mercoledì 30 giugno 2021

I Balcani nella storia: attraverso il ‘900 jugoslavo

 



Interessante ricostruzione di Marco Abram e di Alfredo Sasso della storia jugoslava 

Dal 22° minuto Marco Abram parla della Serbia. Lo stato dei serbi, dei croati e degli sloveni è costituito sull'allargamento della Serbia. La Serbia aveva vinto la prima guerra mondiale ed era l'unico vero stato jugoslavo nei Balcani

Dopo il 56° minuto Alfredo Sasso parla delle ingerenze di America, Germania e Vaticano

“I Balcani nella storia: attraverso il ‘900 jugoslavo"

domenica 27 giugno 2021

ELIZA UNA STORIA MACEDONE A SAN CATALDO

Quando abbiamo aperto Balkan crew 13 anni fa ci si è aperto un mondo




Da subito sono arrivati tanti balcanofili che ci hanno regalato tante storie e tanta compagnia
Uno scrittore, Umberto Li Gioi, era un vulcano di nozioni, emozioni, propositi di viaggi balcanici che da subito ci ha fatto innamorare e abbiamo subito pubblicato il suo viaggio tra i monasteri in Serbia.




E' passato un po' di tempo e Umberto è venuto con la sua famiglia e i suoi amici a Torino a vedere la SS.Sindone e abbiamo così potuto conoscere quello scrittore che nella realtà si è dimostrato ancora più simpatico del web.
Passa un altro po' di tempo e Umberto scrive Kalemegdan, un libro che mi sono divorata in 18 ore praticamente consecutive 




Passa altro tempo e con la testimonianza di Rino Operoso esce Eliza, una storia macedone
Non so nemmeno più in quanto l'ho letto, ma mi ricordo che mi chiamavano sempre perchè non facevo più nulla di cosa dovevo fare 
Tempo che il libro è stato presentato in Sicilia e in Puglia ed è arrivata la pandemia a bloccare il tutto. 
Ci sono stati alcuni collegamenti on line e ora, per regalarci un bellissimo Vidovdan, finalmente una presentazione in presenza a San Cataldo (LE)




Decine e decine di recensioni sulla pagina FB testimoniano quanto questo testo è apprezzato
Un abbraccio grande va a Gabriella Gavioli di Saecula editrice e non possiamo certo dimenticare la favolosa Olga Pantovic'
Quindi samo napred e complimenti vivissimi ! 




sabato 26 giugno 2021

I CROATI SO PROPRIO DE COCCIO




Niente da fare. Più gli dici di non perseguire il fascismo più lo fanno 

Dato che ci schifiamo a postare cose fasciste, cercate 

Pjesmom Za dom spremni, zastavama i minutom šutnje HOS obilježio 30. godišnjicu osnutka

26 giugno 2021  you tube 













LUCI E OMBRE A SREBRENICA

 



Il GENERALE Ratko Mladic, il primo presidente della Republika Srpska, Radovan Karadzic e diversi altri ufficiali di alto rango dell'esercito della RS sono stati condannati dal Tribunale dell'Aia come "partecipanti a un'impresa criminale congiunta, che ha pianificato e commesso il genocidio contro i musulmani a Srebrenica".

A giudicare dalle reazioni pubbliche di diversi funzionari britannici negli ultimi anni, le autorità di quel paese hanno dato un contributo significativo a questo verdetto e negli ultimi due decenni hanno apertamente esercitato pressioni affinché i leader serbi fossero condannati per genocidio in una città dell'est Bosnia durante la guerra degli anni '90.

Tutto ciò potrebbe essere laconicamente attribuito alla continuità della politica londinese nei confronti dei serbi, dagli anni '90 in poi, se il governo britannico non fosse stato chiaramente informato di quanto stava accadendo a Srebrenica nei mesi estivi del 1995. Qui ricordiamo i documenti del ministero britannico della Difesa, che sono stati declassificati. , che affermano che non era prevista alcuna impresa criminale congiunta o genocidio.

Questi documenti furono pubblicati sul sito web degli Archivi Nazionali della Gran Bretagna, i cui agenti dal campo di Srebrenica in quei giorni inviarono alla sede di Londra rapporti che furono raccolti in circa 200 pagine. Descrivono gli eventi che hanno preceduto gli eventi di Srebrenica e le reazioni del battaglione olandese delle Nazioni Unite dopo l'ingresso dell'esercito serbo.

I rapporti degli agenti affermano chiaramente che Pale, come chiamano le autorità della RS, non aveva intenzione di conquistare l'enclave di Srebrenica, ma che l'attacco era stato avviato dal comandante locale.

- L'attacco è stato provocato dalle forze dell'Esercito della Bosnia-Erzegovina di Srebrenica, che da tre mesi hanno costantemente attaccato posizioni e vie di rifornimento serbe, soprattutto a sud dell'enclave, per poi rifugiarsi in quella zona protetta - si afferma, tra altre cose, in questi documenti. - L'azione su Srebrenica è stata avviata dal comandante locale a causa di ciò, e l'attacco è stato effettuato con una sola compagnia e quattro carri armati. Hanno respinto le forze dell'esercito della Bosnia-Erzegovina verso Srebrenica. I serbi non avevano intenzione di entrare nell'enclave e occuparla, ma hanno deciso di farlo dopo aver affermato che la resistenza dell'esercito della Bosnia-Erzegovina era molto debole. Non pensiamo che parte del piano di Pale sia quello di invadere l'enclave.

Un altro documento sottolinea che un membro del battaglione olandese delle Nazioni Unite è stato ucciso durante l'attacco dell'esercito serbo:

 - Dopo che la NATO ha annullato gli attacchi aerei sulle posizioni serbe per paura che i serbi potessero sparare a 30 soldati olandesi presi in ostaggio, il contingente olandese si è ritirato nella sua base a Potocari. Il comando serbo a Han Pijesak ha spiegato che la cattura degli olandesi era un atto locale arbitrario e che sarebbero stati rilasciati durante il giorno.

Rapporti britannici da Srebrenica affermano che dopo l'ingresso delle truppe serbe, il generale Mladic ha minacciato di aprire il fuoco sul campo olandese, se non avessero disarmato il resto dell'esercito della Bosnia-Erzegovina che era lì. D'altra parte, gli olandesi hanno affermato che nel campo non c'erano membri armati dell'esercito della Bosnia-Erzegovina, ma circa 3.000 civili.

 - Il battaglione olandese ha fatto tutto il possibile per trovare quei 2.000 membri armati dell'esercito della Bosnia-Erzegovina, ma sono semplicemente scomparsi durante la notte, molto probabilmente in direzione di Tuzla. Secondo l'intelligence britannica, c'erano altre truppe a ovest dell'enclave.

Uno dei documenti esprime ripetutamente sospetti su tutto ciò che è accaduto intorno a Srebrenica e si chiede perché le forze dell'esercito della Bosnia-Erzegovina abbiano offerto una debole resistenza.

L'analista politico Dragomir Andjelkovic spiega che l'Occidente ha ignorato le prove e gli eventi reali di Srebrenica in tutti questi anni, perché avevano bisogno di una scusa per l'aggressione contro la Republika Srpska e l'RSK:

 - L'obiettivo era quello di satanizzare i serbi con presunte prove e presentarli come criminali, in modo che giustificassero l'aiuto alle autorità croate nella "Tempesta", e poi negli attacchi e nei bombardamenti della RS. È tutta una grande truffa e bugia che non si arrenderanno mai, perché poi si esporrebbero. Sanno che alcuni servizi occidentali sono stati direttamente coinvolti nei crimini di Srebrenica. Nascondono tutto questo e falsificano i fatti per proteggersi.

SRBI NISU POČINILI GENOCID U SREBRENICI


La disinformazione strategica su Srebrenica

Confessione sensazionale di Ibran Mustafic

Assolto Donatello Poggi

I vincitori del concorso "G. Torre" edizione 2020

PRIMA DI AIDA 

Srebrenica città tradita

Srebrenica. Le contraddizioni di un genocidio sancito a priori.

La figlia

Mi chiamo Jasmina signori e vengo dalla Jugoslavia

Un po' di ingiustizia .. tralalà....

Il parere di Andrea Martocchia

Srebrenica esce fuori la verità

Caos pianificato 

La verità su Srebrenica

Srebrenica, le contraddizioni di un genocidio sancito a priori 

La vera storia dietro Srebrenica

Izveštaj konačan – nije genocid


Per essere realistici, in quanto a Srebrenica, si dovrebbe parlare delle incursioni del criminale di guerra Naser Oric (bosniaco) che rase al suolo, nei mesi precedenti alla strage compiuta dai serbo bosniaci, 156 villaggi serbi uccidendo 3.283 civili (serbi); si dovrebbe parlare di come la zona dichiarata "protetta" dall'ONU fosse tutt'altro che smilitarizzata (migliaia di combattenti mujaheddin ben armati); si dovrebbero prendere ripetizioni di aritmetica, dato che gli 8.372 morti non tornano se si considera che ad inizio agosto 1995, l'OMS ed il governo bosniaco registrarono 35.632 cittadini, se si sommano i 2.000 combattenti musulmani morti, i 2.000 musulmani che hanno precedentemente guadagnato le linee "amiche" e gli oltre 8.000 trucidati, si arriva a circa 47.000.
Peccato che Srebrenica ne contasse, secondo il giudice del TPI Patricia Wald, 37.000.
Molte altre sarebbero le questioni, per così dire, poco chiare.

Consigliamo pertanto le seguenti letture:

- Il Corridoio: viaggio nella Jugoslavia in guerra - di J. Toschi Marazzani Visconti, La città del Sole, 2005;
- Srebrenica. Come sono andate veramente le cose - di Alexander Dorin e Zoran Jovanovic, Zambon, 2013;
- Il dossier nascosto del "genocidio" di Srebrenica - di Ivana Kerecki, La città del Sole, 2007;
- Imputato Milosevic. Il processo ai vinti e l'etica della guerra - di Massimo Nava, Fazi, 2002;
- In difesa della Jugoslavia. Il j'accuse di Slobodan Milosevic di fronte al "tribunale ad hoc" dell'Aja, Zambon, 2005;
- Imputato Milosevic. Il processo ai vinti e l'etica della guerra - di Massimo Nava, Fazi, 2002;
- In difesa della Jugoslavia. Il j'accuse di Slobodan Milosevic di fronte al "tribunale ad hoc" dell'Aja, Zambon, 2005;
- Uomini e non uomini. La guerra in Bosnia-Erzegovina nella testimonianza di un ufficiale jugoslavo - di Goran Jelesic, Zambon, 2013


La Corte ha stabilito che quello che avvenne fu un genocidio ad opera di singole persone, ma che lo Stato Serbo non può essere ritenuto direttamente responsabile per genocidio e complicità per i fatti accaduti nella guerra civile in Bosnia-Erzegovina dal 1992 al 1995, fra i quali rientra la strage di Srebrenica.

venerdì 25 giugno 2021

Giustizia a geometria variabile del Tribunale dell'Aja



 Il 2 luglio del 1992 i croato-bosniaci proclamarono la Hrvatska Republika Herceg-Bosna disseppellendo l’antico vessillo della Šahovnica (scacchiera) Ustaša in memoria del filo-nazista Ante Pavelić. Verso la fine del 1992, gli Stati Uniti presero a sostenere finanziariamente e politicamente il candidato Milan Panić (facoltoso uomo d’affari statunitense d’origini serbe) contro Slobodan Milošević, ma l’inaspettata riconferma elettorale di quest’ultimo scompaginò i loro piani. Mentre l’inflazione jugoslava, dovuta in larghissima parte all’embargo, cresceva alle stelle, il fronte croato-musulmano del Consiglio di Difesa Croato si spaccò in due fazioni interessate entrambe ad assumere il controllo di Mostar. Nell’arco del biennio 1992-1994 i combattimenti provocarono vittime in entrambi gli schieramenti finché i croati non ottennero l’appoggio diretto di Tuđman , a beneficio del quale iniziarono ad affluire ulteriori rifornimenti bellici dalla Germania. Una volta conquistata la soverchiante superiorità militare, le milizie croate si abbandonarono a numerose stragi a danno della popolazione musulmana, senza che né il loro comandante Milivoj Petković né il presidente della Hrvatska Republika Herceg-Bosna Mate Boban né il primo ministro croato Franjo Tuđman venissero successivamente chiamati a rispondere degli eccidi. La cosa non deve stupire, dal momento che la giustizia a geometria variabile rappresenta la funzione essenziale del Tribunale Penale Internazionale dell’Aja, vero e proprio strumento giudiziario per legittimare la politica estera degli Usa (al quale non aderiscono, pur avendolo finanziato e appoggiato politicamente). Al riguardo, lo studioso Fabio Falchi tiene a porre particolare enfasi sulle «assoluzioni del noto “thug” bosgnacco Naser Orić e, il 16 novembre 2012, di due ex generali croati, Ante Gotovina e Mladen Markac, responsabili dell’uccisione di 324 civili e dell’espulsione di oltre 90.000 persone, azioni che secondo i giudici dell’Aia furono “legittimi atti di guerra”. Queste sentenze hanno suscitato scandalo, ma in realtà erano “politicamente corrette”, anche perché la Croazia sarebbe dovuta entrare nella Ue il 1° luglio del 2013. Riguardo al Tribunale penale internazionale dell’Aia per la ex Iugoslavia sono da ricordare le assoluzioni del noto “thug” bosgnacco Naser Orić e, il 16 novembre 2012, di due ex generali croati, Ante Gotovina e Mladen Markač, responsabili dell’uccisione di 324 civili e dell’espulsione di oltre 90.000 persone, azioni che secondo i giudici dell’Aja furono “legittimi atti di guerra”. Queste sentenze hanno suscitato scandalo, ma in realtà erano “politicamente corrette”, anche perché la Croazia sarebbe dovuta entrare nell’Unione Europea il 1° luglio del 2013».

Guerra jugoslava, cronache di una catastrofe preparata a tavolino
di Giacomo Gabellini 4.12.2017


INIZIO DELLA SECESSIONE DALLA JUGOSLAVIA


 



 Il 22 dicembre 1990, il parlamento croato proclamò unilateralmente l’indipendenza e promulgò una nuova Costituzione tutta incentrata sul principio fondamentale, prego di richiami alla celeberrima Dottrina Monroe, della “Croazia ai croati”. Nell’ottobre del 1991 il governo guidato dal presidente Franjo Tuđman decretò l’espulsione di circa 30.000 serbi dalla Slavonia e dalla Krajina, mentre la Guardia Nazionale Croata occupava Vukovar. L’esercito federale cinse d’assedio la città prima di procedere all’attacco, infliggendo pesanti perdite agli assediati che vennero costretti alla resa. Nel frattempo, la Macedonia otteneva l’indipendenza (17 settembre 1991) grazie ad un accordo stipulato tra il primo ministro Kiro Gligorov e il presidente della Federazione Jugoslava Slobodan Milošević, mentre la Slovenia decise di ispirarsi all’esperienza croata per proclamare a sua volta (25 giugno 1991), l’indipendenza da Belgrado sulla medesima base etnica. A differenza di quanto accaduto in Croazia, il piccolo esercito sloveno riuscì a tener brillantemente testa alle milizie federali, provocando pesanti perdite. Le secessioni proclamate unilateralmente da Croazia e Slovenia e il successo ottenuto da quest’ultima nel conflitto contro le truppe inviate dal governo di Belgrado non potevano che alimentare le spinte centrifughe interne alla Jugoslavia, favorendo implicitamente l’estensione a macchia d’olio della guerra civile.

Di fronte all’acuirsi della crisi balcanica, l’Europa di Maastricht si spaccò. Il 23 dicembre 1991 la Germania, che nutriva corposi interessi economici in Croazia, riconobbe l’indipendenza dei governi di Zagabria e Lubiana, in aperta violazione del principio, stabilito da una commissione presieduta dal celebre giurista francese Robert Badinter, che imponeva il non riconoscimento degli Stati proclamatisi indipendenti in maniera violenta, unilaterale e (soprattutto) su basi etniche. La mossa non destò eccessivo stupore, visto e considerato che, nel 1988, una delegazione governativa formata dal cancelliere Helmut Kohl, dal ministro degli Esteri Hans Dietrich Genscher e da una serie di alti funzionari aveva incontrato sia Franjo Tuđman che il presidente sloveno Milan Kučan per coordinare una linea operativa – sostenuta finanziariamente dalla Germania – votata allo smembramento della Jugoslavia e alla contestuale creazione di una serie di Stati indipendenti nei confronti dei quali dispiegare la penetrazione economica tedesca. Già negli anni ’30, la Germania è aveva cercato insistentemente di ricavare il proprio lebensraum (spazio vitale) attraverso una drang nach osten (spinta verso est) dalla forte connotazione economica. L’obiettivo era quello di creare «un blocco economico autosufficiente che corra da Bordeaux a Odessa, lungo la spina dorsale d’Europa» in cui l’apparato produttivo tedesco avrebbe avuto modo di realizzare la propria “penetrazione pacifica”. A elaborare tale visione era stato nientemeno che Carl Duisberg, direttore della Ig Farben nonché membro di primissimo piano del Mitteleuropaeischen Wirthschaftstag (Mtw), un centro studi di cui facevano parte, tra gli altri, anche i rampolli della famiglia Krupp (grandi produttori d’acciaio), i proprietari delle società carbonifere della Ruhr, gli junker della Prussia orientale, il direttore della Dresdner Bank Carl Götz e il leader della Deutsche Bank Hermann Abs. Si tratta del gotha della finanza e della grande industria tedesca che finanziò generosamente l’ascesa al potere di Hitler. A partire dagli anni ’80, la Germania ha deciso di rilanciare il vecchio progetto concepito dal Mtw, attrezzandosi per costruire nel cuore dell’Europa un enorme blocco manifatturiero integrato da includere in una rete produttiva a maglie strettissime. Si trattava, in altre parole, di far gravitare le aree produttive dei Paesi limitrofi – a basso impatto salariale e a cambi depressi (l’introduzione dell’euro è stata, sotto questo aspetto, la ciliegina sulla torta) – attorno all’hub industriale tedesco, rifornendolo della componentistica dal basso valore aggiunto. Per imporre il disegno tedesco all’area balcanica, occorreva in primo luogo approfittare del disimpegno forzato dell’Urss, sconvolta da un marasma politico, economico e sociale senza precedenti, per implementare una strategia diplomatica finalizzata allo smantellamento dell’assetto statale jugoslavo attraverso l’appoggio alle frange secessioniste locali.

Nell’immediato, la conseguenza fu i serbi di Croazia proclamarono unilateralmente la nascita della Repubblica Serba di Krajina (24 dicembre) richiamandosi al medesimo diritto di autodeterminazione dei popoli precedentemente accolto dalla Germania nei confronti dei croati. La situazione di caos venutasi a creare (anche) a causa dell’atteggiamento tedesco andò rapidamente aggravandosi per effetto dell’intervento del Vaticano, che decise di legittimare le rivendicazioni indipendentiste avanzate dalle cattoliche Slovenia e Croazia al duplice scopo di assestare un colpo micidiale all’odiato regime di ispirazione comunista e porre le basi per il ritorno alla Chiesa dei beni ecclesiastici che erano stati nazionalizzati dalla Jugoslavia subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Il 15 gennaio del 1992, Slovenia e Croazia ottennero il riconoscimento da parte tutti i Paesi firmatari del Trattato di Maastricht.

Guerra jugoslava, cronache di una catastrofe preparata a tavolino
di GIacomo Gabellini 4.12.2017

QUANTO E' SEMPLICISSIMO DISTRUGGERE UNO STATO



 La prima mossa varata in questo senso dall’amministrazione Reagan fu quella di emanare due direttive per la sicurezza nazionale che inquadravano come obiettivo strategico l’integrazione della Federazione Jugoslava nella Comunità Europea e l’apertura del Paese all’economia capitalista, indicando i metodi operativi attraverso cui promuovere questa “transizione”. Nel 1989 il presidente George Bush sr., succeduto l’anno prima a Reagan, convocò il primo ministro jugoslavo Ante Marković, per costringerlo a smantellare l’assetto politico ed economico vigente in favore di un sistema democratico fondato sull’economia di mercato, pena l’estromissione della Jugoslavia dal circuito finanziario della Banca Mondiale e del Fmi. Una volta ottenuto l’assenso di Belgrado, il Fmi erogò un prestito necessario a finanziare la conversione economica della Jugoslavia, da attuare mediante l’implementazione di un rigido programma di austerità, comprensivo di una drastica contrazione dei salari ai lavoratori e dei sussidi alle industrie, di un poderoso taglio dei dipendenti pubblici, della privatizzazione delle aziende statali e della svalutazione della moneta. Nell’arco del primo semestre del 1990 si intravidero i primi risultati della shock therapy, con un aumento esorbitante dell’inflazione e un crollo dei salari pari al 41%. Nei nove mesi che vanno dal gennaio al settembre 1990, la ricetta applicata dal Fmi fece sì che ben 889 aziende venissero sottoposte a procedure fallimentari e oltre 500.000 lavoratori perdessero la propria occupazione. Con la Banca Centrale jugoslava commissariata dal Fmi, lo Stato fu inoltre privato della facoltà finanziare i programmi economici e d’intervento sociale. Le entrate fiscali che sarebbero dovute essere trasferite alle varie repubbliche e province autonome furono invece impiegate per onorare il debito estero precedentemente contratto, come imposto dalla Banca Mondiale. Come scrive in proposito il professor Michel Chossudovsky, «con un solo colpo i riformatori avevano preparato il crollo finale della struttura fiscale federale della Jugoslavia e ferito mortalmente le sue istituzioni politiche federali. Tagliando le arterie finanziarie tra Belgrado e le repubbliche, le riforme alimentarono tendenze secessioniste basate sia su fattori economici sia su divisioni etniche, creando una situazione di “secessione de facto” delle repubbliche».

La Serbia si oppose frontalmente al piano di austerità targato Fmi e oltre 600.000 lavoratori serbi scioperarono contro il governo federale per protestare contro la riduzione dei salari. Tanto il leader serbo Slobodan Milošević quanto quello croato Franjo Tuđman si unirono ai lavoratori serbi per opporsi ai tentativi di Marković volti ad imporre le riforme raccomandate dal Fondo Monetario Internazionale. A riversare ulteriore benzina sul focolaio jugoslavo, riattizzato ad arte dalla “terapia d’urto” elaborata da Banca Mondiale e Fmi, intervenne direttamente il Congresso, che il 5 novembre 1990 approvò una legge proposta dal senatore Bob Dole, la quale prevedeva la sospensione degli aiuti economici alla Jugoslavia e vincolava la riattivazione del flusso dei finanziamenti all’organizzazione di elezioni multipartitiche da tenere separatamente in ogni repubblica membra della federazione. La normativa contemplava anche, tra le altre cose, di sostenere economicamente i movimenti secessionisti che miravano alla separazione del Paese su basi etniche. Come era ampiamente prevedibile, le elezioni videro le frange secessioniste sovrastare i comunisti in Croazia, Bosnia e Slovenia. «Come il collasso economico stimolò la deriva verso la separazione – scrive ancora Chossudovsky – a sua volta la separazione esacerbò la crisi economica. La cooperazione tra le repubbliche di fatto cessò, e con le repubbliche che si azzannavano a vicenda, l’economia e la nazione stessa entrarono in una spirale viziosa che puntava irrimediabilmente verso il basso». Il pericoloso “avvitamento” descritto da Chossudovsky era inesorabilmente destinato a sfociare in un’escalation di violenza in nome del diritto di autodetermina­zione dei popoli, consacrato nel 1918 dal presidente Usa Woodrow Wilson e tornato in voga in seguito alla disgregazione dell’Unione Sovietica. Il primo atto della tragedia jugoslava coincise con l’adozione, nel lu­glio del 1990, di una nuova Costituzione da parte del Parlamento lo­cale del Kosovo, che conferiva alla regione il rango di Repubblica e riconosceva alla minoranza albanese i diritti di una nazione auto­noma. L’atto venne percepito dai nazionalisti serbi come un affronto, visto che l’anno precedente, in occasione del seicentesimo anniversa­rio della battaglia di Kosovo Polje (combattuta nel 1389 tra serbi e ottomani e risultata decisiva per la forma­zione della coscienza collettiva del popolo serbo), il presidente Miloševič aveva pronunciato un discorso in cui si ribadiva l’inviolabilità dei confini e l’integrità statale, nazionale e spirituale jugoslava di fronte a circa un milione di persone che erano convenute alla “Piana dei Merli” (que­sto è il significato di Kosovo Polje) per ascoltarlo. Le autorità di Belgrado decisero quindi di sciogliere il Parlamento koso­varo per assumere direttamente le redini della regione, innescando così quel pericoloso meccanismo disgregativo che si inten­deva prevenire.

giovedì 24 giugno 2021

LA VERITA' SU SREBRENICA

 



Parallelamente, le milizie serbo-bosniache comandate dal generale Ratko Mladic mossero verso Srebrenica, cittadina ricca di giacimenti argentiferi collocata in una posizione altamente strategica, al centro della dorsale che costeggia ad ovest la Drina. Da questo piccolo centro urbano partivano molte delle incursioni attraverso cui i le milizie islamiste comandate dall’ex ufficiale dell’esercito bosniaco Naser Orić devastavano i villaggi serbi – clamoroso il massacro di serbi, puntualmente ignorato, compiuto dalle forze musulmane presso la cittadina serba di Kravica il 7 gennaio 1993 (data del Natale ortodosso) –, nonostante l’intera area territoriale fosse ufficialmente qualificata come “zona di sicurezza” smilitarizzata, sotto la supervisione dell’Onu. «Le operazioni – si legge all’interno di un rapporto redatto dal battaglione olandese incaricato di sorvegliare l’area per conto delle Nazioni Unite – erano relativamente imprevedibili perché le unità erano quasi senza addestramento e piuttosto indisciplinate. Le forze musulmane attaccavano sistematicamente dall’enclave prima di ripiegare nel territorio protetto delle Nazioni Unite. Inutile aggiungere che l’Unprofor, come i civili, erano utilizzati come scudi umani». Prima di conquistare la cittadina, Mladic incaricò un intermediario dell’Unprofor di intimare alle forze musulmane che si trovano all’interno del perimetro della zona smilitarizzata di deporre le armi, promettendo loro un trattamento conforme alle convenzioni di Ginevra e accettando di sottoporre il tutto alla supervisione dell’Onu. Il comando musulmano rispedì la proposta al mittente, limitandosi ad inviare donne, bambini ed anziani verso la base delle Nazioni Unite situata a Potočari. Una volta ultimata l’evacuazione – la cui regolarità in termini di diritto internazionale venne certificata sia da personale Onu, sia dai rappresentanti dell’esercito della Republika Srpska che da quelli musulmani – i guerriglieri rimasti sconfinarono nel territorio della Republika Srpska tentando di raggiungere l’enclave di Tuzla al fine di ricongiungersi alla 2° armata dell’esercito musulmano cui gli Stati Uniti forivano segretamente strumentazioni ed equipaggiamenti che consentivano alle forze islamiste di coordinare operazioni offensive. Le forze comandate da Mladic riuscirono tuttavia a intercettare il manipolo di guerriglieri, provocando una carneficina. Nonostante ciò, il 2° corpo dell’esercito musulmano si astenne dall’intervenire, sacrificando scientemente il cospicuo gruppo di miliziani penetrati nella Republika Srpska allo scopo di permettere al comandante della 28° divisione Naser Orić e ai suoi ufficiali più stretti di abbandonare Srebrenica, sfuggendo alle forze di Mladic. Così, Mladic non incontrò alcuna difficoltà nel conquistare la città, rammaricandosi tuttavia per non esser riuscito a catturare Orić. Quest’ultimo, nella fretta di abbandonare Srebrenica, non era riuscito a portare con sé la vasta documentazione che rivelava per filo e per segno gli spaventosi crimini di cui egli stesso e i suoi sottoposti si erano resi responsabili.

La storiografia ufficiale afferma che a Srebrenica le truppe comandate da Mladic si siano abbandonate a un efferato massacro di 8.000 civili, malgrado il conto delle presunte vittime scaturisse dalla mera sommatoria tra i 3.000 prigionieri catturati dalle forze serbo-bosniache e i 5.000 dispersi – gran parte dei quali vennero identificati in seguito – indicati in un rapporto stilato dalla Croce Rossa dietro suggerimento di Izetbegović , che si rifiutò sia di fornire l’elenco dei nominativi scomparsi, sia di organizzare un apposito censimento. «Se le autorità musulmane – osserva il presidente della Fondazione per la Ricerca sul Genocidio Milan Bulajic – avessero voluto veramente conoscere il numero delle vittime, avrebbero potuto organizzare nel 1996 un censimento della popolazione e compararlo con quello del 1991. Ma questo non è stato fatto perché, con quel censimento, il numero degli uccisi sarebbe emerso con precisione. Non è stato fatto nemmeno nel 2001, sebbene la legge stabilisca l’obbligatorietà di realizzare un censimento ogni dieci anni, perché sarebbe venuto fuori quanti serbi erano stati uccisi a Sarajevo e a Srebrenica. La Bosnia-Erzegovina è così rimasto il solo Paese nella regione a non aver provveduto a un censimento della popolazione […]. Forse non c’era l’intenzione di accertare una verità che avrebbe rivelato che un genocidio è stato perpetrato in 192 villaggi serbi della regione di Srebrenica e che il numero di serbi scomparsi o uccisi a Sarajevo era maggiore di quello dei musulmani scomparsi o uccisi a Srebrenica. Ecco perché affermo che a Srebrenica non c’è stato genocidio. Ci sono stati dei crimini di guerra da ambedue le parti». Numerosi cittadini serbi residenti nei dintorni della cittadina bosniaca denunciarono inoltre – senza ottenere la minima attenzione da parte delle autorità competenti – violenze commesse contro le loro famiglie dai guerriglieri musulmani, gettando un’ombra sulla identità dei cadaveri mostrati dai bosgnacchi. La Commissione Internazionale per le Persone Scomparse (Icmp) fondata per volontà diretta del presidente Clinton, sostenne di aver identificato, sottoponendoli alla prova del Dna, oltre 6.000 cadaveri uccisi a Srebrenica dalle forze di Mladic, ma quando il legale dell’imputato Radovan Karadžić richiese la trasmissione della documentazione relativa alle presunte identificazioni, l’Icmp oppose un secco rifiuto adducendo ragioni legate alla privacy dei (presunti) parenti delle vittime. L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti dell’uomo Henry Wieland affermò che i suoi uomini non avevano raccolto alcuna prova in grado di accertare le presunte esecuzioni di massa a danno dei musulmani di cui erano accusati i serbi.

Molti dei corpi spacciati da Izetbegović per “vittime di Srebrenica” rappresentavano in realtà i cadaveri dei miliziani musulmani deceduti nel corso delle battaglie contro le forze serbo-bosniache di Mladic. Il paragrafo 115 del rapporto redatto da una commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite il 15 novembre 1999 rivela inoltre l’esistenza, confermata anche dal capo della polizia di Srebrenica, di un negoziato segreto in cui Clinton pose una strage di almeno 5.000 musulmani come precondizione per l’intervento diretto della Nato contro la Repubblica Srpska. E mentre un’ondata di fuoco mediatico cominciava a bersagliare incessantemente i serbi e i loro leader politici Slobodan Milošević, Radovan Karadžić e Milan Martić, nessun resoconto giornalistico fu pubblicato per far luce sui massacri compiuti nei territori di Brantunac dai membri dell’Armata della Repubblica di Bosnia-Erzegovina comandata da Naser Orić, coadiuvata da mujaheddin musulmani provenienti dall’intera galassia islamica e assistita da agenzie private messe a disposizione di Izetbegović come la Military Professional Resources Inc. finanziata da Stati Uniti, Arabia Saudita e Malaysia. «A posteriori – osserva l’esperto analista John Schindler –, appare sorprendente che Izetbegović e la Sda siano riusciti a celare tali crimini e a dipingersi come vittime davanti all’Occidente. Come i musulmani siano riusciti a demonizzare i propri nemici e ad ottenere il sostegno dell’Occidente cristiano, ed in particolare degli Stati Uniti, nella loro guerra per l’Islam, rappresenta forse la più straordinaria e sconfortante saga della guerra civile bosniaca».

Tratto dal web


Alessandro Barbero: la storia

Luci ed ombre a Srebrenica

Prima di Aida

Srebrenica, le contraddizioni di un genocidio sancito a priori

5 luglio 1992

Un po' di ingiustizia .. tralala..

Concorso G.Torre. Saggi di analisi critica sul Tribunale dell'Aja

Pagiana realtiva alla disinformazione sul caso Srebrenica

Kravica, una strage impunita

Confessione sensazionale di Mustafic'

Donatello Poggi assolto da Losanna

La biblioteca di Pandora: "Srebrenica, come sono andate veramente le cose"

Giuseppe Zambon dice la verità

Al 22° minuto si dice che l'America paga il tribunale  e già qui è chiaro di che giustizia parliamo 

Srebrenica, la menzogna del massacro

Commissione di indagine su Srebrenica

Izveštaj konačan – nije genocid

In difesa della Jugoslavia

Sinisa lo zingaro

"Giudizio ipocrita". Zhakarova sulla sentenza Mladic

"Mladic è un capro espiatorio per coprire i crimini della NATO"

Markale . False flag

La verità su Srebrenica. Madre Russia


Ma veramente quello che viene raramente messo in discussione, il problema più importante, è di sapere quanti fra quelli siano stati giustiziati, essendo dato che molti dei corpi ritrovati nelle sepolture sul posto sono di vittime dei combattimenti, e che una gran parte dei musulmani Bosniaci che erano scappati dalla città sono arrivati senza intoppi in territorio bosniaco musulmano. Alcuni cadaveri riesumati sono perfino dei numerosi Serbi ammazzati nel corso di razzie effettuate dai musulmani Bosniaci, mentre se ne andavano da Srebrenica nel corso degli anni che hanno preceduto il luglio 1995.

Comunque, esistono tre elementi che avrebbero dovuto sollevare dei pesanti interrogativi a proposito del massacro, a quell’epoca e ancor oggi, cosa che non è mai avvenuta.
Il primo è che il massacro ha soddisfatto molto opportunamente le necessità politiche del governo Clinton, dei musulmani Bosniaci e dei Croati.
Il secondo è che già in precedenza si era tenuto conto, prima di Srebrenica (e si è continuato a farlo anche in seguito), di una serie di pretese atrocità serbe, rivelate regolarmente nei momenti strategici in cui si preparava un intervento violento degli Stati Uniti e del blocco della NATO, e perciò vi era la necessità di un solido sostegno dell’opinione pubblica e di relazioni pubbliche, atrocità che in seguito venivano dimostrate essere mai avvenute.
Il terzo è che le prove di un tale massacro, di almeno 8.000 fra giovani e uomini adulti, sono sempre state per lo meno poco attendibili.

Alcuni personaggi autorevoli musulmano-Bosniaci hanno dichiarato che il loro presidente, Alija Izetbegovic, aveva loro comunicato che Clinton aveva avvertito che l’intervento avrebbe avuto luogo solamente nel caso in cui i Serbi avessero ammazzato a Srebrenica più di 5.000 persone. [4]  L’abbandono di Srebrenica da parte di una forza militare ben più consistente di quella degli attaccanti, e la ritirata che aveva reso vulnerabile questa forza superiore e che aveva comportato moltissime vittime in combattimento o nelle rese dei conti, avevano permesso di arrivare a quelle cifre che corrispondevano, più o meno, al criterio di Clinton.

Esistono le prove che la ritirata di Srebrenica non derivava da alcuna necessità militare, ma corrispondeva ad una decisione strategica, secondo la quale le perdite incorse erano un sacrificio obbligatorio in favore di una causa più importante. 

Le autorità Croate erano entusiaste di vedere che si svelava un massacro avvenuto a Srebrenica, poiché questo stornava l’attenzione dallo loro devastante pulizia etnica nella Bosnia occidentale, avvenuta ben prima, a spese dei Serbi e dei Musulmani di Bosnia, (pressoché completamente ignorata dai media Occidentali). [6] E questo avrebbe fornito una giustificazione per l’espulsione già pianificata di molte centinaia di migliaia di Serbi dalla regione della Krajina, in Croazia.
Questa operazione di pulizia etnica massiccia è stata condotta con l’approvazione degli Stati Uniti e il loro sostegno logistico, appena un mese dopo gli avvenimenti di Srebrenica, e ha probabilmente causato la morte di molti civili Serbi, che non avevano nulla a che vedere con le uccisioni di civili Bosniaci musulmani, avvenute in luglio nel settore di Srebrenica.

Dopo il suo esordio, il TPI è stato il braccio giuridico delle potenze della NATO che lo hanno creato, finanziato, utilizzato come strumento di polizia e di informazione, e di cui in contraccambio hanno beneficiato dei servigi che si aspettavano.[10]
Il TPI si è concentrato intensamente su Srebrenica e ha raccolto sedicenti conferme importanti, indipendenti dalla realtà del massacro, accompagnate da affermazioni di “genocidio” pianificato “utilizzabili in ambito giudiziario”.

solleviamoci.wordpress.com/2011/05/29/quale-verita-mladic-nulla-a-che-fare-con-srebrenica-srebrenica-il-dossier-nascosto/


Tokača sottolinea quanto sia importante che la società bosniaca si liberi dal mito della propria tragedia. "La Bosnia è stata vittima di un mito e di narrazioni mitiche. Se continuiamo a perpetuare il mito sulla nostra società, a giocare con i numeri delle vittime e a diffondere bugie, finiremo per riprodurre le dinamiche che sono sfociate nella guerra contro la Bosnia Erzegovina e contro la sua struttura sociale e culturale". Atlante dei crimini di guerra, pubblicato da Osservatorio Balcani e Caucaso il 3/6/2019






Ajmo ovako: u Srebrenici se dogodio ratni zločin, a ne genocid. Zločin koji su činile uglavnom paravojne formacije, MUP Republike srpske i bezbednosne službe, koje nisu bile pod direktnom Mladićevom komandom. Mladiću se može suditi za zarobljavanje pripadnika UNPROFOR-a, a za Srebrenicu teško i po komandnoj odgovornosti. Haški tribunal je ništa drugo do instrument anti-srpske histerije, sa jasnom agendom da se Srbi kao narod stigmatizuju i proglase jedinim krivcem za rat na prostorima bivše Jugoslavije, budući da za zločine nad srpskim življem niko nije odgovarao, ni za žrtve ratova 1991-1995. ni za ubijene i nestale tokom sukoba na Kosovu i Metohiji 1997-1999. Haški tribunal je sve osim pravde i pomirenja za ove prostore. Jedini način za pomirenje i suočavanje sa prošlošću jeste priznanje da je raspad Jugoslavije bio istorijska greška, kao i utvrđivanje tačnog broja ljudskih žrtava svih zaraćenih strana. Nakon što se utvrde brojevi, pošteno i pravedno bi bilo da se nacionalne vođe najponiznije izvine prvo sopstvenim, a onda i svim ostalim narodima.

A Srebrenica si è verificato un crimine di guerra, non un genocidio. Un reato commesso da formazioni per lo più paramilitari, il MUP della Republika Srpska e i servizi di sicurezza, che non erano al comando diretto di Mladić. Egli può essere processato per la prigionia dei membri dell'UNPROFOR, e per Srebrenica difficilmente sotto la responsabilità del comando. Il tribunale dell'Aia non è altro che uno strumento di isteria anti serba, con un chiaro programma per i serbi da stigmatizzare come popolo e dichiararsi l'unico colpevole per la guerra nelle aree dell'ex Jugoslavia, visto che nessuno è stato ritenuto responsabile per i crimini contro la vita serba, né per le vittime delle guerre del 1991-1995. né per coloro che sono stati uccisi e dispersi durante il conflitto Kosovo e Metohija nel 1997-1999. Il tribunale dell'Aia è tutt'altro che giustizia e riconciliazione per queste aree. L ' unico modo per riconciliarsi e affrontare il passato è ammettere che lo scioglimento della Jugoslavia è stato un errore storico, nonché determinare il numero esatto delle vittime umane di tutti i partiti in guerra. Dopo che i numeri sono stati determinati, sarebbe giusto e solo per i leader nazionali chiedere umilmente scusa prima ai propri e poi a tutte le altre nazioni.



L' Assemblea municipale di Srebrenica ha adottato una risoluzione sulla sofferenza del popolo serbo a Srebrenica nel XX secolo e ha condannato tutti i crimini commessi in quel periodo contro i serbi e i membri di tutti i popoli dell'ex Jugoslavia. I consiglieri serbi hanno votato per quella decisione, dopo che i bosgnacchi hanno lasciato la sessione dopo un lungo dibattito, ha riferito RTRS.
L'iniziativa per l'adozione della risoluzione è stata presentata dal vicepresidente dell'Assemblea municipale, Radomir Pavlović, il quale ha affermato che il documento dovrebbe mostrare l'entità della sofferenza del popolo serbo e condannare i crimini commessi contro i serbi nel 20. secolo.
In questo modo, vogliamo dimostrare che è ingiustificato dichiarare il popolo serbo genocida dopo tante vittime e la sua lotta difensiva, libertaria ed eterna dalla parte dei vincitori contro gli invasori, ha affermato Pavlović.
Il consigliere SDS e presidente di quel partito a Srebrenica, Momcilo Cvjetinovic, ha spiegato che la Risoluzione si basa su fatti scientifici sulla sofferenza del popolo serbo di Srebrenica in tutte le guerre del XX secolo, e ha indicato come esempio che ben 70 il percento della popolazione serba di questo comune morì nella seconda guerra mondiale.
Ha sottolineato che, nonostante il fatto che più di 3.000 serbi di questa zona siano stati uccisi nell'ultima guerra, il popolo serbo sta ancora cercando di essere satanizzato e dichiarato genocida e le sue vittime di essere umiliate, il che è inaccettabile.
Si è concluso che il testo della risoluzione sia trasmesso all'Assemblea nazionale della Republika Srpska affinché prenda posizione in merito.
Il documento sarà trasmesso al Parlamento del Montenegro affinché possa conoscere la sofferenza serba a Srebrenica, con la valutazione che avrebbero dovuto farlo prima della recente adozione della Risoluzione su Srebrenica, quando hanno completamente ignorato le vittime serbe.
Tratto da Riponderare i Balcani

Guerra jugoslava, cronache di una catastrofe preparata a tavolino

 




Di Giacomo Gabellini

Ex Jugoslavia: una storia recente ma poco conosciuta.
Un popolo usato come laboratorio di geopolitica, il test pilota delle moderne metodiche di aggressione.
Le recenti condanne decretate del Tribunale Penale Internazionale dell’Aja contro il generale serbo-bosniaco Ratko Mladic e il generale croato Slobodan Praljak (suicidatosi al momento della sentenza ingurgitando una dose di veleno) hanno riportato al centro dell’attenzione il conflitto jugoslavo protrattosi per la prima metà degli anni ’90. Si tratta guerra assai poco compresa dagli europei, su cui vale la pena di accendere i riflettori in maniera meno interessata e politicamente corretta di quanto si sia fatto finora.
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La Serbia si oppose frontalmente al piano di austerità targato Fmi e oltre 600.000 lavoratori serbi scioperarono contro il governo federale per protestare contro la riduzione dei salari. Tanto il leader serbo Slobodan Milošević quanto quello croato Franjo Tuđman si unirono ai lavoratori serbi per opporsi ai tentativi di Marković volti ad imporre le riforme raccomandate dal Fondo Monetario Internazionale. A riversare ulteriore benzina sul focolaio jugoslavo, riattizzato ad arte dalla “terapia d’urto” elaborata da Banca Mondiale e Fmi, intervenne direttamente il Congresso, che il 5 novembre 1990 approvò una legge proposta dal senatore Bob Dole, la quale prevedeva la sospensione degli aiuti economici alla Jugoslavia e vincolava la riattivazione del flusso dei finanziamenti all’organizzazione di elezioni multipartitiche da tenere separatamente in ogni repubblica membra della federazione. La normativa contemplava anche, tra le altre cose, di sostenere economicamente i movimenti secessionisti che miravano alla separazione del Paese su basi etniche.
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Il 22 dicembre 1990, il parlamento croato proclamò unilateralmente l’indipendenza e promulgò una nuova Costituzione tutta incentrata sul principio fondamentale, prego di richiami alla celeberrima Dottrina Monroe, della “Croazia ai croati”. Nell’ottobre del 1991 il governo guidato dal presidente Franjo Tuđman decretò l’espulsione di circa 30.000 serbi dalla Slavonia e dalla Krajina, mentre la Guardia Nazionale Croata occupava Vukovar. L’esercito federale cinse d’assedio la città prima di procedere all’attacco, infliggendo pesanti perdite agli assediati che vennero costretti alla resa. Nel frattempo, la Macedonia otteneva l’indipendenza (17 settembre 1991) grazie ad un accordo stipulato tra il primo ministro Kiro Gligorov e il presidente della Federazione Jugoslava Slobodan Milošević, mentre la Slovenia decise di ispirarsi all’esperienza croata per proclamare a sua volta (25 giugno 1991), l’indipendenza da Belgrado sulla medesima base etnica. A differenza di quanto accaduto in Croazia, il piccolo esercito sloveno riuscì a tener brillantemente testa alle milizie federali, provocando pesanti perdite.
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Nell’immediato, la conseguenza fu i serbi di Croazia proclamarono unilateralmente la nascita della Repubblica Serba di Krajina (24 dicembre) richiamandosi al medesimo diritto di autodeterminazione dei popoli precedentemente accolto dalla Germania nei confronti dei croati. La situazione di caos venutasi a creare (anche) a causa dell’atteggiamento tedesco andò rapidamente aggravandosi per effetto dell’intervento del Vaticano, che decise di legittimare le rivendicazioni indipendentiste avanzate dalle cattoliche Slovenia e Croazia al duplice scopo di assestare un colpo micidiale all’odiato regime di ispirazione comunista e porre le basi per il ritorno alla Chiesa dei beni ecclesiastici che erano stati nazionalizzati dalla Jugoslavia subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Il 15 gennaio del 1992, Slovenia e Croazia ottennero il riconoscimento da parte tutti i Paesi firmatari del Trattato di Maastricht.
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Dopo la morte di Tito, Izetbegović ristrutturò l’Sda attuando una serie di purghe interne, servendosi delle moschee come centri di reclutamento per guerriglieri e allacciando rapporti con la formazione mafiosa paramilitare comandata da Jusuf Prazina e con lo psicopatico Mušan Topalović (meglio noto come Caco), nonché con il Vevak (intelligence iraniana), con il Gruppo Islamico Armato (Gia) algerino, con Hezbollah, con l’Arabia Saudita, con la Turchia e con le forze legate ad al-Qaeda beneficiando del “lavoro sporco” svolto da Ong e istituti bancari di copertura. All’interno del proprio manifesto politico, Izetbegović aveva apertamente dichiarato di auspicare «la creazione di una grande federazione islamica dal Marocco all’Indonesia, dall’Africa nera all’Asia centrale», sostenendo che «non ci può essere pace o coesistenza tra la fede dell’Islam e la fede e le istituzioni non islamiche».
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Ispirandosi a ideali del genere e potendo contare sui numerosi alleati internazionali in grado di mettere a sua disposizione guerriglieri e armamenti (i musulmani e i croati disponevano, grazie agli aiuti concessi in primis dagli Stati Uniti, di molte più armi rispetto ai serbi), Izetbegović si erse a guida del Jihad bosniaco e organizzò un referendum per l’indipendenza bosniaca nel febbraio del 1992, malgrado ciò violasse palesemente la Costituzione nazionale in quanto proclamato in assenza di qualsiasi consultazione preliminare con tutte le componenti etniche. Al referendum parteciparono soltanto le componenti croate e musulmane, che decretarono la secessione. I serbi della Bosnia-Erzegovina emularono tale atteggiamento in riferimento alla Republika Srpska, conformemente alle direttive politiche proclamate dal nazionalista Radovan Karadžić. L’acuirsi della tensione spinse la Comunità Europea ad indire, il 18 marzo del 1992, la Conferenza di Lisbona, nel corso della quale le parti in causa sottoscrissero il piano Cutileiro, che prevedeva di cantonalizzare la Bosnia-Erzegovina.
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Il 2 luglio del 1992 i croato-bosniaci proclamarono la Hrvatska Republika Herceg-Bosna disseppellendo l’antico vessillo della Šahovnica (scacchiera) Ustaša in memoria del filo-nazista Ante Pavelić. Verso la fine del 1992, gli Stati Uniti presero a sostenere finanziariamente e politicamente il candidato Milan Panić (facoltoso uomo d’affari statunitense d’origini serbe) contro Slobodan Milošević, ma l’inaspettata riconferma elettorale di quest’ultimo scompaginò i loro piani. Mentre l’inflazione jugoslava, dovuta in larghissima parte all’embargo, cresceva alle stelle, il fronte croato-musulmano del Consiglio di Difesa Croato si spaccò in due fazioni interessate entrambe ad assumere il controllo di Mostar. Nell’arco del biennio 1992-1994 i combattimenti provocarono vittime in entrambi gli schieramenti finché i croati non ottennero l’appoggio diretto di Tuđman , a beneficio del quale iniziarono ad affluire ulteriori rifornimenti bellici dalla Germania
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Una volta conquistata la soverchiante superiorità militare, le milizie croate si abbandonarono a numerose stragi a danno della popolazione musulmana, senza che né il loro comandante Milivoj Petković né il presidente della Hrvatska Republika Herceg-Bosna Mate Boban né il primo ministro croato Franjo Tuđman venissero successivamente chiamati a rispondere degli eccidi. La cosa non deve stupire, dal momento che la giustizia a geometria variabile rappresenta la funzione essenziale del Tribunale Penale Internazionale dell’Aja, vero e proprio strumento giudiziario per legittimare la politica estera degli Usa (al quale non aderiscono, pur avendolo finanziato e appoggiato politicamente). Al riguardo, lo studioso Fabio Falchi tiene a porre particolare enfasi sulle «assoluzioni del noto “thug” bosgnacco Naser Orić e, il 16 novembre 2012, di due ex generali croati, Ante Gotovina e Mladen Markac, responsabili dell’uccisione di 324 civili e dell’espulsione di oltre 90.000 persone, azioni che secondo i giudici dell’Aia furono “legittimi atti di guerra”. Queste sentenze hanno suscitato scandalo, ma in realtà erano “politicamente corrette”, anche perché la Croazia sarebbe dovuta entrare nella Ue il 1° luglio del 2013. Riguardo al Tribunale penale internazionale dell’Aia per la ex Iugoslavia sono da ricordare le assoluzioni del noto “thug” bosgnacco Naser Orić e, il 16 novembre 2012, di due ex generali croati, Ante Gotovina e Mladen Markač, responsabili dell’uccisione di 324 civili e dell’espulsione di oltre 90.000 persone, azioni che secondo i giudici dell’Aja furono “legittimi atti di guerra”. Queste sentenze hanno suscitato scandalo, ma in realtà erano “politicamente corrette”, anche perché la Croazia sarebbe dovuta entrare nell’Unione Europea il 1° luglio del 2013».
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La storiografia ufficiale afferma che a Srebrenica le truppe comandate da Mladic si siano abbandonate a un efferato massacro di 8.000 civili, malgrado il conto delle presunte vittime scaturisse dalla mera sommatoria tra i 3.000 prigionieri catturati dalle forze serbo-bosniache e i 5.000 dispersi – gran parte dei quali vennero identificati in seguito – indicati in un rapporto stilato dalla Croce Rossa dietro suggerimento di Izetbegović , che si rifiutò sia di fornire l’elenco dei nominativi scomparsi, sia di organizzare un apposito censimento. «Se le autorità musulmane – osserva il presidente della Fondazione per la Ricerca sul Genocidio Milan Bulajic – avessero voluto veramente conoscere il numero delle vittime, avrebbero potuto organizzare nel 1996 un censimento della popolazione e compararlo con quello del 1991. Ma questo non è stato fatto perché, con quel censimento, il numero degli uccisi sarebbe emerso con precisione. Non è stato fatto nemmeno nel 2001, sebbene la legge stabilisca l’obbligatorietà di realizzare un censimento ogni dieci anni, perché sarebbe venuto fuori quanti serbi erano stati uccisi a Sarajevo e a Srebrenica. La Bosnia-Erzegovina è così rimasto il solo Paese nella regione a non aver provveduto a un censimento della popolazione […]. Forse non c’era l’intenzione di accertare una verità che avrebbe rivelato che un genocidio è stato perpetrato in 192 villaggi serbi della regione di Srebrenica e che il numero di serbi scomparsi o uccisi a Sarajevo era maggiore di quello dei musulmani scomparsi o uccisi a Srebrenica. Ecco perché affermo che a Srebrenica non c’è stato genocidio. Ci sono stati dei crimini di guerra da ambedue le parti». Numerosi cittadini serbi residenti nei dintorni della cittadina bosniaca denunciarono inoltre – senza ottenere la minima attenzione da parte delle autorità competenti – violenze commesse contro le loro famiglie dai guerriglieri musulmani, gettando un’ombra sulla identità dei cadaveri mostrati dai bosgnacchi. La Commissione Internazionale per le Persone Scomparse (Icmp) fondata per volontà diretta del presidente Clinton, sostenne di aver identificato, sottoponendoli alla prova del Dna, oltre 6.000 cadaveri uccisi a Srebrenica dalle forze di Mladic, ma quando il legale dell’imputato Radovan Karadžić richiese la trasmissione della documentazione relativa alle presunte identificazioni, l’Icmp oppose un secco rifiuto adducendo ragioni legate alla privacy dei (presunti) parenti delle vittime. L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti dell’uomo Henry Wieland affermò che i suoi uomini non avevano raccolto alcuna prova in grado di accertare le presunte esecuzioni di massa a danno dei musulmani di cui erano accusati i serbi.

Dobro. Storie balcaniche

 


Sempre stati persi in amore per Giovanni Punzo

Alpino negli anni Ottanta e richiamato in servizio vent'anni dopo, l'autore racconta la sua esperienza nelle missioni in Bosnia e in Kosovo tra il 2001 e il 2004. Sullo sfondo di Balcani ben lontani dalle rappresentazioni mitiche create dai mezzi di comunicazione occidentali, l'autore riporta con sensibilità e consapevolezza non solo la drammaticità dei conflitti, ma anche gli avvenimenti quotidiani, la generosità e la vita "normale" degli abitanti del posto, i rapporti dei soldati con gli alleati e con i compagni di servizio. Ne emerge una geografia dei Balcani inedita, esito della storia antica e recente, della tradizione dei diversi popoli dell'area, dei conflitti indifferenti alle leggi nazionali e internazionali. Una geografia che sfida quindi quella astratta e razionale delle potenze occidentali, colpevoli di dimenticare l'uomo inserito nella sua comunità e nei suoi luoghi di origine.

Storie di profughi e massacri

 


Di Giacomo Scotti

Questo libro è un intreccio di reportage, cronaca e diario che copre fatti e avvenimenti succedutisi nell'ex Jugoslavia dal 1995 ai tempi presenti. E' uno scritto in presa diretta da un giornalista e scrittore italiano che ha vissuto per circa cinquant'anni nell'ex Jugoslavia. Durante la guerra in Croazia e Bosnia del 1991-1995 e successivamente, grazie alla perfetta conoscenza della lingua, dei costumi, della storia del paese e delle culture dei suoi popoli, ma soprattutto grazie a centinaia di vecchie amicizie personali, ha potuto spostarsi da un teatro all'altro del sanguisnoso conflitto, mettendo più volte a repentaglio la propria vita. L'autore racconta la tragedia e l'orrore della guerra con sofferta partecipazione: perché le vittime di quella carneficina sono stati anche i suoi amici e conoscenti; perché di quella guerra è stato, oltre che testimone, un protagonista dalla parte dei più deboli, dei "diversi", degli umiliati. Quella di Scotti è perciò una prosa ben lontanta dalla inutile retorica che spesso ha caratterizzato quanto ci è stato detto della tragedia jugoslava.


Storie di profughi e massacri

I CECCHINI



 Il cecchino bosgnacco islamico

Un bosniaco di 19 anni si è vantato di essere abituato a sparare dall'edificio dell'allora governo bosniaco verso il quartiere di Grbavica, che era sotto il controllo dei serbi bosniaci.
“Sparerei a una donna anziana, in modo che i soldati [serbi] si avvicinassero per aiutarla. Mentre stavano tirando fuori la vecchia, avrei liquidato quei soldati ”, ha detto in una dichiarazione rilasciata a metà guerra al servizio di sicurezza dello Stato, SDB.
Miokovic ritiene che le agenzie di intelligence dell'Esercito della Bosnia ed Erzegovina e dell'Esercito della Republika Srpska sapessero chi erano i rispettivi cecchini.
"Oserei dire che un anno dopo la guerra le persone di questa parte sapevano chi era stato dall'altra parte, almeno dai loro soprannomi", ha detto Miokovic.

mercoledì 23 giugno 2021

Srebrenica, le contraddizioni di un genocidio sancito a priori.



 

 J. Toschi Marazzani Visconti (ex collaboratrice di Limes e Il Manifesto)

Il Parlamento europeo ha stabilito che l’11 luglio sia il giorno dedicato al genocidio di Srebrenica. In pratica ha proclamato un dogma: si deve credere che i Serbi sono colpevoli dello sterminio della popolazione musulmana della città senza possibilità di dubbio, obbiezioni o di ulteriore indagine.
Effettivamente gli avvenimenti che si sono svolti fra il 10 e il 19 luglio 1995 sono oscuri ed oscurati, per quindici giorni dopo la presa della città da parte serba non sono state compiute investigazioni accurate, mentre già il governo di Sarajevo aveva denunciato all’opinione pubblica internazionale un eccidio di proporzioni inaudite senza che questo potesse essere constatato in maniera obiettiva e sollecitando un vero cataclisma emozionale sui Media. Secondo il governo musulmano 8000 uomini sarebbero stati fucilati dai Serbi.
............ Queste città protette erano ben lungi da essere città demilitarizzate al contrario erano sede di comandi delle Legioni Musulmane. In particolare a Srebrenica era di stanza la 28° Legione Musulmana, forte di 5500 uomini, al comando di Naser Oric. Questo militare aveva fatto parte delle guardie del corpo di Slobodan Milosevic ed era stato licenziato perché accusato di furto, in seguito a questa accusa era rientrato in Bosnia dove gli era stato affidato il comando della 28° legione.
Non c’è voluto molto tempo ai Musulmani bosniaci per comprendere che l’ONU non era in condizione di mantenere la sua promessa di “proteggere” Srebrenica. Con un certo aiuto esterno, hanno incominciato ad infiltrare migliaia di combattenti e armi nella zona protetta. Man mano che i combattenti musulmani erano meglio equipaggiati e allenati, si sono messi ad uscire da Srebrenica per rivitagliarsi, a incendiare i villaggi serbi e ad ucciderne gli occupanti prima di riguadagnare rapidamente la sicurezza della zona protetta dall’ONU. Questi attacchi hanno raggiunto l’apice nel 1994 e sono continuati fino all’inizio del 1995, dopo che la compagnia canadese di fanteria è stata rimpiazzata da un contingente olandese più importante. I Serbi bosniaci avevano forse armamenti più pesanti, ma i Musulmani bosniaci erano loro pari per la potenza della fanteria, indispensabile sul terreno aspro intorno a Srebrenica. Quando si è sciolta la neve nella primavera del 1995, è diventato evidente per Naser Oric, l’uomo che comandava i combattenti musulmani bosniaci, che l’esercito serbo bosniaco avrebbe assalito Srebrenica per far cessare gli attacchi ai villaggi serbi.............
Dal 1992 al 1995 nel corso di sanguinosi raid Naser Oric aveva comandato l’eccidio di almeno 3500 civili serbi che abitavano i villaggi e le campagne della regione fino alla cittadina di Bratunac ed oltre. Va detto che solo la città di Srebrenica era una zona protetta, non la regione di Srebrenica che comprendeva la città stessa e le cittadine di Bratunac, Skelane e Milici.
........... Queste fosse comuni sono riempite da un numero limitato di corpi delle due parti e sono il risultato di furiosi combattimenti e non di un piano premeditato di genocidio, come quello perpetrato sulle popolazioni serbe della Krajina durante l’estate 1995, quando l’esercito croato si è abbandonato a stragi massicce di tutti i Serbi che vi si trovavano. In quella occasione (la presa della Krajina), i Media hanno osservato un silenzio totale, sebbene il genocidio sia durato tre mesi. L’obbiettivo a Srebrenica era una pulizia etnica e non un genocidio, a differenza di quanto si è prodotto in Krajina, dove l’esercito croato ha decimato i villaggi malgrado non vi fosse alcuna resistenza militare.
Il governo di Sarajevo aveva affermato che gli scomparsi erano da 7000 a 8000, il numero dei corpi esumati nella zona dal Tribunale dell’Aja è stato di 2028, molti di loro risultavano essere morti in precedenza.
Dei 7500 cadaveri assemblati a Tuzla, solo 2079 sono stati identificati dalla Commissione Internazionale per le Persone Scomparse e il tentativo di impiegare il DNA per associarli a Srebrenica è fallito.
Nel maggio del 1996 mi trovavo in Bosnia, partita dalla Drina non lontano da Milici, ero sulla strada per Pale. Il mio autista era molto nervoso, mi aveva spiegato che quella mattina un gruppo di Musulmani aveva massacrato tre Serbi in quella zona ed era possibile li incrociassimo. Fortunatamente la IFOR statunitense aveva fermato un gruppo di Musulmani, trovati in possesso di armi, e secondo gli accordi internazionali li aveva consegnati alla polizia di Pale. Pur sospettando che i dieci uomini fossero gli autori dell’eccidio, mancando prove evidenti, i Serbi li schedarono e rilasciarono. Appartenevano tutti ad un gruppo terrorista chiamato Laste, otto di loro risultavano sulla lista degli scomparsi di Srebrenica depositata dalla Croce Rossa Internazionale.









La Corte ha stabilito che quello che avvenne fu un genocidio ad opera di singole persone, ma che lo Stato Serbo non può essere ritenuto direttamente responsabile per genocidio e complicità per i fatti accaduti nella guerra civile in Bosnia-Erzegovina dal 1992 al 1995, fra i quali rientra la strage di Srebrenica.

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