venerdì 28 gennaio 2022

La battaglia della Neretva



La battaglia della Neretva - scena ospedale

La battaglia della Neretva 1968, di di Veljko Bulajic


Per più di un anno Veliko Bulajic ha girato sulle montagne dell’Erzegovina, tra Dubrovnik e Sarajevo la più grossa produzione mai intrapresa in Jugoslavia. Per questo gigantesco sforzo si sono coalizzate sette case di produzione e altre ditte non cinematografiche si sono impegnate a cooperare finanziariamente a quello che viene considerato un vero e proprio affare nazionale, dato il tema del film.
Si tratta infatti della battaglia della Neretva (dicembre 1942 - marzo 1943) considerata dagli jugoslavi come la svolta decisiva della loro guerra partigiana. La sconfitta dei nazisti e dei loro alleati in questa lunga e terribile campagna segnò, in effetti, l’inizio della vittoria finale della Resistenza nazionale che doveva liberare il paese senza bisogno dell’aiuto sovietico. L’episodio centrale di questa battaglia è la vicenda del ponte sulla Neretva, fiume impetuoso che scroscia possente in profonde gole. I partigiani erano bloccati su una delle due sponde e la presenza di importanti forze tedesche impediva loro di raggiungere una regione montuosa già liberata. Tito ebbe l’idea di ricorrere a un trucco. Fece saltare il ponte che i suoi uomini avrebbero dovuto attraversare, facendo così credere al nemico di aver deciso di ritirarsi. Quando poi i tedeschi si furono ritirati fece attraversare di notte il fiume sulle rovine del ponte a tutta la sua colonna: combattenti, feriti, malati, civili in fuga. Perché - e questo è un altro aspetto significativo della battaglia - Tito aveva voluto portare in salvo migliaia di feriti gravi e di malati di tifo che rallentavano la sua marcia e mettevano in difficoltà i combattenti validi. Nonostante pesanti perdite e molte sofferenze, la maggior parte dei partigiani riuscì a fuggire all’annientamento, e i principi morali che guidavano la lotta di resistenza nazionale furono così salvaguardati.
Veliko Bulajic ha ricostruito questa pagina di storia con scrupolosa esattezza, girando sui luoghi stessi in cui si erano svolti i fatti, con la supervisione di ex comandanti partigiani. La distruzione del ponte sarà naturalmente uno dei clou del film: non sarà naturalmente quella del ponte vero (ricostruito) ma di un altro assai simile, aggiungendovi altri trucchi complementari realizzati su modellini negli studi di Barrandov presso Praga. L’esercito ha fornito quasi 5000 comparse e molto materiale, tutto d’epoca, tranne gli aerei. Molti civili sono stati reclutati sui luoghi della lavorazione. Sono state fatte solo due concessioni alle esigenze dello spettacolo per poter vedere il film all’estero: il colore (ma si sono utilizzati toni molto discreti e un po’ spenti) e la presenza di alcuni attori stranieri tra cui Sylva Koscina che è di origine jugoslava e che da bambina ha vissuto i duri anni dell’occupazione. Si è immedesimata nella sua parte di combattente della Resistenza, nel corso di tre mesi di lavorazione svoltasi in condizioni spesso difficili per la neve e il freddo. Bulajic ha dichiarato di non aver voluto fare un film eroico o pomposo, ma soltanto di aver voluto esaltare i valori morali che animavano la Resistenza nel quadro di una ricostruzione rigorosamente documentaria, evitando la fotografia troppo ricercata e qualsiasi trucco, a favore della massima spontaneità e autenticità. Il regista ha saputo integrare perfettamente i suoi attori stranieri nel contesto nazionale e ottenere effetti spettacolari senza pezzi di bravura forzati, ma molto convincenti.
Marcel Martin, "Cinéma ’69", n. 136, maggio 1969.

28 anni dalla morte dei tre giornalisti Rai a Mostar

Oggi sono 28 anni dalla morte dei tre giornalisti Rai a Mostar . Sono stati uccisi da una granata ustascia 



 Da cittadino italiano con origini di Mostar, ci tengo a raccontarvi una piccola curiosità riguardo alla targa presente a Mostar.

Notate quello spazio "cancellato" nella parte superiore, cioè quella scritta in serbo-croato?
I cittadini di Mostar hanno ritenuto opportuno cancellare la parola "fratricida" lasciando intendere che non si è trattata di una guerra etnico-religiosa "tra fratelli" ma di una aggressione organizzata a tavolino e con precisi obiettivi di natura geopolitica, in cui l'aggressore aveva una sola caratteristica: chiunque fomentasse il nazionalismo.
In Bosnia, In quegli anni, chiunque avesse "fratelli" pensava ad aiutarli e a metterne in salvo il più possibile, qualsiasi fosse la loro origine etnico-religiosa (i miei genitori, ad esempio, sono stati allo stesso tempo deportati e salvati dai croati).
Detto questo, mi unisco al dolore di amici e parenti dei tre giornalisti, morti per raccontare all'occidente una verità scomoda.
Dino K. 




10 agosto 1995 – Ucciso dai croati il giornalista della BBC John Scoefield, mentre con tre colleghi riprendeva un villaggio in fiamme tra Karlovac e Bihać; la scusa è aver scambiato la telecamera per un’arma. La Krajina è sigillata ai giornalisti stranieri, facilitando le efferatezze.
Un ufficiale della Difesa territoriale serba dichiara a Paolo Rumiz de Il Piccolo di Trieste che la gente serba ha iniziato a fuggire immediatamente con l’inizio dell’Operazione Oluja. Bruno Maran

IL LAGER USTASCIA DI JASENOVAC (JEAN TOSCHI MARAZZANI VISCONTI)




 Jean è la persona più meravigliosa dell'universo 

IL LAGER USTASCIA DI JASENOVAC (JEAN TOSCHI MARAZZANI VISCONTI)


















Dusan Vlahovic è a Torino




 Signori e signore,

è con grande sommo immenso piacere che vi comunico che Dusan è a Torino!!!

E' arrivato proprio nel giorno del suo compleanno 


Juve, Vlahovic ha firmato: sarà bianconero fino al 2026


mercoledì 26 gennaio 2022

E DOPO LE AMEBE VENNERO I CROATI






Una volta falsificati, ovvero croatizzati, nome e cognome di uno scrittore, di un pittore, di un musicista che nacque o visse sul territorio che oggi fa parte della Croazia, la sua opera diventa automaticamente croata. 




 "CROATI PIGLIATUTTO"

Magistrale pezzo di Giacomo Scotti nella "Voce del popolo"
"E dopo le amebe vennero i Croati...
Marko Polić-Pol "
"Potrei firmare anche virgole e punti del testo pubblicato da Gian Antonio Stella sul “Corsera” di Milano e riportato integralmente da “La Voce del Popolo” l’indomani (23 aprile), ma poiché sull’argomento dell’appropriazione indebita di grandi personaggi della letteratura, della cultura e della storia italiana ho scritto a più riprese, arrabbiandomi forte, negli ultimi cinquant’anni, proverò a fare una cernita e una sintesi su questo brutto vezzo degli storici e politici croati – e fossero soltanto loro! – che non hanno risparmiato nessuno dei tanti grandi italiani “colpevoli” di essere nati o semplicemente di essere passati nelle e per le terre della Dalmazia, del Quarnero e dell’Istria oggi incluse nella Croazia. Per questi signori quegli italiani, per lo più sudditi della Serenissima repubblica di Venezia, furono e restano croati.
Negli ultimi venti anni si è giunti a croatizzare il veneziano e italiano Marco Polo. Già Franjo Tuđman lo fece, ora c’è caduto Stjepan Mesić, anche lui per un viaggio in Cina. Nel periodo immediatamente successivo alla secessione della Croazia dalla Jugoslavia ed alla conquista dell’indipendenza, all’inizio degli anni Novanta del secolo appena tramontato, nel contesto di un nazionalismo esasperato dalla guerra e dai rancori prolungatisi nel dopoguerra, Tuđman e i suoi se la presero anche con l’Italia e si appropriarono di numerosi scrittori, architetti, scultori ed altri artisti italo-veneti, dichiarandoli croati.
Il filosofo chersino Francesco Patrizi divenne Franjo e Frane Petrić ed ancora oggi, nei convegni annuali a lui dedicati a Cherso, è sempre e soltanto croato, viene chiamato sempre come lui non si firmò mai. Gli studiosi croati della sua opera sono però costretti a tradurre i suoi libri dal latino e dall’italiano.
Poi si è arrivati al celeberrimo Marco Polo. Recandosi in Cina, il “Supremo” si vantò davanti al Congresso del Popolo di aver seguito le orme del suo “connazionale”, ordinando ai suoi di scriverne il nome con la kappa: Marko. Cominciò da allora a correre sulla linea ferroviaria Zagabria-Venezia il treno Marko Polo (e l’Italia non protestò) e prese a navigare, come tuttora naviga, la nave passeggeri Marko Polo con la kappa. Dunque, a dire di Tuđman e di altri “storici” croati il veneziano sarebbe nato a Curzola (dove una leggenda parla di una “casa di Marco Polo”) e sarebbe stato di nazionalità croata. Oddìo, c’è pure qualche altro che lo vuole nato a Sebenico, ma lasciamo stare. Certo, in Dalmazia, ancora oggi, gente col cognome Polo, De Poli e simili ce n’è tanta, ma è pur vero che Venezia fu la signora della Dalmazia e di gran parte dell’Istria per quattrocento anni e ci furono giudici, capitani, podestà, rettori e conti veneziani mandati sull’Adriatico orientale che si chiamavano Polo e lasciarono in queste terre qualche rampollo, come l’hanno lasciato i Tiepolo (vedi a Pago i Chiepolo) i Cambi a Spalato, i Fiamengo a Lissa eccetera, eccetera.
Come se non bastasse, Tuđman volle mettere le mani anche su Ruggero Giuseppe Boscovich, raguseo, figlio di padre erzegovese e di madre oriunda bergamasca – Bettera – lo scienziato gesuita vissuto in Italia fin dai tredici anni di età. Scrisse le sue opere soltanto in italiano e in francese, personalmente polemizzò con chi voleva cambiargli nome e cognome, ma ciononostante Tuđman voleva che il monumento dello scienziato a Milano lo indicasse con nome e cognome scritti con la grafia croata: Rudjer Bošković. Il governo italiano quella volta disse di no e la visita ufficiale del “Vrhovnik” in Italia sfumò. Mise piede in Italia soltanto per visitare a Roma la mostra dell’arte rinascimentale croata, quasi esclusivamente dalmata e quasi esclusivamente fatta di opere di scultori e architetti italiani del Rinascimento. Purtroppo ad ospitare quella mostra fu la Città del Vaticano e Tuđman mise piede in Italia soltanto per andare in quel minuscolo anche se potentissimo Stato.



Ragusa distava 400 km dal Regno di Croazia
 



In alcune guide della Croazia e in tutti i libri di testo in materia di commercio nelle scuole superiori croate si legge che l’inventore della “partita doppia” fu un croato, e si fa il nome di Benko Kotruljić alias Kotruljević, raguseo.
Ebbene quell’uomo era Benedetto Cotrugli, figlio di un mercante pugliese stabilitosi a Ragusa, autore - Benedetto non suo padre – del famoso libro “Della mercatura e del mercante perfetto” pubblicato a Venezia nella prima metà del XV secolo. Oltretutto, il Cotrugli visse per lo più in Italia e si spense a Napoli.
Uno “storico” di musica zagabrese con il quale polemizzai negli anni Settanta, scrisse – e nella storia della musica croata si ripete quanto lui scrisse allora sul “Borba” – che il compositore istriano del XV secolo Andrea da Montona il Vecchio, tra l’altro inventore della stampa delle note musicali, era croato. Perciò gli cambiò i connotati chiamandolo Andrija Motuvljanin-Starić. Anche il montonese, tanto per cambiare, visse fin da ragazzo a Venezia e scrisse unicamente in italiano i versi dei suoi pezzi musicali.
Quando il papa Giovanni Paolo II arrivò a Fiume (e molti giornalisti italiani scrissero Rijeka, alla radiotelevisione pronunciato “rigieca”), la Curia zagabrese inviò a tutti i giornali (compresa “La Voce del Popolo”) un inserto a pagamento di una decina di pagine sui “santi croati”. Ne trovai alcuni – per lo più “beati” - vittime delle persecuzioni anticristiane degli imperatori romani: santi polesani, istriani. Non mi risulta che all’epoca romana ci fossero croati e slavi in genere in Istria e Dalmazia.
A Fiume, un modesto autore di saggi su argomenti più disparati relativi alla cultura, all’arte, alla museologia, alla storia e agli eventi politici del capoluogo del Quarnero, per dimostrare che tutto qui fu in passato e resta oggi croato, se la prese con alcuni nostri scrittori, facendo i nomi di Ezio Mestrovich e Nirvana Ferletta, scrivendoli alla croata: Meštrović e Frleta- Volle “dimostrare” che i “cosiddetti” italiani fiumani, e non solo loro, erano dei croati voltagabbana, quasi quasi dei traditori.
Che ne direbbe se io gli mettessi sotto gli occhi e il naso cognomi italiani di personaggi croatissimi come il leader del Partito nazionale croato della seconda metà dell’Ottocento, Juraj Bianchini, oppure il grande poeta croato dello scorso secolo, Gvido Tartaglia, il grande attore zagabrese del Novecento, Tito Strozzi, o l’attuale ambasciatore croato in Argentina Castelli, il notissimo studioso d’arte in Dalmazia, Nenad Cambi, il poeta Jakša Fiamengo, il compositore Mario Nardelli, l’architetto Bernardo Bernardi, il capo dell’Istituto di Epidemiologia della Croazia, dott. prof. Dinko Rafanelli, il cantante del gruppo “Trubaduri”, Luciano Capurso, il presidente del Sindacato dei marittimi della Croazia, Predrag Brazzoduro, la giornalista Sanja Corazza, il pittore Josip Botteri Dini, il giornalista e leader degli studenti croati, Vojislav Mazzocco? Potrei continuare fino a domani.
Ho scritto altre volte e lo ripeto qui: la Croazia ha grandi croati, uomini e donne, di cui vantarsi, che meritano di essere celebrati in tutti i campi, compresa l’arte e la letteratura; non ha perciò bisogno di rubarli ad altri popoli. Temo però che i ciechi nazionalisti non cesseranno mai di rubacchiare per ornarsi delle penne altrui."
fIrmato: Giacomo Scotti
(da.linkiesta.it del /2011/05/01)














I croati e gli pseudo croati di Milano hanno sempre agito al limite della denuncia. Lo dicono tutti, ma in particolar modo lo dice Marco Tarquinio, lunedì 21 marzo 2016, rispondendo alle giustissime rimostranze di Antonio Ballarin. Si vede che questi signori finchè non prendono una denuncia non capiscono. - Posso parlare solo per me e per i miei colleghi, caro dottor Ballarin, ma di un dovere che non è solo mio e nostro: gli errori, quando ci sono, vanno sempre corretti. Affermare quel che è stato affermato in quel dispaccio di agenzia sull’italiano Ruggero Boscovich «croato» è stato un errore serio e grave. Che getta sale su una ferita che bisognerebbe invece curare e chiudere. E la verità è la prima medicina.



Siamo grati al Direttore di «Avvenire» per avere colto e approfondito le precisazioni che la Federazione degli esuli giuliani, istriani, fiumani e dalmati – tramite il suo presidente, Antonio Ballarin – ha espresso circa l’inaugurazione del milanese monumento a Ruggiero Boscovich, esaltato come scienziato croato da parte delle fonti giornalistiche che hanno recepito in modo acritico il comunicato ufficiale dell’iniziativa. Non è questo che l’ultimo tentativo di piegare la storia al nazionalismo.



martedì 25 gennaio 2022

„Stvaranje Jugoslavije – najveća srpska zabluda“




Riassumendo i punti che tratta il seguente video. L’idea di una Jugoslavia è nata a Zagabria e prima della riforma di Vuk Karadžić i croati non avevano una propria lingua letteraria; se non era per l’esercito serbo sia la Slovenia che la Croazia non esisterebbero. I Serbi per creare lo stato jugoslavo hanno perso più di un milione di vite e la Serbia è entrata nella Jugoslavia comprendendo Macedonia, Vojvodina, Kosovo e Montenegro, invece sloveni e croati sono entrati con lo stato di sloveni croati e serbi che nessuno al mondo riconosceva. Poi va a spiegare tutti i punti sopra, entrando nel dettaglio.

Goran Šarić - „Stvaranje Jugoslavije – najveća srpska zabluda“




lunedì 24 gennaio 2022

I CROATI VOGLIONO CONTINUARE I FURTI




Dopo averci rubato scrittori, pittori, musicisti, scienziati, Ivo Andric e Nikola Tesla stanno cercando di rubare Novak Djokovic 

NA ČEMU SU OVI?! HRVATI ZAKONOM OTIMAJU NOVAKA!










sabato 22 gennaio 2022

Eliza. Una storia macedone. Recensioni

 



A due anni dall'uscita del magnifico libro pubblichiamo le recensioni più belle 

Bellissima e avvincente storia. Un grande atto d'amore da parte di un figlio voler raccontare la vita avventurosa dei propri genitori, cercando di capire e svelare parte di quella vita rimasta quasi un mistero per troppo tempo.
Molte volte cercare le proprie radici ci fa comprendere molti aspetti di noi stessi
Anna Maria

"Eliza mi ha sussurrato il suo desiderio tutto l’inverno e insieme ai colori della copertina del suo libro, simbolo inequivocabile dell’identità di un popolo tanto forte quanto martoriato dalla storia, mi ha convinto a rileggere un’opera, quella di Umberto Li Gioi, che avevo già letto lo scorso anno, ma che mi aveva lasciato un senso di impotenza, di sorpresa, di dolore.
Di sgomento.
L’ho portato con me, per leggerlo durante le mie vacanze in camper, fra le valli e le vette di una verde e fresca Svizzera, nel nulla e nel tutto del silenzio rotto solo dall’aria frizzante che accompagnava i campanacci dei pascoli agli alpeggi, sinfonia e colonna sonora pura di una lettura che mi ha immerso in un mondo parallelo.
Pagina dopo pagina sono entrato -ora come lo scorso anno- a vivere dei momenti teneri, d’amore, ma anche di paura, di colpi di scena, di drammi assoluti, di sfregi senza senso, abbracciando un periodo storico veramente buio che sarebbe bello poter dimenticare, ma che deve essere monito per chi è dopo di noi, perché non si commettano più gli stessi errori. Disumani.
È stato bravo Umberto a catapultarmi in un racconto dove mi sono trovato a vivere accanto a personaggi che non sono frutto di fantasia ma di splendida e purtroppo cruda realtà.
Mi sono sentito anch’io un personaggio, trasparente, del libro.
Ho bevuto rakija nella kafana di Kicevo, mi sono fatto radere da “Ugo” nella sua bottega, mentre canticchiava per concentrarsi sul taglio delle basette, ho ascoltato le cicale che accompagnavano il meltemi di una Rodi martoriata da una guerra fratricida.
Ho passeggiato con Trajan Trajkoski tra le bancarelle dei mercati macedoni, osservando la generosità di un Sindaco amato e rispettato dalla sua gente.
Ho vagato fra le colline di una Macedonia dilaniata, facendomi ospitare da famiglie dal cuore d’oro, pronte a rischiare tutto pur di aiutare giovani disperati in fuga dagli orrori della guerra.
Ho mangiato a sazietà al matrimonio di Eliza e Luigi, con festa e danze senza fine, in un “felice intermezzo tra la guerra e il ritorno alla vita”.
Ho corso in bici, accompagnando la ciondolante andatura di Eliza, tra Premka e Kicevo, lungo la schiumosa Temnica.
Ero fra la calca di Premka, quando Eliza e Ljubo si sono rivisti fra le campane a festa e il non riuscire a comprendere del giovane Rino.
Ho tenuto compagnia a Ljubo, nelle calde notti estive, parlando alle fredde tombe del suo cimitero sovrastato da urla silenziose. E nel pesante fardello che si è portato dentro tutta la vita, ho giustificato il suo volere finale, confondendo vendetta e perdono.
E purtroppo ero sempre con Ljubo, in quella maledetta vigilia di Pasqua del 1944, quando Miljeva Atanaskova e la giovane Desa presero il calesse per andare a portare da mangiare ai rifugiati.
Ho pianto, ho pianto tanto, di emozione e di rabbia, perché il sapiente fluire del racconto di Umberto mi ha fatto “vivere” momenti tremendi, immedesimandomi nei personaggi e nella storia.
Una storia meravigliosa, raccontata con arte nobile, una sorta di Bolero di Claude Lelouche, regista che segue il racconto di più personaggi che alla fine si ritrovano nello stesso luogo, nello stesso istante.
Anche questa storia, così raccontata, meriterebbe il grande schermo.
I fatti raccontati da Rino, da Umberto, da Eliza, da Luigi, chiedono particolare attenzione, perché il concatenarsi degli eventi riesce a creare un capolavoro di dolore e sofferenza.
Di incredulità.
È nello stesso tempo un romanzo giallo, un testo storico, un racconto d’amore e lo stesso autore è stato bravo a creare un unico filo conduttore che è riuscito a portare il lettore a scoprire una delle verità che l’uomo tende a ricercare sempre nella vita, ma dalle quali spesso si fugge.
Consciamente o inconsapevolmente.
E anche qui, metafora del sapere, riscopriamo che “_esistono sempre due verità: quella che tu conosci e quella che tu non sai”.
Pietro

"Carissimo Umberto,
sono riuscito a leggere anche il terzo romanzo, ELIZA.
Premetto che anche stavolta mi è piaciuto. Adesso sono in grado di stilare un commento più preciso sull’evoluzione della tua produzione.
ELIZA si colloca senz’altro su un gradino superiore rispetto a KALEMEGDAN per quanto riguarda lo stile e la gestione dei dettagli e delle parti didascaliche, a cui ti avevo accennato nelle precedenti mail.
I dialoghi risultano più funzionali al contesto della narrazione. Tutto questo rende il linguaggio molto più spontaneo e meno ricercato, per cui la lettura si fa decisamente più fluida e piacevole.
I personaggi secondari cominciano ad assumere una fisionomia più rispondente alle esigenze di una narrazione.
Apprezzabile e riuscito il tentativo di scrivere un romanzo a due voci.
Il filo conduttore della narrazione è più evidente rispetto a KALEMEGDAN e accompagna il lettore fino alla fine. Un andamento molto cinematografico. Anche grazie alle tue descrizioni, che costituiscono uno dei punti di forza dell'approccio narrativo.
In particolare per la piacevolezza della scrittura e l’accuratezza della documentazione.
Il libro ha una fisionomia ben definita e riesce a tenere il lettore incollato dalla prima all’ultima pagina e, come tale, la coesione narrativa risulta l’elemento cruciale: un fattore ancora più determinante dell’intreccio di per sé, per quanto avvincente e ben scritto possa essere!"
Claudio

"Vivere significa risolvere i problemi che il caso ci pone innanzi. Raccogliere in un articolato racconto le vicissitudini che abbiamo affrontato ci può aiutare a scoprire magari il senso ....il filo che lega gli avvenimenti dell'esistenza. Ma ciò che più conta é il desiderio di condividere magari attraverso la lettura con il prossimo, in questo caso il lettore, che scorre le pagine della tua vita.....Scrivete ancora caro Rino e Umberto .
Claudio

"Difficilmente mi accosto a libri che ”narrano” delle due guerre mondiali. Ma leggere questo, per i riferimenti che vi ho trovato, mi è servito a squarciare un velo che non avevo il coraggio di scostare e a lenire una ferita mai rimarginata in me. E allora mi sono venuti alla mente tutti i ricordi di quell’uomo che non ha mai voluto scaricare, forse così pensava, i suoi brutti ricordi legati alla guerra: anche lui veniva da un paese della grecia salentina, anche lui bravo nel parlare il grico, partito come volontario , anche lui nelle stesse zone descritte nel libro, per finire, dopo l’armistizio, in un campo dì concentramento tedesco.
Nostalgia di un padre che non ho più e rimpianto per non avere avuto il coraggio di dirgli:” parlami di quegli anni, ti voglio ascoltare.. ora è tutto passato”. Alla fine ho parlato di me, ma
grazie per avermi dato questa opportunità .
Il vostro libro è un opera d'arte.
Lecce, agosto 2021. Maria Paola

"Ho letto il libro tutto d’un fiato.
Mi è piaciuto tantissimo.
Una storia vera. Ambientata nella Macedonia durante la seconda guerra mondiale e periodo appena seguente. La storia di una ragazza macedone e di un ragazzo italiano. Mentre ora possiamo dire che è quasi una prassi il matrimonio “misto” allora chissà quanti paradossi ....
Interessante anche il periodo storico che, sia nei ricordi sia nelle ricerche di Rino e dell’autore, coinvolge i lettori più appassionati. Tempo fa ho fatto un viaggio in treno da Trieste e Verona. Il vecchio Simplon Express che partiva da Belgrado. C’era un signore bresciano che tornava a casa dopo un incidente. Sul treno quasi tutte persone Macedoni e slave ... persone veramente squisite.
Ecco leggendo il libro mi sono ricordata anche di loro.
Consiglio a tutti di leggere questo meraviglioso libro"
Giuliana

"Una bella lettura, che ci trasporta dalla Puglia in Grecia ed infine in Macedonia, nel periodo della seconda guerra mondiale... un quaderno e vecchie foto del padre con la madre, un segreto inconfessabile, fungono da stimolo per Rino per fare un viaggio in Macedonia, per riscoprire proprie radici.
L'autore del libro ha completato la ricerca con un viaggio a Rodi, raccogliendo i ricordi di chi ha vissuto quel periodo di occupazione...
Personalmente mi è piaciuto molto, oltre ad avermi commossa ho scoperto tratti di storia che non conoscevo... più un sottile dolore e vergogna, in quanto italiana, nei confronti di questo popolo così accogliente e generoso
Paola T.

"Il bel libro "Eliza" una storia macedone, scritto da Umberto Li Gioi, ripercorre le vicende familiari e storiche dei genitori di Oronzo Operoso, che ne è la voce narrante.
Un amore tra due giovani sbocciato in tempi cupi, le tensioni etniche così vive ora come allora nei Balcani, la tragedia personale vissuta dalla giovane e bella Eliza, che non svelerà ad alcuno e che emergerà solo dopo la sua dipartita, sono gli ingredienti fondamentali di questo libro snello, dalla lettura scorrevole. La memoria familiare e storica di Oronzo Operoso ci fa capire come siano importanti le nostre radici e come il tener vivo il ricordo del passato e di coloro che ci hanno preceduto, getti le basi per la vita futura.
Tutto si tiene e tutto scorre."
Fabia

"È stato importantissimo, ed è fondamentale leggerlo tutto d'un fiato per non perdere i collegamenti, che, devo dire, sono magistralmente distanziati per poi apparirti improvvisamente. Si legge molto piacevolmente e con interesse nella parte descrittiva senza che si possa immaginarne l'epilogo.
Che impressione, perché credo che tutti, al posto di Eliza, avremmo voluto avere lo stesso coraggio. Intanto complimenti a chi ha avuto il coraggio di andare a scavare, e non credo affatto che sia stato facile, anzi. E complimenti anche per l’idea di tradurre il tutto in un libro. La parte iniziale nulla fa presagire del prosieguo. Un plauso a come la narrazione è stata concepita. È emozionante e toccante."
Massimo

"Scrivo alcune righe per raccontare le mie impressioni sul libro. Premetto che in grandi linee conoscevo la storia perché Rino me la raccontò qualche anno fa quando fui ospite a casa sua , insieme a mio figlio. Da allora me la sono tenuta dentro e non ho mai parlato con nessuno: mi sembrava che se avessi dovuto farlo, avrei scoperchiato un segreto tenuto tale per decenni. Non mi sembrava il caso di svelare a nessuno una cosa così intima, dolorosa , profonda.
Nonostante ciò sono rimasta stupefatta dal coraggio e senso di giustizia di sua madre Eliza. La sua amicizia con Ljubo ha creato in me un'ammirazione maggiore .Si sa che dalle nostre parti oltre la famiglia anche l'amicizia è sacra.
Anche se ho problemi di concentrazione ho letto il libro in pochi giorni aspettando con tanta ansia quel "fatto" che ha sconvolto la vita di tutta la famiglia, soprattutto quella di Eliza. Quando sono arrivata al punto, ho pianto, pianto tanto. E nello stesso tempo ho sentito l'orgoglio, orgoglio di essere amica , anzi "sestra" di una persona come Rino che sembra un uomo schivo, riservato, un po' nel suo mondo, quasi distaccato. Ma quando lo conosci ti rendi conto che in lui c'è il grande cuore di Eliza e del suo buon padre Luigi. Un cuore che porta il peso enorme di una famiglia per bene, rispettabile, che ha vissuto una grande tragedia che li ha cambiati per sempre."
Alessandra




Jov

venerdì 21 gennaio 2022

LA CACCIA

 






Tre testimoni sono stati uccisi nonostante fossero sotto il programma di protezione.
Gli americani hanno finanziato il tribunale e non possono essere processati. Milosevic porta le prove di un bombardamento NATO a un convoglio di civili in cui morirono 150 civili, ma non c'è nessun indagato per questo crimine e come questo crimine ce ne sono stati altre decine.
Il tribunale è controllato da un organismo politico e questa è un 'anomalia. Finchè sarà il Consiglio di sicurezza a decidere, sarà la politica ad autorizzare o no certi procedimenti


In un incontro con Carla Del Ponte le vengono chieste diverse cose dal pubblico.
Intorno all'11° minuto si parla della protezione dei testimoni e la Del Ponte ammette che 3 testimoni sono stati uccisi mentre erano sotto il programma di protezione. Al 22° minuto si dice che il processo del teste che ha fatto fuori tutti i testimoni è da rifare.
L'anomalia del tribunale è che è stato istituito dagli americani che hanno tirato fuori i soldi (min 23.22)
Al 59° minuto si racconta di un pilota NATO che ha detto alla base di Aviano che il treno che doveva colpire era di civili e Aviano risponde: "Bombarda lo stesso". Morirono 150 civili e nessuno ha mai pagato per quella strage; così è avvenuto per altri 13 episodi NATO in cui nessuno è stato processato.
A un'ora e 01 uno spettatore chiede se non c'è il rischio che i grandi finanziatori di questo tribunale la passino sempre liscia ? La risposta della Del Ponte è SI, certamente c'è questo rischio.
A un'ora e 04 si dice che il Consiglio di sicurezza è una istituzione politica e le sue decisioni sono politiche. 










Moriva esattamente l’11 marzo 2006, nel carcere dell'Aia, Slobodan Milosevic. Nel gennaio del 2006, pochi mesi prima vi era stato uno scandalo, quando nelle analisi del sangue era stato rilevato l'antibiotico Rifampicin, farmaco che neutralizzava l'effetto dei medicinali che Milosevic utilizzava per la cardiopatia di cui soffriva.

Della presenza di tale farmaco nel suo sangue Milošević si era lamentato in una lettera inviata al ministro degli esteri russo, inoltre aveva chiesto di essere ricoverato presso una clinica specializzata a Mosca.

Tutto ciò ovviamente gli è stato negato.

Inoltre Milosevic, poco prima della sua morte aveva espresso timori che lo stessero avvelenando.

Bastano queste poche righe per comprendere che la sua morte non è stata un incidente.
Era l'unico modo per "vincere" contro un uomo che non potevano piegare alla loro brama espansionistica, ma era anche un modo per tappargli la bocca, visto che aveva osato umiliare l'intero tribunale penale internazionale che ha dovuto far cadere tutte le accuse anni dopo la sua morte per mancanza di prove.

Nonostante tutto, contro tutti e contro ogni avversità, ha vinto!




mercoledì 19 gennaio 2022

Il parere di Biagio Carrano sul caso Djokovic - Australia




 Usiamo alcune risposte di Biagio Carrano perchè ci sembra che chiariscano molti dubbi

Purtroppo il post non è stato compreso bene: 1) le informazioni inesatte sui paesi visitati si trovano nel Passenger Locator Form, che ha un altro fine legato alla tracciabilità dell'ospite e non è collegato al visto; 2) Djokovic non ha fatto nel 2021 dichiarazioni o iniziative no-vax, si è invece dichiarato per la libertà di scelta, come accade nel suo paese di origine, dove i vaccini sono disponibili senza attese anche nei centri commerciali, la loro inoculazione è fortemente consigliata, senza l'attestato di vaccinazione non si può entrare nei locali pubblici dopo le 20, ma non vi sono altre limitazioni significative al diritto a vivere e lavorare dei cittadini.

Il Ministro Hawke ha rivendicato che la sua scelta, arbitraria e concessagli dalla legge, è stata di tipo politico e ideologico, riconoscendo la validità legale del visto di Djokovic e delle altre cinque persone che lo avevano ottenuto seguendo la procedura di rilascio stabilita dalla legge. In sostanza, per motivi politici il sanissimo Djokovic è stato considerato un problema di ordine sanitario e pubblico: neanche fosse il Che Guevara dei no-vax, giunto non per giocare a tennis ma per fare proseliti! Oppure preoccupava proprio il rischio della dimostrazione che si può essere sani e vincenti anche senza il vaccino?

Hawke non ha commesso nessun abuso, la legge glielo consente, ma per non avere problemi a seguito della sua decisione il governo ha dovuto revocare altri 5 visti. In ogni caso la causa di danni avrà buone possibilità perché le motivazioni adotte da Hawke sono o false (pericolo sanitario) o infondate (timori di apostolato no vax). Domanda, a parte la storia di Djokovic, quanto arbitrio si è dato ai politici con l'emergenza?

Spiega tutto il post: 28 persone hanno mandato la documentazione in anonimo, per 6 è stata ritenuta accettabile. In sostanza Djokovic non era sicuro di ricevere il visto, per questo ha postato felice la partenza e la "special exeption" su Instagram. La documentazione, presentata in anonimo, è stata ritenuta vera da due commissioni mediche australiane: perché mettere in discussione il lavoro di medici che fanno questo da mesi a decine di migliaia di chilometri di distanza e senza conoscerla?

Sul caso #Djokovic riprendo pari pari un commento che credo sia stato postato sotto pseudonimo da qualche esperto proprio per far chiarezza una volta per tutte.
Per entrare in Australia serve un visto d'ingresso che ha tre livelli di controllo: il primo al momento del rilascio, quando la richiesta viene esaminata da due commissioni mediche indipendenti, il secondo al momento dell'imbarco nello scalo di partenza, il terzo al momento dello sbarco in Australia. Il terzo livello si applica per lo più ai clandestini, quelli che arrivano senza documenti e senza visa. Questo visto può essere rilasciato e controllato solo ed unicamente dallo stato federale o dallo stato di destinazione, nello specifico dalla provincia di Victoria. Tennis Australia non può aver rilasciato alcun visto di ingresso e neppure può aver autorizzato alcun protocollo. Quindi, ricapitolando, Djokovic ha passato primo e secondo livello con una visa valida, altrimenti sarebbe stato bloccato prima della partenza.
Ora vediamo come l'ha ottenuta. Le domande sono presentate tutte in forma ANONIMA, sono esaminate da due commissioni mediche indipendenti, una nominata dallo stato di destinazione, un'altra composta da un gruppo di specialisti che le valuta in base alle direttive atagi, che prevedono anche tutti i possibili casi di esenzione. Già qui si capisce che chi afferma che "in Australia si entra solo da vaccinati" o è ignorante o è in malafede. In occasione dell'Australia Open sono state presentate 28 richieste di esenzione e ne sono state approvate 6; nessuno dei medici che le ha analizzate sapeva di chi erano. E questo smonta la tesi del "ricco e famoso che corrompe per ottenere ciò che agli altri è negato".
Il governo federale australiano non ha mai negato il fatto che Djokovic sia entrato con una visa valida e infatti I motivi della revoca sono "salute pubblica", ovvero una motivazione basata sul nulla, dal momento che parte dall'assunto SBAGLIATO che un non vaccinato, che fa un tampone ogni due giorni, è un untore, mentre un non vaccinato NON si contagia e non contagia, tesi ampiamente sentita da teoria e pratica, con buona pace dei Bassetti e dei Burioni, e "ordine pubblico" perché la presenza di Djokovic in Australia avrebbe fomentato i no vax.
Durante le due settimane in cui si è trascinata questa farsa, sono emerse informazioni anche sugli altri visti rilasciati a giocatori e allenatori che erano stati autorizzati ad entrare in Australia per il semplice motivo che avevano una visa valida e non erano così famosi, quindi il loro ingresso è passato sotto silenzio. Uno di questi, anzi una giocatrice ceca, aveva anche preso parte, senza problemi, ad un torneo giocato prima dell'open. Dopo l'esplosione del caso Djokovic tutti questi visti sono stati annullati, con provvedimento retroattivo.
Per la cronaca, il governo australiano non ha alcuna giurisdizione sui comportamenti di Djokovic in Serbia o in Spagna e quindi non può motivare l'espulsione con qualcosa che il giocatore avrebbe o non avrebbe fatto lontano dal territorio australiano.
Biagio Carrano

Nella mia personale collezione di articoli per cercare di capire l'insofferenza, l'astio, se non addirittura l'odio che sui media italiani traspaiono nei confronti di Novak Djokovic credo che questo titolo del Corriere della Sera si porrà ai vertici.
"...può morire nella monezza" è un'ipotesi (o un sottile auspicio?) che non ho sentito rivolto da tali testate nemmeno per pedofili o stragisti mafiosi.
L'autore di una prosa tanto raffinata, che mette in rima bellezza e monnezza con grande originalità (tipo Bombolo, insomma), è uno tra i più premiati scrittori italiani, Sandro Veronesi. Ecco, tra i più premiati.
Biagio Carrano

Su affaritaliani.it un mio intervento sulla telenovela #Djokovic
Novak Djokovic è il più recente villain del racconto biosecuritario che da due anni i media italiani propinano al paese. Il tennista serbo, al di là degli errori e delle omissioni nella documentazione presentata per entrare in Australia, è diventato così la pecora nera, il personaggio arrogante da biasimare e da esporre al pubblico odio dei media sociali, il ricco privilegiato che non vuole sottomettersi alle regole che da due anni affaticano la vita di centinaia di milioni di persone: insomma il capro espiatorio su cui scaricare la frustrazione collettiva, così che ne vengano esentati coloro che quelle regole le hanno introdotte e che si ostinano a portarle avanti nonostante tanti principi e tanti assunti (a partire dalla garanzia di immunità garantita dal vaccino) siano stati smentiti negli ultimi mesi.
Biagio Carrano


Il caso Djokovic sta diventando emblematico delle modalità con cui governi e media internazionali cercano di disciplinare il dissenso rispetto a certe loro scelte per gestire la pandemia. Il tennista serbo viene raccontato come un arrogante privilegiato che sarebbe partito per imporre la sua presenza agli Open AUS, mentre è vittima di chi gli aveva dato garanzie per un'esenzione che poi le autorità australiane hanno rinnegato, in un conflitto tutto interno alle autorità del paese dei canguri. Biagio Carrano

Serbian Monitor


Perchè i media italiani odiano tanto Novak Djokovic?


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