Parallelamente, le milizie serbo-bosniache comandate dal generale Ratko Mladic mossero verso Srebrenica, cittadina ricca di giacimenti argentiferi collocata in una posizione altamente strategica, al centro della dorsale che costeggia ad ovest la Drina. Da questo piccolo centro urbano partivano molte delle incursioni attraverso cui i le milizie islamiste comandate dall’ex ufficiale dell’esercito bosniaco Naser Orić devastavano i villaggi serbi – clamoroso il massacro di serbi, puntualmente ignorato, compiuto dalle forze musulmane presso la cittadina serba di Kravica il 7 gennaio 1993 (data del Natale ortodosso) –, nonostante l’intera area territoriale fosse ufficialmente qualificata come “zona di sicurezza” smilitarizzata, sotto la supervisione dell’Onu. «Le operazioni – si legge all’interno di un rapporto redatto dal battaglione olandese incaricato di sorvegliare l’area per conto delle Nazioni Unite – erano relativamente imprevedibili perché le unità erano quasi senza addestramento e piuttosto indisciplinate. Le forze musulmane attaccavano sistematicamente dall’enclave prima di ripiegare nel territorio protetto delle Nazioni Unite. Inutile aggiungere che l’Unprofor, come i civili, erano utilizzati come scudi umani». Prima di conquistare la cittadina, Mladic incaricò un intermediario dell’Unprofor di intimare alle forze musulmane che si trovano all’interno del perimetro della zona smilitarizzata di deporre le armi, promettendo loro un trattamento conforme alle convenzioni di Ginevra e accettando di sottoporre il tutto alla supervisione dell’Onu. Il comando musulmano rispedì la proposta al mittente, limitandosi ad inviare donne, bambini ed anziani verso la base delle Nazioni Unite situata a Potočari. Una volta ultimata l’evacuazione – la cui regolarità in termini di diritto internazionale venne certificata sia da personale Onu, sia dai rappresentanti dell’esercito della Republika Srpska che da quelli musulmani – i guerriglieri rimasti sconfinarono nel territorio della Republika Srpska tentando di raggiungere l’enclave di Tuzla al fine di ricongiungersi alla 2° armata dell’esercito musulmano cui gli Stati Uniti forivano segretamente strumentazioni ed equipaggiamenti che consentivano alle forze islamiste di coordinare operazioni offensive. Le forze comandate da Mladic riuscirono tuttavia a intercettare il manipolo di guerriglieri, provocando una carneficina. Nonostante ciò, il 2° corpo dell’esercito musulmano si astenne dall’intervenire, sacrificando scientemente il cospicuo gruppo di miliziani penetrati nella Republika Srpska allo scopo di permettere al comandante della 28° divisione Naser Orić e ai suoi ufficiali più stretti di abbandonare Srebrenica, sfuggendo alle forze di Mladic. Così, Mladic non incontrò alcuna difficoltà nel conquistare la città, rammaricandosi tuttavia per non esser riuscito a catturare Orić. Quest’ultimo, nella fretta di abbandonare Srebrenica, non era riuscito a portare con sé la vasta documentazione che rivelava per filo e per segno gli spaventosi crimini di cui egli stesso e i suoi sottoposti si erano resi responsabili.
La storiografia ufficiale afferma che a Srebrenica le truppe comandate da Mladic si siano abbandonate a un efferato massacro di 8.000 civili, malgrado il conto delle presunte vittime scaturisse dalla mera sommatoria tra i 3.000 prigionieri catturati dalle forze serbo-bosniache e i 5.000 dispersi – gran parte dei quali vennero identificati in seguito – indicati in un rapporto stilato dalla Croce Rossa dietro suggerimento di Izetbegović , che si rifiutò sia di fornire l’elenco dei nominativi scomparsi, sia di organizzare un apposito censimento. «Se le autorità musulmane – osserva il presidente della Fondazione per la Ricerca sul Genocidio Milan Bulajic – avessero voluto veramente conoscere il numero delle vittime, avrebbero potuto organizzare nel 1996 un censimento della popolazione e compararlo con quello del 1991. Ma questo non è stato fatto perché, con quel censimento, il numero degli uccisi sarebbe emerso con precisione. Non è stato fatto nemmeno nel 2001, sebbene la legge stabilisca l’obbligatorietà di realizzare un censimento ogni dieci anni, perché sarebbe venuto fuori quanti serbi erano stati uccisi a Sarajevo e a Srebrenica. La Bosnia-Erzegovina è così rimasto il solo Paese nella regione a non aver provveduto a un censimento della popolazione […]. Forse non c’era l’intenzione di accertare una verità che avrebbe rivelato che un genocidio è stato perpetrato in 192 villaggi serbi della regione di Srebrenica e che il numero di serbi scomparsi o uccisi a Sarajevo era maggiore di quello dei musulmani scomparsi o uccisi a Srebrenica. Ecco perché affermo che a Srebrenica non c’è stato genocidio. Ci sono stati dei crimini di guerra da ambedue le parti». Numerosi cittadini serbi residenti nei dintorni della cittadina bosniaca denunciarono inoltre – senza ottenere la minima attenzione da parte delle autorità competenti – violenze commesse contro le loro famiglie dai guerriglieri musulmani, gettando un’ombra sulla identità dei cadaveri mostrati dai bosgnacchi. La Commissione Internazionale per le Persone Scomparse (Icmp) fondata per volontà diretta del presidente Clinton, sostenne di aver identificato, sottoponendoli alla prova del Dna, oltre 6.000 cadaveri uccisi a Srebrenica dalle forze di Mladic, ma quando il legale dell’imputato Radovan Karadžić richiese la trasmissione della documentazione relativa alle presunte identificazioni, l’Icmp oppose un secco rifiuto adducendo ragioni legate alla privacy dei (presunti) parenti delle vittime. L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti dell’uomo Henry Wieland affermò che i suoi uomini non avevano raccolto alcuna prova in grado di accertare le presunte esecuzioni di massa a danno dei musulmani di cui erano accusati i serbi.
Molti dei corpi spacciati da Izetbegović per “vittime di Srebrenica” rappresentavano in realtà i cadaveri dei miliziani musulmani deceduti nel corso delle battaglie contro le forze serbo-bosniache di Mladic. Il paragrafo 115 del rapporto redatto da una commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite il 15 novembre 1999 rivela inoltre l’esistenza, confermata anche dal capo della polizia di Srebrenica, di un negoziato segreto in cui Clinton pose una strage di almeno 5.000 musulmani come precondizione per l’intervento diretto della Nato contro la Repubblica Srpska. E mentre un’ondata di fuoco mediatico cominciava a bersagliare incessantemente i serbi e i loro leader politici Slobodan Milošević, Radovan Karadžić e Milan Martić, nessun resoconto giornalistico fu pubblicato per far luce sui massacri compiuti nei territori di Brantunac dai membri dell’Armata della Repubblica di Bosnia-Erzegovina comandata da Naser Orić, coadiuvata da mujaheddin musulmani provenienti dall’intera galassia islamica e assistita da agenzie private messe a disposizione di Izetbegović come la Military Professional Resources Inc. finanziata da Stati Uniti, Arabia Saudita e Malaysia. «A posteriori – osserva l’esperto analista John Schindler –, appare sorprendente che Izetbegović e la Sda siano riusciti a celare tali crimini e a dipingersi come vittime davanti all’Occidente. Come i musulmani siano riusciti a demonizzare i propri nemici e ad ottenere il sostegno dell’Occidente cristiano, ed in particolare degli Stati Uniti, nella loro guerra per l’Islam, rappresenta forse la più straordinaria e sconfortante saga della guerra civile bosniaca».
Tratto dal web
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Ma veramente quello che viene raramente messo in discussione, il problema più importante, è di sapere quanti fra quelli siano stati giustiziati, essendo dato che molti dei corpi ritrovati nelle sepolture sul posto sono di vittime dei combattimenti, e che una gran parte dei musulmani Bosniaci che erano scappati dalla città sono arrivati senza intoppi in territorio bosniaco musulmano. Alcuni cadaveri riesumati sono perfino dei numerosi Serbi ammazzati nel corso di razzie effettuate dai musulmani Bosniaci, mentre se ne andavano da Srebrenica nel corso degli anni che hanno preceduto il luglio 1995.
Comunque, esistono tre elementi che avrebbero dovuto sollevare dei pesanti interrogativi a proposito del massacro, a quell’epoca e ancor oggi, cosa che non è mai avvenuta.
Il primo è che il massacro ha soddisfatto molto opportunamente le necessità politiche del governo Clinton, dei musulmani Bosniaci e dei Croati.
Il secondo è che già in precedenza si era tenuto conto, prima di Srebrenica (e si è continuato a farlo anche in seguito), di una serie di pretese atrocità serbe, rivelate regolarmente nei momenti strategici in cui si preparava un intervento violento degli Stati Uniti e del blocco della NATO, e perciò vi era la necessità di un solido sostegno dell’opinione pubblica e di relazioni pubbliche, atrocità che in seguito venivano dimostrate essere mai avvenute.
Il terzo è che le prove di un tale massacro, di almeno 8.000 fra giovani e uomini adulti, sono sempre state per lo meno poco attendibili.
Alcuni personaggi autorevoli musulmano-Bosniaci hanno dichiarato che il loro presidente, Alija Izetbegovic, aveva loro comunicato che Clinton aveva avvertito che l’intervento avrebbe avuto luogo solamente nel caso in cui i Serbi avessero ammazzato a Srebrenica più di 5.000 persone. [4] L’abbandono di Srebrenica da parte di una forza militare ben più consistente di quella degli attaccanti, e la ritirata che aveva reso vulnerabile questa forza superiore e che aveva comportato moltissime vittime in combattimento o nelle rese dei conti, avevano permesso di arrivare a quelle cifre che corrispondevano, più o meno, al criterio di Clinton.
Esistono le prove che la ritirata di Srebrenica non derivava da alcuna necessità militare, ma corrispondeva ad una decisione strategica, secondo la quale le perdite incorse erano un sacrificio obbligatorio in favore di una causa più importante.
Le autorità Croate erano entusiaste di vedere che si svelava un massacro avvenuto a Srebrenica, poiché questo stornava l’attenzione dallo loro devastante pulizia etnica nella Bosnia occidentale, avvenuta ben prima, a spese dei Serbi e dei Musulmani di Bosnia, (pressoché completamente ignorata dai media Occidentali). [6] E questo avrebbe fornito una giustificazione per l’espulsione già pianificata di molte centinaia di migliaia di Serbi dalla regione della Krajina, in Croazia.
Questa operazione di pulizia etnica massiccia è stata condotta con l’approvazione degli Stati Uniti e il loro sostegno logistico, appena un mese dopo gli avvenimenti di Srebrenica, e ha probabilmente causato la morte di molti civili Serbi, che non avevano nulla a che vedere con le uccisioni di civili Bosniaci musulmani, avvenute in luglio nel settore di Srebrenica.
Dopo il suo esordio, il TPI è stato il braccio giuridico delle potenze della NATO che lo hanno creato, finanziato, utilizzato come strumento di polizia e di informazione, e di cui in contraccambio hanno beneficiato dei servigi che si aspettavano.[10]
Il TPI si è concentrato intensamente su Srebrenica e ha raccolto sedicenti conferme importanti, indipendenti dalla realtà del massacro, accompagnate da affermazioni di “genocidio” pianificato “utilizzabili in ambito giudiziario”.
Tokača sottolinea quanto sia importante che la società bosniaca si liberi dal mito della propria tragedia. "La Bosnia è stata vittima di un mito e di narrazioni mitiche. Se continuiamo a perpetuare il mito sulla nostra società, a giocare con i numeri delle vittime e a diffondere bugie, finiremo per riprodurre le dinamiche che sono sfociate nella guerra contro la Bosnia Erzegovina e contro la sua struttura sociale e culturale". Atlante dei crimini di guerra, pubblicato da Osservatorio Balcani e Caucaso il 3/6/2019
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