domenica 31 agosto 2025

Jugocoord segreteria

 



E' una tra le pagine più belle del web 




BRAVISSIMO ERIC GOBETTI!

 













Rab/Arbe – Corso di formazione




Il campo di concentramento italiano di Arbe (oggi Rab, in Croazia) fu uno dei peggiori campi italiani della Seconda guerra mondiale: circa 12.000 internati, quasi 1.500 morti per fame e malattie nei soli 14 mesi in cui il campo rimase in funzione, prima della Liberazione nei giorni immediatamente successivi all’Armistizio dell’otto settembre 1943.

Proprio per questo, anche quest’anno, sarà l’isola di Rab a ospitare il nostro corso di formazione per docenti, educatori e operatori della Memoria, sulla storia dei crimini fascisti e della memoria che oggi ne rimane. Un’occasione per conoscere più da vicino la storia di questo campo.
Due giorni di seminari, uscite sui luoghi e laboratori didattici per riflettere su una pagina di storia che spesso viene tralasciata, quando non volutamente dimenticata, nel dibattito pubblico e nelle aule scolastiche.

Un progetto di Eric Gobetti e Andrea Giuseppini
a cura di Istoreco Reggio Emilia

Come per tutti i nostri percorsi, sarà presente, per l’intera durata del viaggio, un ricercatore storico che si occuperà della contestualizzazione del luogo all’interno della storia e di agevolare le operazioni di logistica. Prima della partenza, si terrà un incontro introduttivo online in modo che i partecipanti possano partire con una base di informazioni, storiche e pratiche, per meglio affrontare il viaggio.

Per informazioni e prenotazioni scrivi a  viaggimemoria@istoreco.re.it 

Orari: lunedì – mercoledì – giovedì 14:30-16:30



giovedì 28 agosto 2025

2010. Osservatorio Balcani e Caucaso

Marzo 1981. Attacco armato di 2000 studenti dell’Università di Pristina cui si aggiungono comuni cittadini e operai. Vengono distrutti negozi, auto, case dei cittadini slavi. I morti sono oltre 1000, la maggior parte per armi da fuoco (fonti: Min. Interno)
Aprile 1981. Treni deragliati, scuole date alle fiamme, attentati alla centrale elettrica di Kosovo Polje e alla fabbrica di Urosevac. 680 incendi dolosi causano danni per 70 milioni di dinari tra il 1980 e il 1981 (dati Ministero degli Interni).
13 Maggio 1981. Franjo Herlevic, segretario federale agli interni, denuncia l’attacco allo Stato da parte del gruppo terrorista-criminale “fronte rosso”, legato ai servizi segreti albanesi e al governo albanese (il Fronte Rosso era un gruppo terroristico nazionalista clandestino, che diffondeva la paura con omicidi ed esecuzioni, nato dopo la rottura tra Tito e Stalin e l’uccisione di Koci Xoxe, probabilmente finanziato inizialmente da Stalin contro la Jugoslavia ribelle. In Kosovo e Metohija è stato particolarmente attivo dal 1981. Per maggiori info leggere Political Terrorism).
Aprile-Ottobre 1981. Oltre 10.000 slavi lasciano il Kosovo per sfuggire alle violenze etniche albanesi. Il Censimento di quell’anno mostra un’impennata negli squilibri demografici (popolazione serba nei censimenti: 1953 28%, 1971 21%, 1981 15%).
Ottobre -Novembre 1982. 3 bombe esplodono a Pristina. Attentati verso funzionari , esecuzioni, assassini di cittadini non-albanesi e violenze etniche aumenteranno esponenzialmente di anno in anno.
1981-1987. Sgominati oltre 200 gruppi mafioso-terroristici, 5.200 arresti, ma molti restano in clandestinità, altri all’estero (Albania, Germania, Italia, USA). Fonte: Ministero Intero.
Giugno 1987. I profughi slavi in fuga dal Kosovo salgono a 22.000. Popolazione serba in KosMet: 10% (censimento 1987)
1988. Escalation della violenza verso la minoranza slava: attentati, esecuzioni di funzionari, omicidi, intimidazioni, sfratti si moltiplicano. I profughi aumentano a oltre 30.000.
Fine 1989. I gruppi terroristico-criminali si uniscono nel Movimento popolare del Kosovo (LPK), formazione terrorista, criminale e nazionalista che si finanzia col traffico di droga, armi, esseri umani e contrabbando di organi. Tra gli affiliati Adem Jashari, Iljaz Kodra Jakup Nura, Sahit Jashari, Hashim Thaci, Sami Lushtaku, Fadil Kodra, Rexhep Selimi e altri. (molti ricoprono tuttora le più alte cariche nel governo di Pristina)
1990-1991. In Albania si addestrano terroristi e criminali vari per la formazione di un “esercito del Kosovo”. In questo gruppo sono Adem Jashari, Sahit Jashari e Murat Jashari, Iljaz Kodra Fadil Kodra. Il movimento terroristico è sempre clandestino ma sui singoli terroristi (noti anche al Dip. Stato USA) pendono già mandati di cattura internazionali; Nel solo anno 1991 vengono compiuti 119 attentati verso polizia e civili serbi (dati ministeriali). La stampa kosovara scrive apertamente che l’esecutore di molti attentati è Adem Jashari.
1992. In Albania fioriscono numerosi gruppi terroristci e criminali come NPK, NPOK cui fanno parte anche Thaci e Haradinaj (lo stesso Haradinaj dichiarerà che i gruppi stragisti che seminarono il terrore negli anni 80 e primi 90 furono la base per la creazione dell’UCK. Gli affiliati erano gli stessi). Sono uno scandalo diplomatico le foto che scatta la CNN in Albania, a Elbasan, che mostrano terroristi kosovari ricercati mentre vengono addestrati da ufficiali albanesi in divisa. La polizia serba scopre interi arsenali che i gruppi terroristici hanno spostato dall’Albania al Kosovo.
5 Aprile 1993. In casa Jashari gruppi armati e politici kosovari e albanesi pianificano escalation dell’attività terrorista contro polizia e civili serbi, e riuniscono la miriade di clan armati in un vero e proprio esercito clandestino con struttura militare e 40.000 uomini: l’UCK. Uno dei leader è Rexhep Selimi, in seguito uno dei comandanti dell'UCK e poi il Kosovo Protection Corps (in violazione degli accordi internazionali e della risoluzione 1244 che ordinava il disarmo dell’UCK e di tutti i suoi affiliati). In quel gruppo Azem Syla, Hashim Thaci, Sokol Bashota ecc…
La storia degli ultimi anni dell’UCK (inserito nel 97 dagli USA tra i gruppi terroristici internazionali) è cosa nota. Nonostante il disarmo dell’UCK previsto dagli accordi internazionali, i terroristi sono passati in massa nel Kosovo Protection Corps, ed il partito dell’UCK, il PDK fondato nel 99 dai terroristi, è il primo partito, il partito del capo di governo (condannato a 10 anni per terrorismo e genocidio)
Osservatorio Balcani e Caucaso 12/11/2010

Giulietto Chiesa: 'USA vogliono Europa debole, Putin no'

 






mercoledì 27 agosto 2025

OMAGGIO A DUBRAVKA UGRESIC'

 Una grande donna jugoslava 











Per il resto, la società croata non è cambiata?
Sono stati trent’anni di brutale tirannia nazionalista. I croati si sono abituati a vivere immersi in una pesante corruzione. La Croazia era (e forse lo è ancora) uno stato “democratico” strutturato come una mafia. Le persone sono mentalmente schiave: non protestano contro la falsificazione della storia, contro la politica di riabilitazione dello stato nazista fantoccio di Pavelic durante la seconda guerra mondiale, contro le forti tendenze filofasciste o neofasciste, contro la stigmatizzazione del movimento di resistenza jugoslavo durante la seconda guerra mondiale, contro la catastrofica mancanza di competenza politica e di altro tipo delle persone al potere. 










sabato 16 agosto 2025

Gospic: azione legale della vedova Levar

 Post di Osservatorio Balcani 

La vedova del testimone di crimini di guerra assassinato chiede i danni al governo croato. Ufficiale croato, Milan Levar aveva testimoniato contro il proprio esercito per i crimini commessi nei confronti della popolazione serba in Krajna. Tornato in Croazia dopo aver reso le proprie dichiarazioni all'Aja, fu assassinato di fronte al figlio nella propria casa di Gospic. Ora la vedova chiede al governo croato i danni per non averlo protetto. Drago Hedl ricostruisce la vicenda in questo articolo scritto per l'Institute for War and Peace Reporting (IWPR), traduzione di Carlo Dall'Asta.

Gospic: azione legale della vedova Levar


Levar , nato a Gospić , fu assassinato da una bomba piazzata sotto la sua auto fuori dalla sua casa a Gospić il 28 agosto 2000, perché si era pubblicamente battuto per la giustizia per le vittime dei crimini commessi durante la guerra d'indipendenza croata 

Milan Levar

Milan Levar in Balkan crew


venerdì 8 agosto 2025

Crimea e Kosovo due pesi due misure due basi militari

 Ho trovato questo articolo nel web. Se ci sono imprecisioni fatemelo sapere. E' del 2014 




Crimea e Kosovo due pesi due misure due basi militari - di Ennio Ennio Remondino"
L’eventuale indipendenze della Crimea sarebbe illegale dice Obama, anche se fotocopia di quanto accaduto in Kosovo. Lo sostengono Usa e Ue, ma nessuno dà spiegazioni. Crimea e il Kosovo hanno molte cose in comune, ma la più importante è l’avere basi militari decisive per Russia e Usa in casa
Paese che vai, diritto all’autodeterminazione che trovi. Nel senso che come è noto, non tutti siamo eguali anche del diritto a scegliere. Ad esempio, per Obana, Presidente e Nobel Usa, il proposto referendum di separazione della Crimea dall’Ucraina “Violerebbe la legge internazionale e non rispetta la Costituzione del paese”. Manca la spiegazione, ma continua: “Sono fiducioso che lavoreremo assieme ai nostri alleati in Ue per reagire contro l’aggressione russa all’Ucraina”. Usa e Ue compatti, dice Obama sempre senza spiegare perché e per come la Crimea non dovrà scegliere.
Nei giorni scorsi molti hanno paragonato gli eventi in Crimea con della Nato contro la Jugoslavia nel 1999. Eventi diversi interpretati a proprio piacimento, anzi, a proprio comodo. Ad esempio l’ex ambasciatore americano a Mosca Michael McFaul ha sostenuto una presunta grande differenza tra la situazione in Crimea e quella in Kosovo nel 1999 sulla base della minaccia nei confronti della parte che se ne vuole andare. La Serbia aveva minacciato i kosovari, mentre l’Ucraina dell’eroica Maidan, non minaccia nessuno dei russi o russofoni che in Crimea sono la stragrande maggioranza?
Mi verrebbe da ricordare al disattento mister Michael McFaul le variabili della storia e suggerire prudenza. Ricordandogli, ad esempio, le parole dell’allora sui collega nei Balcani, Christopher Hill da Skopje, quando definì i ribelli kosovaro albanesi armati dei banditi e dei terroristi. Poi, pochi mesi dopo fu convinto da Washington o da altra località nei dintorni, Langley ad esempio, che quelli dell’Uck erano invece dei patrioti, dei combattenti per la libertà da sostenere a tutti i costi. Potrebbe accadere anche il contrario Mr. McFaul: scoprire che i tuoi partigiani erano banditi Nazi.
Torniamo al parallelo Crimea-Kosovo. Quesito all’incontrario. Chi minacciava chi in Kosovo? Nella Provincia autonoma del Kosovo vivevano serbi, albanesi, turchi ed altri popoli. Non esistono i kosovari. Chi hanno scelto di difendere gli Stati Uniti scendendo in campo attraverso la Nato? In Kosovo non viveva allora nessun americano, mentre in Crimea vive un milione e mezzo di russi. Questa è una grande differenza. Lo ha scritto sul Guardian Ian Traynor ricordando alcune ragioni di Milosevic durante le guerre nella Jugoslavia che, gestite per l’Ucraina da un Putin fa la differenza.
Nel dubbio oltre che politico e storico persino linguistico uno si rivolge anche al vocabolario. Si litiga su tutto. Autodeterminazione ottenuta dagli albanesi del Kosovo e chiesta ora dai Russi di Crimea. Sinonimi: autodecisione, autogestione, autonomia, indipendenza, libertà, separatismo, sovranità. Se passi al secessionismo e alla Trecani, leggi di “Separazione, distacco di una parte o di un gruppo dall’unità sociale, politica, militare di cui faceva parte, in seguito a grave disaccordo con la parte restante e come forma di aperta protesta e ribellione: fare, e/o minacciare una secessione”.
Torniamo al Kosovo e al Guardian che, essendo anglosassone, non può essere accusato di essere “filo qualcosa” anche ripete ciò che sin materia sostengo io da sempre. Milosevic non aveva la forza di resistere all’espansione della Nato verso est. L’America aveva scelto la Provincia autonoma serba del Kosovo e Metohija per creare la sua base strategica. E ha usato l’Esercito di Liberazione del Kosovo, l’Uck di cui già abbiamo detto. L’uso stupido delle forze anti-terrorismo serbe, l’inganno nel villaggio di Racak, è stato il pretesto per il bombardare la Jugoslavia senza autorizzazione Onu.
Dieci anni più tardi Helena Ranta, esperto giuridico finlandese, ha ammesso che la relazione sul presunto massacro era stata scritta sotto la pressione dell’allora capo della missione Osce in Kosovo William Walker. Galantuomini in Kosovo come a Kiev? Risultato per il Kosovo, la seconda più grande base in Europa per gli Stati Uniti. “Camp Bondsteel”, villaggio di Orahovac, permette all’Alleanza Atlantica di controllare l’area del Mediterraneo e del Mar Nero, le rotte in Medio Oriente, Nord Africa e Caucaso e il transito energetico dalla regione del Caspio e dell’Asia centrale.
Per gli Usa essersi stabiliti in Serbia è legittimo e molto vantaggioso. Gli americani non pagano nessun canone per l’utilizzo di terreni pubblici in Kosovo. La Russia, che il capitalismo furbo lo ha scoperto da poco, per la sua base paga 100 milioni di dollari all’anno. Poi c’è la storia che da una parte pesa da secoli e dall’altra semplicemente non esiste. La Flotta russa del Mar Nero si trova in Crimea da 230 anni. Gli Stati Uniti sono nei Balcani attraverso la Nato dal crollo della Jugoslavia e dopo una sommossa interna da loro favorita. Per creare un Quasi Stato riconosciuto dagli amici.
La galassia di Stati ex Urss in cerca di identità nazionale è difficile persino da ricordare: Nagorno Karabakh, la Transnistria, ora la Crimea, prima furono l’Abcasia e l’Ossezia del Sud ai confini con la Georgia. Boris Eltsin scaricò il georgiano Eduard Shevarnadze. Ora c’è Putin. Che nel 2006 ha usato il precedente Kosovo per dettare il nuovo corso della politica estera russa. Per il Cremlino il principio dell’autodeterminazione dei popoli applicato ai kosovari doveva valere anche per gli Stati non riconosciuti sullo spazio dell’ex Urss. Salva la forma di definire il Kosovo una provincia serba.
Crimea indipendente o Crimea confederata con l’Ucraina, serve il sostegno economico russo. Mentre lì attorno i problemi si moltiplicano. La Moldavia non ha rinunciato alla firma dell’accordo di associazione con l’Unione europea. Mosca non ha gradito e ha rivolto la sua attenzione sullo Stato non riconosciuto della Transnistria, territorio con una vasta popolazione russa che si è staccato dalla Moldavia dopo il crollo dell’impero sovietico. Uno stato indipendente de facto governato da un’amministrazione autonoma nella città di Tiraspol. Conflitto congelato, ma non accantonato."
Ennio Remondino


giovedì 7 agosto 2025

Croazia: la distruzione dei libri negli anni '90

 








I MASSACRI IN KRAJINA

 






Krajina 1995: “Sve čisto” (Tutto pulito) - non c'è più un serbo in Croazia disse Tudjman


+6 AGOSTO 1995 ++ Le milizie croate entrano a Petrinja, Kostajnica, Vrginmost, subito ribattezzata Gvozd, Korenica, Slunj, Plitvice, Cetingrad, Ubdina e altre località. Resistono ancora Glina e Topuško. Nella Knin conquistata sono centinaia i morti, decine le case distrutte, 30.000 i civili serbi che fuggono.

Il generale musulmano Dudaković ordina d’incendiare i villaggi serbi della Krajina occidentale nelle zone di Sanski Most, Petrovac, Kljuć.
Radio Zagabria annuncia che “la cosiddetta Krajina” non esiste più. Proprio a Knin il 17 agosto ‘90 iniziava la ribellione dei serbi di Croazia contro le autorità di Zagabria e migliaia di croati furono cacciati dalle loro case o uccisi dalla “pulizia etnica” serba.
Le 18,00 segnano la fine dell’+Operacija Oluja+. Tuđman, dall’alto della fortezza turco-veneta di Knin, può esclamare: “Finalmente il tumore serbo è stato strappato dalla carne croata!”. I neo-ustaša scandiscono, interrompendolo: “Ante, Ante”, esaltando i loro due “eroi”. Uno è Ante Pavelić, il podglavnik.
L’altro è Ante Gotovina, comandante del settore sud dell’Operazione. La sua immagine, riprodotta su centinaia di magliette e su grandi fotografie è offerta provocatoriamente per le strade di Knin, dove si cantano inni fascisti, sventolando stendardi nero-teschiati. Una gigantografia di Gotovina è piantata sulla pietraia carsica. Diventerà l’“eroe” fuggiasco, in quanto ricercato dal Tpiy per crimini di guerra e contro l’umanità commessi contro la popolazione serba. Gotovina è accusato della morte di 150 civili serbi e, con altri membri dell’Hvo, di aver perseguitato e espulso oltre 200.000 serbi dalla Krajina


6 agosto 1995
Le reazioni all’Operazione Tempesta-Oluja sono molteplici e di segno diverso. Mentre Russia e Unione europea condannano
l’offensiva, gli Usa dichiarano di comprenderla e giustificarla perché elemento decisivo per la stabilizzazione dei Balcani.
Le milizie croate entrano a Petrinja, Kostajnica, Vrginmost, subito ribattezzata Gvozd, Korenica, Slunj, Plitvice, Cetingrad, Ubdina e altre località. Resistono ancora Glina e Topuško.
Nella Knin conquistata sono centinaia i morti, decine le case distrutte, 30.000 i civili serbi che fuggono.
Radio Zagabria annuncia che “la cosiddetta Krajina” non esiste più. Proprio a Knin il 17 agosto ‘90 iniziava la ribellione dei serbi di Croazia e migliaia di croati furono cacciati dalle loro case o uccisi dalla “pulizia etnica” serba.
Le 18,00 segnano la fine dell’Operacija Oluja. Tuđman, dall’alto della fortezza turco-veneta di Knin, può esclamare: “Finalmente il tumore serbo è stato strappato dalla carne croata!”.
Le agenzie di stampa diffondono una foto di Tudjman in una
ridicola divisa bianca ornata da orpelli dorati, decorazioni e simboli croati, tanto che l’Economist vi aggiunge la didascalia “Napoleon Tudjman”.
I neo-ustaša scandiscono, interrompendolo: “Ante, Ante”, esaltando i loro due “eroi”. Uno è Ante Pavelić, il podglavnik. L’altro è Ante Gotovina, comandante del settore sud dell’Operazione. La sua immagine, riprodotta su centinaia di magliette e su grandi fotografie è offerta provocatoriamente per le strade di Knin, dove si cantano inni fascisti, sventolando stendardi nero-teschiati. Una gigantografia di Gotovina è piantata sulla pietraia carsica. Diventerà l’“eroe” fuggiasco, in quanto ricercato dal Tpiy per crimini di guerra e contro l’umanità commessi contro la popolazione serba. Gotovina è accusato della morte di 150 civili serbi e, con altri membri dell’Hvo, di aver espulso oltre 200.000 serbi dalla Krajina..
Un ufficiale di collegamento croato racconta alla stampa che alcune settimane prima il generale Vuono della Mpri ha avuto un incontro segreto nell’isola di Brioni con il gen. Červenko, capo di Stato maggiore croato, l’architetto della campagna di Krajina. Nei giorni che hanno preceduto l’attacco si sono tenute almeno dieci riunioni tra il gen. Vuono e gli ufficiali croati che pianificavano l’operazione.

6 agosto 1995, continua la cronaca postuma.
Le milizie croate entrano a Petrinja, Kostajnica, Vrginmost, subito ribattezzata Gvozd, Korenica, Slunj, Plitvice, Cetingrad, Ubdina e altre località. Resistono ancora Glina e Topuško.
Nella Knin conquistata sono centinaia i morti, decine le case distrutte, 30mila i civili serbi che fuggono.
Il generale musulmano Dudaković ordina d’incendiare i villaggi serbi della Krajina occidentale nelle zone di Sanski Most, Petrovac, Kljuć. Radio Zagabria annuncia che “la cosiddetta Krajina” non esiste più.
Proprio a Knin il 17 agosto ‘90 iniziava la ribellione dei serbi di Croazia contro le autorità di Zagabria e migliaia di croati furono cacciati dalle loro case o uccisi dalla “pulizia etnica” serba.
Le 18,00 segnano la fine dell’Operacija Oluja. Tudjman, dall’alto della fortezza turco-veneta di Knin, può esclamare: “Finalmente il tumore serbo è stato strappato dalla carne croata!”.
I neo-ustasha scandiscono, interrompendolo: “Ante, Ante”, esaltando i loro due “eroi”. Uno è Ante Pavelić, il podglavnik. L’altro è Ante Gotovina, comandante del settore sud dell’Oluja. La sua immagine, riprodotta su centinaia di magliette e su grandi fotografie è offerta provocatoriamente per le strade di Knin, dove si cantano inni fascisti, sventolando stendardi nero-teschiati.
Una gigantografia di Gotovina è piantata sulla pietraia carsica. Diventerà l’“eroe” fuggiasco, in quanto ricercato dal Tpiy per crimini di guerra e contro l’umanità commessi contro la popolazione serba. Gotovina è accusato della morte di 150 civili serbi e, con altri membri dell’Hvo, di aver perseguitato e espulso oltre 200.000 serbi dalla Krajina.

+8 AGOSTO 1995++ Ogulin, Josipdol, Vojnić, Plaški, Ličko Jesenice e Saborško sono ridotti a un deserto. Funzionari dell’Unhcr affermano di aver disposto l’invio di centinaia di feriti a Banja Luka e di aver visto decine di mezzi di trasporto incendiati. Fra Topuško e Dvor na Uni decine di migliaia di civili sono imbottigliati. Di tanto in tanto arriva qualche cannonata da lontano. Dai campi attraversati dalla strada che porta al confine, i contadini serbobosniaci offrono cibo e acqua ai profughi oppressi dal caldo e dalla sete. Da
Belgrado arriva l’ordine di accogliere in Serbia solo donne, bambini e anziani, respinti i profughi in grado di combattere. Caschi blu ucraini riportano che soldati bosniaci hanno incendiato case in località della Banovica croata.
Akashi, Milošević e Janvier s’incontrano per discutere le sorti della Slavonia.
+Roger Charles+, un tenente-colonnello in pensione e ricercatore della Marina americana, premiato per la sua opera dalla Investigative Reporter and Editors Association, è convinto che la +Mpri + è abbia svolto un importante ruolo nella campagna di Krajina.
+”Nessun Paese può passare dalle milizie composte da canaglie raccolte per la strada alla messa in atto di un’offensiva militare professionale, senza avere ricevuto aiuto”+ .
+”I croati hanno fatto un buon lavoro di coordinamento dei mezzi blindati, dell’artiglieria e della fanteria. Non è qualcosa che s’impara mentre si riceve un addestramento sui valori democratici”

9 AGOSTO 1995 ++ Il governo croato concede che i profughi escano dalla “sacca” e raggiungano la Serbia.
È una colonna infinita di trattori e carri agricoli, che passano accanto ad altri trattori e carri capovolti e bruciati, lasciati da chi li ha preceduti. Si vedono abbandonati letti, frigoriferi, oggetti vari, documenti personali. Nove anziani serbi, di cui alcuni handicappati, trasferiti da una struttura di Petrinja, sono trascinati in una scuola e trucidati a sangue freddo.
Un giornalista danese riporta infatti la testimonianza di un casco blu secondo cui soldati in uniforme senza insegne hanno ucciso a sangue freddo diversi civili indifesi, di cui alcuni in sedia a rotelle. Secondo informazioni giornalistiche l’uccisione dei civili sarebbe avvenuta davanti a soldati dell’Uncro, che stazionavano nei pressi della scuola di Dvor, che non avrebbero impedito il massacro poiché non avevano l’ordine di intervenire…
Nei pressi di Sisak, alla presenza di soldati e poliziotti croati, alcune monache ortodosse sono uccise a calci e bastonate.
Il Globus di Zagabria annuncia che molti croati vogliono che Tuđman sia nominato presidente a vita per aver estirpato dal paese la “malaerba”.
Nato e Nazioni Unite firmano un accordo che attesta le nuove intenzioni interventiste dell’Occidente. L’atteggiamento risoluto degli Usa riesce a influenzare anche Mosca, Parigi e Londra, mentre provoca la frustrazione dei serbi di Bosnia, che si sfogano sulle enclave di Tuzla e di Goradže.
++ A New York, il Dipartimento di Stato Usa presenta, a porte chiuse, al Consiglio di Sicurezza dell’Onu sette fotografie satellitari, con data e ora, che comprovano le uccisioni di massa e le fosse comuni relative ai massacri di musulmani da parte dei serbo-bosniaci nella zona di Srebrenica a luglio.

Bruno Maran. Dalla Jugoslavia alle Repubbliche indipendenti








martedì 5 agosto 2025

La letteratura in Croazia, una storia falsificata

 


















Vuk Karadzic ha dimostrato che l'idioma "stocavo" era parlato solo dai serbi 





La mostra alla Pinacoteca di Brera "Marino Darsa lo Shakespeare croato" non piace per i seguenti motivi
Marino Darsa è nato a Ragusa, nella Repubblica di Ragusa quando la Croazia stava a 400 km più su 
Era di origine serba di Kotor (Montenegro)
Parlava stokavo ovvero l'idioma parlato solo dai serbi, tant'è che Tudman ha cambiato la lingua croata proprio per differenziarsi dai serbi 
Gli organizzatori hanno ignorato la legge sul patrimonio culturale serbo anche se ne erano a conoscenza 














Una volta falsificati, ovvero croatizzati, nome e cognome di uno scrittore, di un pittore, di un musicista che nacque o visse sul territorio che oggi fa parte della Croazia, la sua opera diventa automaticamente croata. 

E' vietato ai croati rubare la cultura dalmata

Con la legge sui beni del patrimonio culturale serbo son finiti i furti






A Dubrovinik ancora oggi si sentono dalmati e non croati e c'è una scritta contro Zagabria ad ogni angolo di strada. La Dubrovacka republika non è mai esistita se non sulla bocca di qualche persona poco istruita che non sapeva dire Repubblica di Ragusa. I croati giocano sull'ignoranza delle persone, ma fortunatamente internet ci funziona ancora 



C'è una prova inconfutabile del fatto che a Dubrovnik non si sentono croati, ma dalmati poichè esiste un giornale chiamato "Il Dalmata" che striglia la comunità croata di Milano per alcune frasi non corrette anche riguardo a Marino Darsa. Purtroppo questa pagina non consente i PDF per cui dovete cercare voi "Il Dalmata"num.94 pag.12. Articolo di Franco Luxardo







Ho scritto altre volte e lo ripeto qui: la Croazia ha grandi croati, uomini e donne, di cui vantarsi, che meritano di essere celebrati in tutti i campi, compresa l’arte e la letteratura; non ha perciò bisogno di rubarli ad altri popoli. Temo però che i ciechi nazionalisti non cesseranno mai di rubacchiare per ornarsi delle penne altrui."
firmato: Giacomo Scotti
(da.linkiesta.it del /2011/05/01)

E dopo le amebe vennero i croati


La letteratura italiana in Dalmazia: una storia falsificata
Da: Quaderni Giuliani di Storia –- Anno XXIII (°1 gennaio-giugno 2002) pag.21-35
Di Giacomo Scotti. Saggio apparso anche sul quotidiano fiumano in lingua italiana “La Voce del Popolo” nel 2005
Nel lontano 1926, nella serie delle pubblicazioni dell'Accademia Jugoslava delle Arti e delle Scienze di Zagabria, fu pubblicata l'opera di Gjuro Kobler dal titolo Talijansko pjesnistvo u Dalmaciji 16. vijeka, napose u Kotoru i Dubrovniku e cioè: «Poesia italiana in Dalmazia nel XVI secolo, soprattutto a Cattaro e Ragusa».
Dopo quella data nessuno studioso croato ha mai più parlato di una poesia o di una letteratura italiana in Dalmazia nei secoli passati. Cominciò invece un processo di trasformazione di quella letteratura da italiana in croata, processo che ha portato finora a colossali falsificazioni.

In un articolo del 1969 lo storico della letteratura croata Andre Jutrovic scrisse: «.Gli scrittori della Dalmazia che nel passato scrissero le loro opere in lingua italiana devono essere inseriti nella nostra letteratura e nella nostra storia nazionale». In altre parole: considerati croati. Questo medesimo intellettuale, trattando successivamente di singoli scrittori italiani dalmati dei secoli passati, cioè di dalmati di cultura e lingua italiana, li definì «scrittori croati di lingua italiana». Ed oggi questa é diventata una legge: nei libri di storia della letteratura croata, nei dizionari enciclopedici e nelle enciclopedie (croate), tutti quegli scrittori e poeti italiani portano l'etichetta di croati. Le eccezioni sono rarissime, riguardano unicamente Zara, e solo nel caso che si tratti di scrittori cosiddetti «irredentisti» dell'Ottocento e Novecento.
Nell'ottobre 1993, sulle colonne del «Vjesnik» di Zagabria, il presidente dell'Associazione degli scrittori croati dell'epoca mi accusò di aver «trasformato in italiani tutta una serie di scrittori croati dell'antica Ragusa». E questo perché, in un saggio sulla rivista «La Battana» (n. 109) avevo riportato i nomi originali di alcuni scrittori ragusei vissuti tra il Cinquecento e il Settecento, indicando i titoli originali in italiano e latino delle loro opere: Savino de Bobali (1530-1585); Serafino Cerva (1696-1759), Sebastiano Dolci, Stefano Gradi e altri che presto incontreremo. Io sfido tutti gli studiosi di letteratura di questo paese a portarmi un sola opera di questi scrittori e poeti che sia stata scritta in croato; li sfido a portarmi un solo
documento, a cominciare dagli stessi libri di questi autori, nei quali i loro nomi siano scritti così come li scrivono oggi i loro falsificatori.






Qualche anno fa il pubblicista Ezio Mestrovich, sul quotidiano «La Voce del Popolo», riferì le parole dettegli da un anonimo e «illustre croato» per spiegare l'avversione che certi intellettuali croati nutrono verso l'Italia e gli italiani: «Siamo tanto affascinati dalla cultura italiana e la sentiamo così vicina, che, rischiamo di esserne compressi e plagiati al punto, da rinunciare alla nostra. Quando ci si spinge in questa direzione, allora l'amore può diventare odio».

E spinto dall'odio, qualcuno cerca di appropriarsi di ciò che non gli appartiene fino al punto da definire croato Marco Polo! Oppure da dichiarare «croato da sempre» - laddove quel sempre potrebbe portarci all'inizio dell'umanità - ogni lembo dell'odierna Croazia che nel lontano o recente passato è stato invece abitato anche dagli italiani e concimato dalla cultura italiana, e prima ancora da quella latina. Oggi, purtroppo, la croatizzazione della letteratura, dell'arte e della cultura italiane fiorite in Istria e Dalmazia nei secoli passati diventata una regola nei libri di testo per le scuole e, come già detto, anche nelle enciclopedie croate. A questo scopo si ricorre alla contraffazione perfino dei nomi e cognomi. Le appropriazioni cominciano infatti proprio dalle generalità , cioè dalla loro croatizzazione. Una volta falsificati, ovvero croatizzati nome e cognome di uno scrittore, di un pittore, di un musicista e di qualsiasi altro personaggio, ed accertato che nacque o visse sul territorio che OGGI fa parte della Croazia, la sua opera diventa automaticamente croata.






Immaginate che cosa succederebbe se in tutto il mondo fosse applicata la prassi di appropriarsi del presente e del passato del territorio conquistato o acquistato. I nuovi padroni politici diventerebbero ipso facto anche padroni della storia, dello spirito, della cultura e dell'opera letteraria ed artistica creata nei secoli precedenti dal popolo o dai popoli di quel territorio. Non a caso questo principio é stato esteso dalla Dalmazia all'Istria e alle isole del Quarnero dopo la seconda guerra mondiale. Così per esempio il poeta e musicologo istriano Andrea Antico, nato verso il 1490 a Montona e vissuto a Venezia, é diventato «Andrija Motuvljanin» e Andrija Staric; grazie a lui gli inizi della musica croata sono stati spostati al Cinquecento.

Quando non si riesce a falsificare il cognome, si falsifica almeno il nome e allora il pittore fiumano dell'Ottocento Giovanni Simonetti diventa Ivan Simonetti; sempre a Fiume l'illustre medico Giorgio Catti diventa Djuro Catti, Giovanni Luppis si trasforma in Ivan Lupis o addirittura Vukic e si potrebbe continuare a lungo. Quasi sempre però si segue la regola della contraffazione totale di nome e cognome, in modo da cancellare ogni traccia di italianità.

Allora capita che il grande filosofo e poeta rinascimentale italiano Francesco Patrizio da Cherso ( 1529-1597) venga via via trasformato dalla storiografia croata in Frane Patricije-Petric nel 1927 (M. Dvomicic) e in Franjo Petric nel 1929 (F. Jelacic); resta Francesco Patrizi per I. Kamalic, nel 1934, ma viene scritto Franje Patricijo da Nikola Zic nello stesso anno; poi, ¨ Franjo Petric-Franciscus Patricius per Ivan Esih nel 1936 e Franjo Petris per S. Juric nel 1956 e Franciskus Patri-cijus per V. Premec nel 1968; per altri ancora il cognome si trasforma in Petric, Petrisic e Petracevic, infine il cosiddetto «padre della filosofia creata» diventato stabilmente Frane Petric dopo che così lo chiamarono V. Filipovic e Zvane Crnja nel 1980. In suo onore vengono tenute le «Giornate di Frane Petric» a Cherso, le giornate di un uomo inesistente.





Perché allora “ chiederà qualcuno - gli storici croati si accaniscono tanto a enfatizzare il Nostro? Su quale fondamento basano le loro asserzioni? Ecco, ricorrono a una leggenda. Il critico letterario croato Franjo Zenko scrisse nel 1980 nella prefazione alla traduzione croata dell'opera di Patrizio Della Historia Dieci Dialoghi: «Sull'origine del filosofo chersino per ora non si può dire nulla con certezza. L'accenno fatto dallo stesso filosofo nella sua autobiografia, laddove si dice che i suoi antenati vennero dalla Bosnia come discendenti di famiglia reale, non si può accettare come degno di fede; e finora non si sono trovati documenti che attestino da quale località o regione giunsero a Cherso». E tuttavia, è bastato l'accenno di Patrizio alla leggenda familiare secondo la quale i Patrizio fossero discendenti di una famiglia reale bosniaca, per indurre quasi tutti gli intellettuali croati, fino agli organizzatori delle «Giornate di Frano Petric» ad affermare, ripetere, scrivere e scolpire sul marmo la croaticità di Francesco Patrizio. A dimostrazione, questo fatto, della pochezza morale e intellettuale dei falsificatori.

E qui, prima di continuare con altri esempi di falsificazioni, voglio subito dire un mio pensiero in merito. La contraffazione della storia e l'appropriazione indebita da parte croata dei grandi uomini e delle grandi opere della cultura italiana di queste terre - Istria, Dalmazia, Quarnero – risponde ad una vecchia-nuova forma di nazionalismo e sciovinismo. La frustrazione derivante da un senso di minor valore e le insufficienze culturali vengono trasformate in miti di vittoria, dietro i quali si nascondono l'invidia e l'odio. In questo caso l'odio per l'Italia e gli italiani. Succede come quando, alcuni anni addietro in certe regioni martoriate dalla guerra, per fare pulizia etnica o si ammazzavano le persone di diversa etnia oppure queste venivano terrorizzate e costrette a scappare; ma anche dopo la fuga restavano le loro case chiese o moschee a testimonianza della presenza secolare nel territorio di quella etnia; a questo punto si distruggevano quelle case e templi con il fuoco e con la dinamite.

Si è arrivati al punto da dichiarare croato perfino uno dei primi creatori del romanzo italiano, Gian Francesco Biondi, nato a Lesina sull'omonima isola dalmata nel 1574 e morto nel 1644 ad Aubonne presso Berna in Svizzera. Per gli storici della letteratura
croata che se ne sono appropriati egli è uno «scrittore croato di lingua italiana». Nelle enciclopedie viene indicato con il nome ibrido di Ivan Franjo Biondi-Biundovic. Egli peraltro visse per lunghi anni a Venezia mantenendo rapporti epistolari con Galileo, fra Paolo Sarpi, con i corregionali dalmati Ghetaldi, Francesco Patrizio e Marcantonio Dominis, fu diplomatico della Serenissima presso la corte francese, la corte dei Savoia e la corte di Londra, dove sposa una nobildonna inglese.

Giacomo Scotti






E' assurdo parlare di nazionalità prima che nascessero gli stati nazione come li intendiamo ora. Una volta c'erano i regni e la nazionalità era intesa come stirpe, discendenza. Dato che Marino Darsa era figlio di padre serbo anche perchè a Ragusa non vi era un solo croato, mentono sapendo di mentire i croati che si sono appropriati della cultura dalmata 










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