nel suo libro Bespuća povijesne zbiljnosti dove scrisse che "gli ebrei avevano ricoperto una posizione privilegiata a Jasenovac e in realtà tenevano nelle loro mani la gestione dei detenuti del campo fino al 1944";
- un minimalista dell'Olocausto, sempre nel suddetto libro scrisse che "il numero di morti ebraici durante la Seconda Guerra Mondiale era più vicino al milione rispetto al numero più citato di 6 milioni.";
- un dittatore, il suo mandato come presidente è stato criticato come autoritario dalla maggior parte degli osservatori che osservarono che "tra sano nazionalismo e sciovinismo, scelse lo sciovinismo; tra economia di libero mercato e clientelismo, scelse quest'ultimo. Invece del culto della libertà, scelse il culto dello stato. Tra modernità e apertura al mondo, ha scelto il tradizionalismo; una scelta fatale per un piccolo Stato come la Croazia che ha bisogno di aprire per il bene dello sviluppo";
- un pregiudicato, essendo stato arrestato 3 volte durante la sua vita;
- un mafioso, sono ampiamente noti e documentati i legami della famiglia Tuđman con la mala del Brenta;
- un plagiatore, nel dicembre 1966, Ljubo Boban accusò Tuđman di plagio, affermando che Tuđman aveva compilato quattro quinti della sua tesi di dottorato, "La creazione della Jugoslavia socialista", dal lavoro di Boban. Boban ha offerto prove conclusive alla sua affermazione da articoli pubblicati in precedenza sulla rivista Forum e il resto dalla tesi di Boban. Tuđman fu poi espulso dall'Istituto e costretto a ritirarsi nel 1967.
- un doppiogiochista, marzo 1991 accordo di Karadjordjevo con Slobodan Milosevic per la spartizione della Bosnia Erzegovina tra Serbia e Croazia - dopo appena un anno le forze croate e musulmane si alleano in chiave anti-Serba - nel giugno dello stesso anno le forze croate rompono l'alleanza e attaccano la Bosnia creando la fallimentare Herceg-Bosnia e poi ancora anche dopo gli accordi Dayton del 1995 Tuđman cercò un accordo con Karadžić per una spartizione di "influenze" in Bosnia Erzegovina.
È stato questo personaggio qua.






Chi voleva, e vuole, offenderlo, lo chiama “zingaro” .

Sinisa Mihajlovich è un serbo della ex Jugoslavia, aggredita e devastata nel 1999 per non volersi piegare al “Nuovo ordine mondiale” fiorito con la caduta del muro. Nel decennale di questo crimine perpetrato dalle “grandi democrazie occidentali”, l’ Antidiplomatico intervistò Mihajlovich: un’intervista che consiglio di andare a rilegge, o a leggere. Nel delirio di menzogne che promossero e legittimarono i bombardamenti nazisti su Belgrado (con la schifosa partecipazione dell’ Italiozza governata da D’ Alema), Mihajlovich visse il dramma che derivava da quello che invece fino ad allora era stato un modello di convivenza interetnica, madre croata e padre serbo. In quel periodo Sinisa giocava nella Lazio ed ebbe modo di constatare da vicino le manipolazioni della stampa: sulla prima pagina del maggior quotidiano romano, Il Messaggero, riconobbe il cadavere di un suo amico serbo con un foro di proiettile in fronte, che il quotidiano presentava come vittima dei “cecchini serbi”. Stesso stravolgimento della realtà a proposito del Kossovo, dove oggetto di pulizia etnica furono, e sono, i serbi; la stessa propaganda che commemora la strage di Srebrenica e tace degli antefatti, delle vessazioni, delle discriminazioni, e della cacciata dei serbo bosniaci (250.000) dalle loro case, dal loro territorio. Sinisa venne infamato come fascista per il suo “elogio” di Arkan, intervenuto a difesa dei cittadini serbi espropriati cacciati, ammazzati. Racconta dell’allucinante telefonata di suo zio croato alla sorella (madre di Sinisa), fuggita col marito (padre di Sinisa). “Perché sei fuggita? Quel porco serbo di tuo marito meritava di essere scannato”.
“Io sono comunista più di tanti altri”, precisa. E ricorda la Jugoslavia vissuta da ragazzo; e ovviamente Tito che era riuscito a creare un miracolo di convivenza pacifica tra molte etnie e uno stato sociale che permetteva a tutti una vita dignitosa.
“Cosa ne pensi degli americani”?
“Cosa posso pensare di criminali che hanno bombardato scuole, ospedali, fabbriche del mio Paese?” 















Boris Dežulović: irrecuperabile Croazia (anche qui minacce di morte a un giornalista croato) 















Ecco come i croati ringraziano le persone di buon cuore

Alcuni tifosi della Dinamo Zagabria, a Milano per la partita di Champions, hanno 'sfilato' verso San Siro, con le braccia tese, cantando cori da stadio. Qualche ora prima un gruppo di circa 300 ultras ha fatto irruzione all'interno del Carrefour del complesso residenziale dell'ex Fiera, costringendo all'evacuazione dei clienti all'interno. La questura ha emesso più di 20 Daspo e 23 tifosi sono stati denunciati a vario titolo.

I tifosi della Dinamo Zagabria a Milano
Non sono nazisti, sono boy scout.
Una puzza di nazismo in questa UE, che non si può!



Braccio destro in alto, magliette nere e cori. Una marcia su Milano formata da circa 2mila persone, dalla piazza centrale di City Life verso San Siro, in attesa della partita dentro le porte del Meazza.





"L’ennesima provocazione dei tifosi di calcio, nella fattispecie dei tifosi della Dinamo di Zagabria che lo scorso 14 settembre a Milano, oltre a provocare incidenti e risse, hanno compiuto un gesto deplorevole di apologia dell’ideologia ustascia e nazista, alzando il braccio destro, rievocando così l’epoca di Adolf Hitler, Benito Mussolini e Ante Pavelić. L'Unione dei combattenti antifascisti e degli antifascisti della Croazia (SABA RH) ha a più riprese protestato contro tali incidenti provocati dai tifosi che glorificano non solo lo Stato indipendente di Croazia, ma anche tutti i mali accaduti durante il periodo del terrore ustascia. È evidente che i giovani tifosi della Dinamo si comportano in linea con l’attuale clima generale in patria, ossia con la tacita approvazione dei saluti, dei simboli e degli slogan ustascia. Lo dimostra chiaramente anche l’atteggiamento neutro assunto non solo dai mezzi di informazione, ma anche dai funzionari e dalle autorità competenti croate nei confronti del recente episodio accaduto a Milano.

Chiediamoci: perché Jasenko Mesić, ambasciatore della Repubblica di Croazia a Roma, e Stjepan Ribić, console generale della Repubblica di Croazia a Milano, non hanno reagito all’episodio a cui si è assistito a Milano? Cosa ha fatto Gordan Grlić Radman, ministro degli Affari Esteri ed Europei della Repubblica di Croazia? Non si sono fatti sentire né il capo del governo croato né il presidente del parlamento croato. Ci sembra superfluo sottolineare che l’incidente in questione, pur essendo accaduto a Milano, è un attacco diretto alla Costituzione della Repubblica di Croazia.

 La marcia su Milano dei tifosi della Dinamo di Zagabria

Gli ustascia croati distruggono Milano


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