mercoledì 30 giugno 2021

I Balcani nella storia: attraverso il ‘900 jugoslavo

 



Interessante ricostruzione di Marco Abram e di Alfredo Sasso della storia jugoslava 

Dal 22° minuto Marco Abram parla della Serbia. Lo stato dei serbi, dei croati e degli sloveni è costituito sull'allargamento della Serbia. La Serbia aveva vinto la prima guerra mondiale ed era l'unico vero stato jugoslavo nei Balcani

Dopo il 56° minuto Alfredo Sasso parla delle ingerenze di America, Germania e Vaticano

“I Balcani nella storia: attraverso il ‘900 jugoslavo"

domenica 27 giugno 2021

ELIZA UNA STORIA MACEDONE A SAN CATALDO

Quando abbiamo aperto Balkan crew 13 anni fa ci si è aperto un mondo




Da subito sono arrivati tanti balcanofili che ci hanno regalato tante storie e tanta compagnia
Uno scrittore, Umberto Li Gioi, era un vulcano di nozioni, emozioni, propositi di viaggi balcanici che da subito ci ha fatto innamorare e abbiamo subito pubblicato il suo viaggio tra i monasteri in Serbia.




E' passato un po' di tempo e Umberto è venuto con la sua famiglia e i suoi amici a Torino a vedere la SS.Sindone e abbiamo così potuto conoscere quello scrittore che nella realtà si è dimostrato ancora più simpatico del web.
Passa un altro po' di tempo e Umberto scrive Kalemegdan, un libro che mi sono divorata in 18 ore praticamente consecutive 




Passa altro tempo e con la testimonianza di Rino Operoso esce Eliza, una storia macedone
Non so nemmeno più in quanto l'ho letto, ma mi ricordo che mi chiamavano sempre perchè non facevo più nulla di cosa dovevo fare 
Tempo che il libro è stato presentato in Sicilia e in Puglia ed è arrivata la pandemia a bloccare il tutto. 
Ci sono stati alcuni collegamenti on line e ora, per regalarci un bellissimo Vidovdan, finalmente una presentazione in presenza a San Cataldo (LE)




Decine e decine di recensioni sulla pagina FB testimoniano quanto questo testo è apprezzato
Un abbraccio grande va a Gabriella Gavioli di Saecula editrice e non possiamo certo dimenticare la favolosa Olga Pantovic'
Quindi samo napred e complimenti vivissimi ! 




venerdì 25 giugno 2021

Giustizia a geometria variabile del Tribunale dell'Aja



 Il 2 luglio del 1992 i croato-bosniaci proclamarono la Hrvatska Republika Herceg-Bosna disseppellendo l’antico vessillo della Šahovnica (scacchiera) Ustaša in memoria del filo-nazista Ante Pavelić. Verso la fine del 1992, gli Stati Uniti presero a sostenere finanziariamente e politicamente il candidato Milan Panić (facoltoso uomo d’affari statunitense d’origini serbe) contro Slobodan Milošević, ma l’inaspettata riconferma elettorale di quest’ultimo scompaginò i loro piani. Mentre l’inflazione jugoslava, dovuta in larghissima parte all’embargo, cresceva alle stelle, il fronte croato-musulmano del Consiglio di Difesa Croato si spaccò in due fazioni interessate entrambe ad assumere il controllo di Mostar. Nell’arco del biennio 1992-1994 i combattimenti provocarono vittime in entrambi gli schieramenti finché i croati non ottennero l’appoggio diretto di Tuđman , a beneficio del quale iniziarono ad affluire ulteriori rifornimenti bellici dalla Germania. Una volta conquistata la soverchiante superiorità militare, le milizie croate si abbandonarono a numerose stragi a danno della popolazione musulmana, senza che né il loro comandante Milivoj Petković né il presidente della Hrvatska Republika Herceg-Bosna Mate Boban né il primo ministro croato Franjo Tuđman venissero successivamente chiamati a rispondere degli eccidi. La cosa non deve stupire, dal momento che la giustizia a geometria variabile rappresenta la funzione essenziale del Tribunale Penale Internazionale dell’Aja, vero e proprio strumento giudiziario per legittimare la politica estera degli Usa (al quale non aderiscono, pur avendolo finanziato e appoggiato politicamente). Al riguardo, lo studioso Fabio Falchi tiene a porre particolare enfasi sulle «assoluzioni del noto “thug” bosgnacco Naser Orić e, il 16 novembre 2012, di due ex generali croati, Ante Gotovina e Mladen Markac, responsabili dell’uccisione di 324 civili e dell’espulsione di oltre 90.000 persone, azioni che secondo i giudici dell’Aia furono “legittimi atti di guerra”. Queste sentenze hanno suscitato scandalo, ma in realtà erano “politicamente corrette”, anche perché la Croazia sarebbe dovuta entrare nella Ue il 1° luglio del 2013. Riguardo al Tribunale penale internazionale dell’Aia per la ex Iugoslavia sono da ricordare le assoluzioni del noto “thug” bosgnacco Naser Orić e, il 16 novembre 2012, di due ex generali croati, Ante Gotovina e Mladen Markač, responsabili dell’uccisione di 324 civili e dell’espulsione di oltre 90.000 persone, azioni che secondo i giudici dell’Aja furono “legittimi atti di guerra”. Queste sentenze hanno suscitato scandalo, ma in realtà erano “politicamente corrette”, anche perché la Croazia sarebbe dovuta entrare nell’Unione Europea il 1° luglio del 2013».

Guerra jugoslava, cronache di una catastrofe preparata a tavolino
di Giacomo Gabellini 4.12.2017


INIZIO DELLA SECESSIONE DALLA JUGOSLAVIA


 



 Il 22 dicembre 1990, il parlamento croato proclamò unilateralmente l’indipendenza e promulgò una nuova Costituzione tutta incentrata sul principio fondamentale, prego di richiami alla celeberrima Dottrina Monroe, della “Croazia ai croati”. Nell’ottobre del 1991 il governo guidato dal presidente Franjo Tuđman decretò l’espulsione di circa 30.000 serbi dalla Slavonia e dalla Krajina, mentre la Guardia Nazionale Croata occupava Vukovar. L’esercito federale cinse d’assedio la città prima di procedere all’attacco, infliggendo pesanti perdite agli assediati che vennero costretti alla resa. Nel frattempo, la Macedonia otteneva l’indipendenza (17 settembre 1991) grazie ad un accordo stipulato tra il primo ministro Kiro Gligorov e il presidente della Federazione Jugoslava Slobodan Milošević, mentre la Slovenia decise di ispirarsi all’esperienza croata per proclamare a sua volta (25 giugno 1991), l’indipendenza da Belgrado sulla medesima base etnica. A differenza di quanto accaduto in Croazia, il piccolo esercito sloveno riuscì a tener brillantemente testa alle milizie federali, provocando pesanti perdite. Le secessioni proclamate unilateralmente da Croazia e Slovenia e il successo ottenuto da quest’ultima nel conflitto contro le truppe inviate dal governo di Belgrado non potevano che alimentare le spinte centrifughe interne alla Jugoslavia, favorendo implicitamente l’estensione a macchia d’olio della guerra civile.

Di fronte all’acuirsi della crisi balcanica, l’Europa di Maastricht si spaccò. Il 23 dicembre 1991 la Germania, che nutriva corposi interessi economici in Croazia, riconobbe l’indipendenza dei governi di Zagabria e Lubiana, in aperta violazione del principio, stabilito da una commissione presieduta dal celebre giurista francese Robert Badinter, che imponeva il non riconoscimento degli Stati proclamatisi indipendenti in maniera violenta, unilaterale e (soprattutto) su basi etniche. La mossa non destò eccessivo stupore, visto e considerato che, nel 1988, una delegazione governativa formata dal cancelliere Helmut Kohl, dal ministro degli Esteri Hans Dietrich Genscher e da una serie di alti funzionari aveva incontrato sia Franjo Tuđman che il presidente sloveno Milan Kučan per coordinare una linea operativa – sostenuta finanziariamente dalla Germania – votata allo smembramento della Jugoslavia e alla contestuale creazione di una serie di Stati indipendenti nei confronti dei quali dispiegare la penetrazione economica tedesca. Già negli anni ’30, la Germania è aveva cercato insistentemente di ricavare il proprio lebensraum (spazio vitale) attraverso una drang nach osten (spinta verso est) dalla forte connotazione economica. L’obiettivo era quello di creare «un blocco economico autosufficiente che corra da Bordeaux a Odessa, lungo la spina dorsale d’Europa» in cui l’apparato produttivo tedesco avrebbe avuto modo di realizzare la propria “penetrazione pacifica”. A elaborare tale visione era stato nientemeno che Carl Duisberg, direttore della Ig Farben nonché membro di primissimo piano del Mitteleuropaeischen Wirthschaftstag (Mtw), un centro studi di cui facevano parte, tra gli altri, anche i rampolli della famiglia Krupp (grandi produttori d’acciaio), i proprietari delle società carbonifere della Ruhr, gli junker della Prussia orientale, il direttore della Dresdner Bank Carl Götz e il leader della Deutsche Bank Hermann Abs. Si tratta del gotha della finanza e della grande industria tedesca che finanziò generosamente l’ascesa al potere di Hitler. A partire dagli anni ’80, la Germania ha deciso di rilanciare il vecchio progetto concepito dal Mtw, attrezzandosi per costruire nel cuore dell’Europa un enorme blocco manifatturiero integrato da includere in una rete produttiva a maglie strettissime. Si trattava, in altre parole, di far gravitare le aree produttive dei Paesi limitrofi – a basso impatto salariale e a cambi depressi (l’introduzione dell’euro è stata, sotto questo aspetto, la ciliegina sulla torta) – attorno all’hub industriale tedesco, rifornendolo della componentistica dal basso valore aggiunto. Per imporre il disegno tedesco all’area balcanica, occorreva in primo luogo approfittare del disimpegno forzato dell’Urss, sconvolta da un marasma politico, economico e sociale senza precedenti, per implementare una strategia diplomatica finalizzata allo smantellamento dell’assetto statale jugoslavo attraverso l’appoggio alle frange secessioniste locali.

Nell’immediato, la conseguenza fu i serbi di Croazia proclamarono unilateralmente la nascita della Repubblica Serba di Krajina (24 dicembre) richiamandosi al medesimo diritto di autodeterminazione dei popoli precedentemente accolto dalla Germania nei confronti dei croati. La situazione di caos venutasi a creare (anche) a causa dell’atteggiamento tedesco andò rapidamente aggravandosi per effetto dell’intervento del Vaticano, che decise di legittimare le rivendicazioni indipendentiste avanzate dalle cattoliche Slovenia e Croazia al duplice scopo di assestare un colpo micidiale all’odiato regime di ispirazione comunista e porre le basi per il ritorno alla Chiesa dei beni ecclesiastici che erano stati nazionalizzati dalla Jugoslavia subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Il 15 gennaio del 1992, Slovenia e Croazia ottennero il riconoscimento da parte tutti i Paesi firmatari del Trattato di Maastricht.

Guerra jugoslava, cronache di una catastrofe preparata a tavolino
di GIacomo Gabellini 4.12.2017

QUANTO E' SEMPLICISSIMO DISTRUGGERE UNO STATO



 La prima mossa varata in questo senso dall’amministrazione Reagan fu quella di emanare due direttive per la sicurezza nazionale che inquadravano come obiettivo strategico l’integrazione della Federazione Jugoslava nella Comunità Europea e l’apertura del Paese all’economia capitalista, indicando i metodi operativi attraverso cui promuovere questa “transizione”. Nel 1989 il presidente George Bush sr., succeduto l’anno prima a Reagan, convocò il primo ministro jugoslavo Ante Marković, per costringerlo a smantellare l’assetto politico ed economico vigente in favore di un sistema democratico fondato sull’economia di mercato, pena l’estromissione della Jugoslavia dal circuito finanziario della Banca Mondiale e del Fmi. Una volta ottenuto l’assenso di Belgrado, il Fmi erogò un prestito necessario a finanziare la conversione economica della Jugoslavia, da attuare mediante l’implementazione di un rigido programma di austerità, comprensivo di una drastica contrazione dei salari ai lavoratori e dei sussidi alle industrie, di un poderoso taglio dei dipendenti pubblici, della privatizzazione delle aziende statali e della svalutazione della moneta. Nell’arco del primo semestre del 1990 si intravidero i primi risultati della shock therapy, con un aumento esorbitante dell’inflazione e un crollo dei salari pari al 41%. Nei nove mesi che vanno dal gennaio al settembre 1990, la ricetta applicata dal Fmi fece sì che ben 889 aziende venissero sottoposte a procedure fallimentari e oltre 500.000 lavoratori perdessero la propria occupazione. Con la Banca Centrale jugoslava commissariata dal Fmi, lo Stato fu inoltre privato della facoltà finanziare i programmi economici e d’intervento sociale. Le entrate fiscali che sarebbero dovute essere trasferite alle varie repubbliche e province autonome furono invece impiegate per onorare il debito estero precedentemente contratto, come imposto dalla Banca Mondiale. Come scrive in proposito il professor Michel Chossudovsky, «con un solo colpo i riformatori avevano preparato il crollo finale della struttura fiscale federale della Jugoslavia e ferito mortalmente le sue istituzioni politiche federali. Tagliando le arterie finanziarie tra Belgrado e le repubbliche, le riforme alimentarono tendenze secessioniste basate sia su fattori economici sia su divisioni etniche, creando una situazione di “secessione de facto” delle repubbliche».

La Serbia si oppose frontalmente al piano di austerità targato Fmi e oltre 600.000 lavoratori serbi scioperarono contro il governo federale per protestare contro la riduzione dei salari. Tanto il leader serbo Slobodan Milošević quanto quello croato Franjo Tuđman si unirono ai lavoratori serbi per opporsi ai tentativi di Marković volti ad imporre le riforme raccomandate dal Fondo Monetario Internazionale. A riversare ulteriore benzina sul focolaio jugoslavo, riattizzato ad arte dalla “terapia d’urto” elaborata da Banca Mondiale e Fmi, intervenne direttamente il Congresso, che il 5 novembre 1990 approvò una legge proposta dal senatore Bob Dole, la quale prevedeva la sospensione degli aiuti economici alla Jugoslavia e vincolava la riattivazione del flusso dei finanziamenti all’organizzazione di elezioni multipartitiche da tenere separatamente in ogni repubblica membra della federazione. La normativa contemplava anche, tra le altre cose, di sostenere economicamente i movimenti secessionisti che miravano alla separazione del Paese su basi etniche. Come era ampiamente prevedibile, le elezioni videro le frange secessioniste sovrastare i comunisti in Croazia, Bosnia e Slovenia. «Come il collasso economico stimolò la deriva verso la separazione – scrive ancora Chossudovsky – a sua volta la separazione esacerbò la crisi economica. La cooperazione tra le repubbliche di fatto cessò, e con le repubbliche che si azzannavano a vicenda, l’economia e la nazione stessa entrarono in una spirale viziosa che puntava irrimediabilmente verso il basso». Il pericoloso “avvitamento” descritto da Chossudovsky era inesorabilmente destinato a sfociare in un’escalation di violenza in nome del diritto di autodetermina­zione dei popoli, consacrato nel 1918 dal presidente Usa Woodrow Wilson e tornato in voga in seguito alla disgregazione dell’Unione Sovietica. Il primo atto della tragedia jugoslava coincise con l’adozione, nel lu­glio del 1990, di una nuova Costituzione da parte del Parlamento lo­cale del Kosovo, che conferiva alla regione il rango di Repubblica e riconosceva alla minoranza albanese i diritti di una nazione auto­noma. L’atto venne percepito dai nazionalisti serbi come un affronto, visto che l’anno precedente, in occasione del seicentesimo anniversa­rio della battaglia di Kosovo Polje (combattuta nel 1389 tra serbi e ottomani e risultata decisiva per la forma­zione della coscienza collettiva del popolo serbo), il presidente Miloševič aveva pronunciato un discorso in cui si ribadiva l’inviolabilità dei confini e l’integrità statale, nazionale e spirituale jugoslava di fronte a circa un milione di persone che erano convenute alla “Piana dei Merli” (que­sto è il significato di Kosovo Polje) per ascoltarlo. Le autorità di Belgrado decisero quindi di sciogliere il Parlamento koso­varo per assumere direttamente le redini della regione, innescando così quel pericoloso meccanismo disgregativo che si inten­deva prevenire.

giovedì 24 giugno 2021

Guerra jugoslava, cronache di una catastrofe preparata a tavolino

 




Di Giacomo Gabellini

Ex Jugoslavia: una storia recente ma poco conosciuta.
Un popolo usato come laboratorio di geopolitica, il test pilota delle moderne metodiche di aggressione.
Le recenti condanne decretate del Tribunale Penale Internazionale dell’Aja contro il generale serbo-bosniaco Ratko Mladic e il generale croato Slobodan Praljak (suicidatosi al momento della sentenza ingurgitando una dose di veleno) hanno riportato al centro dell’attenzione il conflitto jugoslavo protrattosi per la prima metà degli anni ’90. Si tratta guerra assai poco compresa dagli europei, su cui vale la pena di accendere i riflettori in maniera meno interessata e politicamente corretta di quanto si sia fatto finora.
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La Serbia si oppose frontalmente al piano di austerità targato Fmi e oltre 600.000 lavoratori serbi scioperarono contro il governo federale per protestare contro la riduzione dei salari. Tanto il leader serbo Slobodan Milošević quanto quello croato Franjo Tuđman si unirono ai lavoratori serbi per opporsi ai tentativi di Marković volti ad imporre le riforme raccomandate dal Fondo Monetario Internazionale. A riversare ulteriore benzina sul focolaio jugoslavo, riattizzato ad arte dalla “terapia d’urto” elaborata da Banca Mondiale e Fmi, intervenne direttamente il Congresso, che il 5 novembre 1990 approvò una legge proposta dal senatore Bob Dole, la quale prevedeva la sospensione degli aiuti economici alla Jugoslavia e vincolava la riattivazione del flusso dei finanziamenti all’organizzazione di elezioni multipartitiche da tenere separatamente in ogni repubblica membra della federazione. La normativa contemplava anche, tra le altre cose, di sostenere economicamente i movimenti secessionisti che miravano alla separazione del Paese su basi etniche.
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Il 22 dicembre 1990, il parlamento croato proclamò unilateralmente l’indipendenza e promulgò una nuova Costituzione tutta incentrata sul principio fondamentale, prego di richiami alla celeberrima Dottrina Monroe, della “Croazia ai croati”. Nell’ottobre del 1991 il governo guidato dal presidente Franjo Tuđman decretò l’espulsione di circa 30.000 serbi dalla Slavonia e dalla Krajina, mentre la Guardia Nazionale Croata occupava Vukovar. L’esercito federale cinse d’assedio la città prima di procedere all’attacco, infliggendo pesanti perdite agli assediati che vennero costretti alla resa. Nel frattempo, la Macedonia otteneva l’indipendenza (17 settembre 1991) grazie ad un accordo stipulato tra il primo ministro Kiro Gligorov e il presidente della Federazione Jugoslava Slobodan Milošević, mentre la Slovenia decise di ispirarsi all’esperienza croata per proclamare a sua volta (25 giugno 1991), l’indipendenza da Belgrado sulla medesima base etnica. A differenza di quanto accaduto in Croazia, il piccolo esercito sloveno riuscì a tener brillantemente testa alle milizie federali, provocando pesanti perdite.
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Nell’immediato, la conseguenza fu i serbi di Croazia proclamarono unilateralmente la nascita della Repubblica Serba di Krajina (24 dicembre) richiamandosi al medesimo diritto di autodeterminazione dei popoli precedentemente accolto dalla Germania nei confronti dei croati. La situazione di caos venutasi a creare (anche) a causa dell’atteggiamento tedesco andò rapidamente aggravandosi per effetto dell’intervento del Vaticano, che decise di legittimare le rivendicazioni indipendentiste avanzate dalle cattoliche Slovenia e Croazia al duplice scopo di assestare un colpo micidiale all’odiato regime di ispirazione comunista e porre le basi per il ritorno alla Chiesa dei beni ecclesiastici che erano stati nazionalizzati dalla Jugoslavia subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Il 15 gennaio del 1992, Slovenia e Croazia ottennero il riconoscimento da parte tutti i Paesi firmatari del Trattato di Maastricht.
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Dopo la morte di Tito, Izetbegović ristrutturò l’Sda attuando una serie di purghe interne, servendosi delle moschee come centri di reclutamento per guerriglieri e allacciando rapporti con la formazione mafiosa paramilitare comandata da Jusuf Prazina e con lo psicopatico Mušan Topalović (meglio noto come Caco), nonché con il Vevak (intelligence iraniana), con il Gruppo Islamico Armato (Gia) algerino, con Hezbollah, con l’Arabia Saudita, con la Turchia e con le forze legate ad al-Qaeda beneficiando del “lavoro sporco” svolto da Ong e istituti bancari di copertura. All’interno del proprio manifesto politico, Izetbegović aveva apertamente dichiarato di auspicare «la creazione di una grande federazione islamica dal Marocco all’Indonesia, dall’Africa nera all’Asia centrale», sostenendo che «non ci può essere pace o coesistenza tra la fede dell’Islam e la fede e le istituzioni non islamiche».
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Ispirandosi a ideali del genere e potendo contare sui numerosi alleati internazionali in grado di mettere a sua disposizione guerriglieri e armamenti (i musulmani e i croati disponevano, grazie agli aiuti concessi in primis dagli Stati Uniti, di molte più armi rispetto ai serbi), Izetbegović si erse a guida del Jihad bosniaco e organizzò un referendum per l’indipendenza bosniaca nel febbraio del 1992, malgrado ciò violasse palesemente la Costituzione nazionale in quanto proclamato in assenza di qualsiasi consultazione preliminare con tutte le componenti etniche. Al referendum parteciparono soltanto le componenti croate e musulmane, che decretarono la secessione. I serbi della Bosnia-Erzegovina emularono tale atteggiamento in riferimento alla Republika Srpska, conformemente alle direttive politiche proclamate dal nazionalista Radovan Karadžić. L’acuirsi della tensione spinse la Comunità Europea ad indire, il 18 marzo del 1992, la Conferenza di Lisbona, nel corso della quale le parti in causa sottoscrissero il piano Cutileiro, che prevedeva di cantonalizzare la Bosnia-Erzegovina.
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Il 2 luglio del 1992 i croato-bosniaci proclamarono la Hrvatska Republika Herceg-Bosna disseppellendo l’antico vessillo della Šahovnica (scacchiera) Ustaša in memoria del filo-nazista Ante Pavelić. Verso la fine del 1992, gli Stati Uniti presero a sostenere finanziariamente e politicamente il candidato Milan Panić (facoltoso uomo d’affari statunitense d’origini serbe) contro Slobodan Milošević, ma l’inaspettata riconferma elettorale di quest’ultimo scompaginò i loro piani. Mentre l’inflazione jugoslava, dovuta in larghissima parte all’embargo, cresceva alle stelle, il fronte croato-musulmano del Consiglio di Difesa Croato si spaccò in due fazioni interessate entrambe ad assumere il controllo di Mostar. Nell’arco del biennio 1992-1994 i combattimenti provocarono vittime in entrambi gli schieramenti finché i croati non ottennero l’appoggio diretto di Tuđman , a beneficio del quale iniziarono ad affluire ulteriori rifornimenti bellici dalla Germania
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Una volta conquistata la soverchiante superiorità militare, le milizie croate si abbandonarono a numerose stragi a danno della popolazione musulmana, senza che né il loro comandante Milivoj Petković né il presidente della Hrvatska Republika Herceg-Bosna Mate Boban né il primo ministro croato Franjo Tuđman venissero successivamente chiamati a rispondere degli eccidi. La cosa non deve stupire, dal momento che la giustizia a geometria variabile rappresenta la funzione essenziale del Tribunale Penale Internazionale dell’Aja, vero e proprio strumento giudiziario per legittimare la politica estera degli Usa (al quale non aderiscono, pur avendolo finanziato e appoggiato politicamente). Al riguardo, lo studioso Fabio Falchi tiene a porre particolare enfasi sulle «assoluzioni del noto “thug” bosgnacco Naser Orić e, il 16 novembre 2012, di due ex generali croati, Ante Gotovina e Mladen Markac, responsabili dell’uccisione di 324 civili e dell’espulsione di oltre 90.000 persone, azioni che secondo i giudici dell’Aia furono “legittimi atti di guerra”. Queste sentenze hanno suscitato scandalo, ma in realtà erano “politicamente corrette”, anche perché la Croazia sarebbe dovuta entrare nella Ue il 1° luglio del 2013. Riguardo al Tribunale penale internazionale dell’Aia per la ex Iugoslavia sono da ricordare le assoluzioni del noto “thug” bosgnacco Naser Orić e, il 16 novembre 2012, di due ex generali croati, Ante Gotovina e Mladen Markač, responsabili dell’uccisione di 324 civili e dell’espulsione di oltre 90.000 persone, azioni che secondo i giudici dell’Aja furono “legittimi atti di guerra”. Queste sentenze hanno suscitato scandalo, ma in realtà erano “politicamente corrette”, anche perché la Croazia sarebbe dovuta entrare nell’Unione Europea il 1° luglio del 2013».
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La storiografia ufficiale afferma che a Srebrenica le truppe comandate da Mladic si siano abbandonate a un efferato massacro di 8.000 civili, malgrado il conto delle presunte vittime scaturisse dalla mera sommatoria tra i 3.000 prigionieri catturati dalle forze serbo-bosniache e i 5.000 dispersi – gran parte dei quali vennero identificati in seguito – indicati in un rapporto stilato dalla Croce Rossa dietro suggerimento di Izetbegović , che si rifiutò sia di fornire l’elenco dei nominativi scomparsi, sia di organizzare un apposito censimento. «Se le autorità musulmane – osserva il presidente della Fondazione per la Ricerca sul Genocidio Milan Bulajic – avessero voluto veramente conoscere il numero delle vittime, avrebbero potuto organizzare nel 1996 un censimento della popolazione e compararlo con quello del 1991. Ma questo non è stato fatto perché, con quel censimento, il numero degli uccisi sarebbe emerso con precisione. Non è stato fatto nemmeno nel 2001, sebbene la legge stabilisca l’obbligatorietà di realizzare un censimento ogni dieci anni, perché sarebbe venuto fuori quanti serbi erano stati uccisi a Sarajevo e a Srebrenica. La Bosnia-Erzegovina è così rimasto il solo Paese nella regione a non aver provveduto a un censimento della popolazione […]. Forse non c’era l’intenzione di accertare una verità che avrebbe rivelato che un genocidio è stato perpetrato in 192 villaggi serbi della regione di Srebrenica e che il numero di serbi scomparsi o uccisi a Sarajevo era maggiore di quello dei musulmani scomparsi o uccisi a Srebrenica. Ecco perché affermo che a Srebrenica non c’è stato genocidio. Ci sono stati dei crimini di guerra da ambedue le parti». Numerosi cittadini serbi residenti nei dintorni della cittadina bosniaca denunciarono inoltre – senza ottenere la minima attenzione da parte delle autorità competenti – violenze commesse contro le loro famiglie dai guerriglieri musulmani, gettando un’ombra sulla identità dei cadaveri mostrati dai bosgnacchi. La Commissione Internazionale per le Persone Scomparse (Icmp) fondata per volontà diretta del presidente Clinton, sostenne di aver identificato, sottoponendoli alla prova del Dna, oltre 6.000 cadaveri uccisi a Srebrenica dalle forze di Mladic, ma quando il legale dell’imputato Radovan Karadžić richiese la trasmissione della documentazione relativa alle presunte identificazioni, l’Icmp oppose un secco rifiuto adducendo ragioni legate alla privacy dei (presunti) parenti delle vittime. L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti dell’uomo Henry Wieland affermò che i suoi uomini non avevano raccolto alcuna prova in grado di accertare le presunte esecuzioni di massa a danno dei musulmani di cui erano accusati i serbi.

Dobro. Storie balcaniche

 


Sempre stati persi in amore per Giovanni Punzo

Alpino negli anni Ottanta e richiamato in servizio vent'anni dopo, l'autore racconta la sua esperienza nelle missioni in Bosnia e in Kosovo tra il 2001 e il 2004. Sullo sfondo di Balcani ben lontani dalle rappresentazioni mitiche create dai mezzi di comunicazione occidentali, l'autore riporta con sensibilità e consapevolezza non solo la drammaticità dei conflitti, ma anche gli avvenimenti quotidiani, la generosità e la vita "normale" degli abitanti del posto, i rapporti dei soldati con gli alleati e con i compagni di servizio. Ne emerge una geografia dei Balcani inedita, esito della storia antica e recente, della tradizione dei diversi popoli dell'area, dei conflitti indifferenti alle leggi nazionali e internazionali. Una geografia che sfida quindi quella astratta e razionale delle potenze occidentali, colpevoli di dimenticare l'uomo inserito nella sua comunità e nei suoi luoghi di origine.

Storie di profughi e massacri

 


Di Giacomo Scotti

Questo libro è un intreccio di reportage, cronaca e diario che copre fatti e avvenimenti succedutisi nell'ex Jugoslavia dal 1995 ai tempi presenti. E' uno scritto in presa diretta da un giornalista e scrittore italiano che ha vissuto per circa cinquant'anni nell'ex Jugoslavia. Durante la guerra in Croazia e Bosnia del 1991-1995 e successivamente, grazie alla perfetta conoscenza della lingua, dei costumi, della storia del paese e delle culture dei suoi popoli, ma soprattutto grazie a centinaia di vecchie amicizie personali, ha potuto spostarsi da un teatro all'altro del sanguisnoso conflitto, mettendo più volte a repentaglio la propria vita. L'autore racconta la tragedia e l'orrore della guerra con sofferta partecipazione: perché le vittime di quella carneficina sono stati anche i suoi amici e conoscenti; perché di quella guerra è stato, oltre che testimone, un protagonista dalla parte dei più deboli, dei "diversi", degli umiliati. Quella di Scotti è perciò una prosa ben lontanta dalla inutile retorica che spesso ha caratterizzato quanto ci è stato detto della tragedia jugoslava.


Storie di profughi e massacri

I CECCHINI



 Il cecchino bosgnacco islamico

Un bosniaco di 19 anni si è vantato di essere abituato a sparare dall'edificio dell'allora governo bosniaco verso il quartiere di Grbavica, che era sotto il controllo dei serbi bosniaci.
“Sparerei a una donna anziana, in modo che i soldati [serbi] si avvicinassero per aiutarla. Mentre stavano tirando fuori la vecchia, avrei liquidato quei soldati ”, ha detto in una dichiarazione rilasciata a metà guerra al servizio di sicurezza dello Stato, SDB.
Miokovic ritiene che le agenzie di intelligence dell'Esercito della Bosnia ed Erzegovina e dell'Esercito della Republika Srpska sapessero chi erano i rispettivi cecchini.
"Oserei dire che un anno dopo la guerra le persone di questa parte sapevano chi era stato dall'altra parte, almeno dai loro soprannomi", ha detto Miokovic.

mercoledì 23 giugno 2021

MORENO LOCATELLI



 Se leggete il testo o guardate il documentario di Giancarlo Bocchi rimanete senza fiato nel capire quante bugie ci hanno raccontato su Sarajevo 


Conversazione con Giancarlo Bocchi Sarajevo 1993, pace e morte: la drammatica storia di Moreno Locatelli Un libro e un film ricostruiscono il caso dell'uccisione di uno degli attivisti dei Beati costruttori di pace che nel 1993 prese parte ad un'azione dimostrativa sul ponte di Vrbanja. Ne emerge una verità diversa da quella dei canali ufficiali e alcuni aspetti nascosti dell'assedio di Sarajevo -


Moreno Locatelli - Conversazione con Giancarlo Bocchi

Alessandro Barbero: la Storia





 Oggi è una di quelle giornate che non scorderò mai!

Dopo anni e anni di disgusto nel leggere pagine di pura propaganda e malainformazione alle volte anche pagata coi soldi pubblici, finalmente abbiamo trovato una pagina di storia vera! 

Che Dio li benedica !

Bravo Rolando Dubini, bravi tutti!

Alessandro Barbero: la Storia

IL CORRIDOIO

 



Per illustrare la vastità dell'opera di J.T.M. Visconti si pensi che questo è l'unico libro in lingua italiana finora uscito nel quale si narra in dettaglio, ed accompagnandola con fotografie, la grave vicenda dei musulmani anti-Izetbegovic del Bihac; è l'unico libro in lingua italiana che riporta le parole di Karadzic, estratte da alcune interviste in parte inedite; è probabilmente l'unico libro finora uscito in Italia a riportare le testimonianze dirette di chi ha vissuto la fine della aggressione NATO, nel giugno 1999, sul campo, e vivendo dunque in presa diretta i primi crimini commessi contro la popolazione non albanese in Kosovo-Metohija dopo la fine dei bombardamenti. È, inoltre, uno dei pochissimi libri usciti finora in Italia a documentare i danni causati, oltreché dalle bombe della NATO, anche dalle operazioni di disinformazione strategica che hanno accompagnato 15 anni (ormai) di squartamento della RFS di Jugoslavia: l'autrice fa "nomi e cognomi" delle agenzie di "public relations" implicate, riporta dati e circostanze esatte.

IL CORRIDOIO - di Jean Toschi Marazzani Visconti

Intervista a Jean Toschi Marazzani Visconti

Lepa Svetozara Radić, partigiana jugoslava




 Lepa Svetozara Radić è stata una partigiana e antifascista jugoslava di etnia serba bosniaca, membro dell'Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia durante la seconda guerra mondiale insignita postuma dell'Ordine dell'Eroe popolare il 20 dicembre 1951, per il suo ruolo nel movimento di resistenza contro le potenze dell'Asse, diventando la persona più giovane a riceverlo all'epoca.

Il 10 aprile 1941, dopo il successo dell'invasione della Jugoslavia, le potenze dell'Asse instaurano sul territorio uno Stato fantoccio chiamato Stato Indipendente di Croazia, che, in particolare, si estendeva su Bosanska Gradiška e dintorni. Nel novembre del 1941 Lepa Radić e altri membri della famiglia vengono arrestati dall'organizzazione fascista croata Ustascia, ma con l'aiuto di alcuni partigiani sotto copertura, lei, insieme a sua sorella Dara, riesce a fuggire dal carcere il 23 dicembre 1941. Subito dopo la fuga, Lepa decide di arruolarsi nella 7ª compagnia, 2° Distacco Krajiski.
Nel febbraio del 1943 Lepa Radić è la responsabile del trasporto dei feriti nella battaglia della Neretva a un rifugio a Grmech. Durante i combattimenti contro la 7. SS-Freiwilligen-Gebirgs-Division "Prinz Eugen" viene catturata e trasferita a Bosanska Krupa dove, dopo aver subito torture per diversi giorni nel tentativo di estrarle informazioni, viene condannata a morte per impiccagione.
Nei suoi ultimi momenti sul patibolo, i tedeschi si offrirono di risparmiarle la vita, in cambio dei nomi dei leader e dei membri del Partito Comunista del suo gruppo, offerta che rifiutò con le parole: "Non sono una traditrice del mio popolo. Coloro di cui mi chiedete, si riveleranno quando riusciranno a spazzare via tutti voi malfattori, fino all'ultimo uomo". «Lunga vita al Partito Comunista e ai partigiani, combattete, gente, per la vostra libertà! Non vi arrendete ai malfattori! Sarò uccisa, ma c'è chi mi vendicherà!». (Ultime parole gridate sul patibolo, con il cappio al collo)
Lepa Radić viene giustiziata pubblicamente a soli 17 anni.

martedì 22 giugno 2021

L' EUROPA E' MORTA A PRISTINA




Colonnello Jacques Hogard - L'Europa è morta quando la NATO ha espulso illegalmente il cuore della Serbia nel 1999, dice il principale comandante militare francese

a cura di Umberto Marabese 7.1.2019

Bruxelles, Parlamento europeo, 28 novembre 2018.
Conferenza: " KOSOVO E METOHIJA - CASO EUROPEO DI SEZIONE VIOLENTA "

Signore e signori,
Sono lieto di essere qui oggi su invito del Centro di studi geostrategici di Belgrado, qui al Parlamento europeo.
Come ufficiale francese di alto livello, ho prestato servizio in Macedonia e poi in Kosovo nella prima metà del 1999. Quando sono stato assegnato al comando delle operazioni speciali francesi, sono stato nominato capo del gruppo congiunto delle forze speciali che è intervenuto prima della KFOR francese Lo schieramento della brigata sotto il comando della NATO.
È per questo motivo che parlo oggi, avendo pubblicato qualche anno fa un libro dal titolo deliberatamente provocatorio: "L'Europa è morta a Pristina". Se non l'hai letto, ti consiglio di farlo! Lì troverai la mia testimonianza in questo tragico periodo...
Se si parla del Kosovo, il suo nome completo Kosovo-Metohija, non è infatti possibile ignorare il passato di questa regione, l'antico passato, la storia culturale e religiosa, la storia dell'identità serba e ortodossa sempre presente attraverso l'innumerevole e monumenti molto antichi, chiese, monasteri serbi trovati in tutta la provincia, ma anche il recente passato, e in particolare gli eventi degli anni '90 che culminarono nel 1999 durante la guerra che fu imposta alla Serbia, con il sostegno della NATO e dell'Unione Europea al Ribellione al KLA Albanese.
È in questo contesto che io stesso sono intervenuto in Kosovo a capo delle forze speciali francesi sotto il comando britannico.
Ciò che mi ha colpito in Kosovo nel 1999 è stata, prima di tutto, la grande disinformazione che ha preceduto e giustificato l'aggressione della NATO.
Anzi, è perché la parola "genocidio" è stata pronunciata dal presidente americano Bill Clinton e dal suo segretario di stato Madeleine Albright - che ha dato la cifra fatale e falsa di "100.000 morti" in Kosovo - che la NATO si permetterà di attaccare la Serbia nel marzo 1999, dopo le inaccettabili richieste degli alleati ai serbi durante i negoziati di Rambouillet che li costrinsero a rifiutare il Diktat, gli alleati volevano imporle su di loro.
Tuttavia, dopo la guerra del 1999, si vedrà che il numero delle vittime di tutte le origini, di tutti i gruppi etnici, civili o militari, sarà inferiore a 6.000.
Che è troppo, ovviamente, ma che non ha nulla a che fare con un "genocidio".
Ciò che mi colpì in seguito fu la sproporzione dei mezzi militari usati dalla coalizione alleata contro la piccola Serbia. Ricordo in particolare gli attacchi aerei massicci e senza fine, che hanno causato molte vittime innocenti, per non parlare delle ferite fisiche e psicologiche.
Era chiaro che si trattava di un procedimento forzato con la separazione tra la Repubblica di Serbia e la sua provincia del Kosovo, si potrebbe addirittura dire, l'amputazione di una delle sue più importanti entità territoriali. E non solo, perché mentre Kosovo-Metochia è oggi abitata soprattutto da albanesi, questo non è sempre stato il caso, e questa provincia rimane per i serbi il nucleo storico, spirituale, culturale e identitario della loro nazione.
Certamente, la Risoluzione 1244 delle Nazioni Unite (ancora in vigore, mai confutata dal 1999) ha permesso una separazione "di fatto" , un'amministrazione separata, per un periodo non specificato, ma ricordando chiaramente l'appartenenza del Kosovo alla Repubblica di Serbia.

domenica 20 giugno 2021

CHI SEMINA VENTO RACCOGLIE TEMPESTA . DVA

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ROVINARE I BALCANI

Nei primi anni 2000 sono nate le prime pagine web balcaniche post guerra. 

Erano praticamente tutte contro la Serbia perchè era l'unica che non si era allineata alla NATO e anche quella che avrebbe probabilmente vinto la guerra senza l'intervento americano.

Finchè c'è democrazia c'è pace e finchè si puo' discutere la parola è alle parole e non alle armi.

Negli ultimi tempi abbiamo invece visto nascere delle pagine serbofobiche senza senso

Naturalmente c'è libertà di pensiero, ma ogni pensiero dovrebbe essere portato avanti in modo educato e rispettando i pensieri altrui, mentre chiunque ha fatto notare a queste pagine i loro errori ha subito maleducazione e arroganza.

Con l'odio non si è mai costruito niente e non è mai servito nemmeno a chi scrive la pagina, tanto più se sono pagine post guerra che aizzano nuovamente un popolo contro un altro 

Il bello è che se mai i serbi volessero dire ancora qualcosa, sono stati quasi tutti bannati








Finalmente a Giugno 2021 nasce Riponderare i Balcani ed è subito un successo.

A luglio 2021 Rovinare i Balcani fa 20 post per ricordare i musulmani morti in Bosnia e zero per ricordare i serbi morti in Bosnia 

sabato 19 giugno 2021

PROPAGANDA. A




In questi giorni leggo solo di fango buttato gratuitamente addosso ai serbi con la scusa della condanna a Mladic'. Fior fiore di giornalisti, che sono di discendenza serba anche se vivono in Italia dicono: Ma smettetela di pensare che si da addosso a un popolo, stiamo solo parlando di un criminale. Bè oggi è successa una cosa strana, ma nemmeno poi tanto strana, perchè io l'odio di certe pagine serbofibiche lo leggo tutti i giorni. Ero al supermercato e sentivo parlare due signori di calcio. Credo si tratti degli europei anche se non ne capisco molto. Ho chiesto: scusate, sapete se la Croazia che ha perso la prima partita e pareggiato la seconda è fuori dal torneo? E loro gentilissimi: No signora, si decide tutto la prossima partita che devono vincere assolutamente, lei è croata? - No serba - Hanno cambiato faccia. Uno fa all'altro: è serba! E l'altro: se ne vada, siete un popolo di criminali. Pensate che io non sono manco serba. Però se ti fai le tue ragioni non va bene: vittimismo. Se dici: ma come.. Oric lo hanno assolto - benaltrismo . Insomma i serbi in qualche modo devono crepare. O sotto le bombe NATO o per l'odio seminato dai media. Grazie comunque. Per morire si muore tutti.. bisogna vedere poi come ti ricordano.. se perchè hai fatto del bene o perchè hai fatto del male


Massacrato di botte a tredici anni perchè serbo

Massacrato di botte a tredici anni, di fronte alla sua cuginetta di 17 terrorizzata, perché “stranieri”. E’ quanto è accaduto a due cuginetti di origine serba aggrediti sabato scorso nei pressi del Palazzetto dello sport di Cassano Magnago (Varese) da cinque minorenni italiani al grido di “Serbi di merda, tornate nel vostro Paese”. Secondo gli investigatori del commissariato di Gallarate, il 13enne residente a Busto Arsizio e la cugina diciasettenne residente a Cassano Magnago sono stati avvicinati, inseguiti e raggiunti dal gruppo di giovanissimi balordi che dopo averli pesantemente insultati con epiteti razzisti, hanno spintonato il ragazzino facendolo cadere per terra e qui lo hanno preso ripetutamente a calci. Portato in ospedale a Gallarate da alcuni parenti, la 17enne è stata dimessa con un giorno di prognosi per “ansia reattiva” (di fatti lo stato di choc), mentre il tredicenne è stato ricoverato nel reparto di pediatria con una prognosi di un mese per la frattura scomposta della tibia e del perone destri, oltre a diverse escoriazioni al capo. Ieri, grazie alle testimonianze dei due giovani che conoscevano di vista alcuni degli aggressori, la polizia ha denunciato per lesioni e ingiurie aggravate dai motivi di discriminazione razziale alla Procura presso il Tribunale dei minorenni di Milano cinque ragazzini di Cassano Magnago, uno dei quali non imputabile perché di età inferiore ai 14 anni.

venerdì 18 giugno 2021

Serbian monitor intervista Eric Gobetti



La pensiamo diversamente sia da Eric Gobetti che da Biagio Carrano, ma quando c'è onestà nei testi, quando non si cerca la propaganda, ma la verità, allora si accettano anche le critiche.

Dopo il successo e le violenti polemiche scatenate dal suo libro “E allora le foibe?”, Eric Gobetti è diventato uno degli storici più conosciuti e dibattuti degli ultimi anni in Italia. In questa intervista originale con il Serbian Monitor, Gobetti ci offre importanti considerazioni sul tema della rappresentazione del passato, più o meno prossimo, in funzione degli obiettivi dei leader politici emersi nella regione dopo il collasso della Jugoslavia, come anche sulle relazioni, a volte drammatiche altre volte idealizzate, tra Italia e Jugoslavia dopo la seconda guerra mondiale.

La reazione è di solito motivata dal fatto che il tribunale dell’Aia sembra aver punito solo i serbi. C’è del vero in questo e nasce dall’ambiguità di una guerra persa nei fatti anche se non ufficialmente. Ma è anche vero che la società serba è sempre più incapace di confrontarsi con i crimini commessi 25 anni fa. Paradossalmente c’era più opposizione politica al nazionalismo durante la guerra che dopo.

La jugonostalgia è sempre più forte, anche tra le nuove generazioni. Sembra che si sta diffondendo una sorta di mito di un’epoca felice, in cui c’era solidarietà e benessere, ma anche nella quale i popoli jugoslavi erano conosciuti e rispettati in tutto il mondo. Il confronto con la realtà di tutti i paesi post-jugoslavi di oggi è stridente.

La richiesta di maggior welfare e solidarietà sociale sulla base dell’esperienza storica precedente è senza dubbio molto diffusa. Ho dei dubbi che ciò riguardi la democrazia, almeno non nel senso della democrazia liberale. Ci sono due sbocchi che immagino possibili a breve e medio termine: uno è quello percorso da altri paesi dell’Est, ovvero la ricerca di un uomo forte, sul modello di Tito (ma ovviamente oggi il riferimento è Putin), che possa portare i rispettivi paesi a giocare un ruolo più significativo a livello internazionale; l’altra è la ricerca di maggiore integrazione fra i paesi dell’area post jugoslava, sulla base della comune esperienza storica e appartenenza culturale. Io mi auspico la seconda, ma temo la prima

Nei paesi dell’Est Europa i sistemi socialisti vengono di fatto imposti dall’Armata Rossa alla fine della guerra. Così non succede in Jugoslavia, che si libera da sola, con il proprio esercito partigiano. Il sistema politico dunque è autoctono, il risultato di una lotta di Liberazione condotta e supportata dalla maggior parte della popolazione. Certo anche quell’esperienza storica ha avuto contraddizioni e aspetti meno positivi (pensiamo alla resa dei conti a fine guerra), ma il governo di Tito è stato il risultato di una vera e propria rivoluzione sociale sostenuta da uno straordinario consenso.

Serbian monitor intervista Eric Gobetti

I FANTASTICI DISEGNI DI DRAGICA ILIC'

 





mercoledì 16 giugno 2021

Extinguished Countries




 E' stato presentato oggi a Venezia il nuovo libro di Giovanni Vale sui paesi che non esistono più. In particolare oggi è stata presentata la guida su Venezia e i suoi territori che interessano soprattutto noi amanti dei Balcani.

L'incontro è stato carino perchè a un certo punto si vede passare un cagnolone in mezzo ai presenti e poi abbiamo scoperto che Giovanni Vale oltre a essere bravo, come abbiamo sempre saputo, è anche molto bello

Quindi, se volete scoprire tanti tesori nascosti, in qualsiasi campo, dal turismo, alle opere d'arte senza tralasciare la cucina, acquistate questa guida che è anche molto bella nella presentazione. Le fotografie sono stupende 

Bravo Giovanni Vale!


Estinguished Countries è la prima serie di guida per i paesi che non esistono più. Siete pronti a scoprire il Mediterraneo in modo nuovo? Sostienici e salta a bordo, torniamo in barca verso la Repubblica di Venezia!

Extinguished Countries... salta a bordo!


lunedì 14 giugno 2021

NOVO - NAJBOLJE OD NAJBOLJEG

 


Mi sono sempre chiesto che strano il proverbio :

"Govori Srpski da te ceo svet razume"
trad. "Parla in serbo che ti capirà il mondo intero".

Images of Europe




 Francesco Mangiapane è un bellissimo ragazzo siciliano con i capelli neri e gli occhi azzurro mare.

Senza sapere bene cosa si sarebbe sviluppato, un giorno si innamora di Biljana e apre un blog dedicato ai Balcani.

Li ci troviamo in tanti, ma in particolare: io, Francesca, Skender e Davor. Da li nasciamo noi e pian piano vediamo che Francesco fa cose stupende, come scrivere libri e organizzare eventi.

L'ultima opera di Francesco ha dell'incredibile e giustamente va pubblicizzata: Complimenti anche alla coautrice: Tiziana Migliore 


Eccolo, finalmente, Images of Europe...
Dedicato a Paolo Fabbri e frutto del convegno omonimo organizzato al Centro Internazionale di Scienze Semiotiche Umberto Eco dell'Università di Urbino.
"L'Europa ha tutte le qualità dei suoi difetti. Essere un vecchio continente quando si parla di generazione, e non più solo di produzione, è un vantaggio e non più un inconveniente. Significa riprendere di nuovo la questione della trasmissione. Significa dare la speranza di passare dal moderno al contemporaneo [...].
Lasciamo che siano i fautori della Brexit, gli elettori di Trump, i turchi, i cinesi, i russi a darsi ancora ai sogni di dominio imperiale. Sappiamo che, se sognano ancora di regnare su un territorio nel senso della cartografia, non avranno maggiori possibilità di noi di dominare questa Terra che oggi domina noi come loro [...].
L'Unione europea, attraverso il suo incredibile bricolage di regolamenti giuridici inter-nazionali, può fornire un esempio di ciò che significa ritrovare un suolo abitabile" (Bruno Latour)

CI TROVATE IN FACE BOOK

  Balkan moja ljubav